11

23 1 0
                                    

Santski

Volo in cerchio vicino al soffitto della cella, tutti i cinque sensi ritti come quelli di un falco. Non mi sono mai piaciuti troppo i falchi, in realtà. Presuntuosi. Sento in lontananza dei passi. Tutti i miei muscoli si tendono, protendo gli artigli, plano in cerchio per prepararmi ad una picchiata. Il rumore di un chiavistello. Poi l’uomo con la maschera, lo stesso di sempre, apre la porta. Calo in picchiata e ad artigli scoperti lo colpisco nei fori per gli occhi. Lui si spaventa, indietreggia, proprio come avevo previsto. Si aspettava di vedermi seduto come sempre, passivo, sconfortato, come se avessi accettato la situazione. Lascia cadere il piattino in cui c’era il mio cibo mentre io colpisco ancora, mentre i miei artigli affondano nella carne molle del collo, dove la maschera e la casacca che indossa si incontrano lasciando un piccolo tratto di pelle scoperta. L’uomo stramazza a terra, gli schizzi del suo sangue si mischiano al cibo sparso per terra. Riprendo la forma umana, frugo freneticamente la giubba e la cintura dell’uomo. Trovo un pugnale. Bene, più che sufficiente ai miei scopi. Esito un attimo di troppo prima di lanciarmi a rotta di collo giù per il corridoio che si estende dopo la porta della mia cella. Mi chino, sollevo quasi con timore la maschera dalla faccia dello schiavo. Un uomo dai capelli rossi, gli occhi blu spalancati, freddi, vitrei. Non lo conoscevo. Chissà chi era, perché serviva Morglock. Non sono un assassino. Non ho mai ucciso se non per estrema necessità. E anche in quei casi con sommo dispiacere. Come adesso. Mi riscuoto dai miei pensieri e inizio a correre giù per il corridoio. Tutto è verde qua, le pareti, il soffitto, il pavimento. Il corridoio finisce dinnanzi ad una porta. Sperando di non sbagliarmi la sfondo con una spallata, conduce ad una scalinata. Corro giù per quella scala a chiocciola senza sapere neanche dove conduce, arrivo ad un pianerottolo, una porta è aperta. Oltre c’è un corridoio, sembra deserto. Lo imbocco cauto. Giro un angolo, mi ritrovo di fronte due guardie. Mi blocco, leggo lo stupore nello sguardo di uno prima che io lo uccida. L’altro si gira e scappa, chiama rinforzi. Evito di inseguirlo, sarebbe solo una perdita di tempo, e mi fiondo a rotta di collo giù per il corridoio, a metà vengo sorpreso da un drappello di guardie, loro urlano qualcosa in russo prima di lanciarsi contro di me. Inizio a combattere, sebbene stia usando solo un pugnale riesco comunque a batterle tutte. Il pensiero di Ljena, della libertà, mi da la forza e la disperazione necessaria. “La disperazione è un buon incentivo in battaglia. Certo, a meno che tu non ti faccia sopraffare da essa. Devi essere in grado di trasformare la tua stessa disperazione in forza, Santski, e qualunque avversario la vedrà riflessa nei tuoi occhi e ne sarà contagiato. Capirà che non ti fermerai. Chiunque sano di mente fuggirà davanti ad una furia del genere. In qualsiasi scontro vince sempre chi non ha niente da perdere, e i disperati hanno già perso tutto” mi aveva detto una volta il mio istruttore di combattimento in forma umana. Era una vecchia aquila, ed è morta nel tentativo di salvarci. Mentre tutti noi fuggivamo via dalla scuola per metterci in salvo, mi ero girato a guardare indietro, e l’avevo visto calare in picchiata sopra i Tredici che ci inseguivano. Anche il suo doppio, un uomo silenzioso e molto alto, aveva combattuto contro di loro per fermarli. Poi qualcuno aveva colpito il mio istruttore, ed erano crollati entrambi a terra. È a loro che penso mentre combatto, e poco dopo mi ritrovo circondato da qualche cadavere. Tutti gli altri sono fuggiti. Ricomincio a correre, e alla fine di quell’interminabile corridoio trovo un portone che si sta chiudendo. Mi vogliono intrappolare qui. Mi trasformo in corvo e volo più veloce che posso, per un pelo mi infilo fra le due porte che si chiudono. È un miracolo che non sia rimasto schiacciato. Sono all’aria aperta, in un cortile, è notte. E mi accorgo troppo tardi della trappola. Una decina di falchi mi piomba addosso, ad artigli spianati. Provo ad opporre resistenza ma non c’è paragone, i falchi sono sempre stati predatori più temibili dei corvi. Sento i loro becchi e i loro artigli lacerarmi la carne, non posso continuare così, plano a terra e mi ritrasformo. Ed è allora che scatta l’altra trappola. Un intero plotone di guardie armate fino ai denti mi è subito addosso, provo a combattere ma sono solo io contro diecimila. Per un po’ sembra che me la stia cavando, ma poi qualcuno mi colpisce da dietro, sulla nuca, con l’elsa di una spada. Cado in ginocchio. Il pugnale mi scivola via dalla mano. Il mio guardo si offusca, ma riesco in qualche modo a distinguere il guerriero che mi ha colpito prima di venir sommerso dagli altri. È Freston. È vivo allora. Non so se la cosa mi fa piacere. Tutti gli altri mi sono addosso e io sto per svenire. Provo un ultimo disperato tentativo, e con la voce della mente urlo un richiamo, più forte di quanto abbia mai fatto. “LJENA!!!” Urlo nella mia testa. Non sento nessuna risposta. Ljena non mi risponde. Non era mai successo. Ed è adesso che la disperazione mi prende. Ora come ora non sarei un buon guerriero, penso. È l’ultimo pensiero che ho prima di accasciarmi a terra e venir catturato.

Double Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora