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Francesco

Non ho più visto Alia da quando mi ha confessato ciò che ha dovuto patire. Che mi stia evitando? Non avrei mai pensato di poterci stare così male, dopotutto la conosco da pochissimo tempo, e la Roccaforte è così grande, di sicuro è normale che non l’abbia incontrata più. Non ho neanche più incontrato Fedor dopotutto, e non è una cosa così strana. No? La verità è che non passa secondo senza che io non pensi a lei. La penso sempre, incessantemente. E non solo alla sua storia, a lei e basta, come persona. Non è decisamente una cosa normale. Cammino fra i corridoi della Roccaforte, chiacchierando con alcuni occasionali incontri ho scoperto che la Roccaforte è costruita sottoterra, migliaia e migliaia di cunicoli che si estendono sotto la superficie della crosta terrestre. I corridoi inoltre sono magici, permettono di giungere in qualsiasi parte del mondo in pochi minuti, basta che tu pensi attentamente ad un luogo ed ecco che ti ritrovi in Germania, in Messico, in Pakistan… in effetti questa cosa mi disorienta un po’. Vago senza meta nei corridoi, in realtà non ho molto da fare qui. Credo che tutti quanti diffidino di me. Ho chiesto ad un infermiere ad un certo punto se potevo dare una mano, mi ha guardato un po’ compatendomi e mi ha detto che le infermerie della Roccaforte hanno tantissimi malati e tutti gravi, e che solo dei professionisti possono lavorarci senza rischiare di aggravare le condizioni dei pazienti. Me ne sono andato arrabbiato, quel tipo piccoletto non sembrava neanche tanto più grande di me! Evidentemente in tempi di guerra iniziano a lavorare anche i più giovani. Sono arrivato poi in una palestra dove qualcuno si allenava con le armi, ho chiesto alla donna che allenava tutti i presenti se poteva allenare anche me, ma mi ha cacciato via urlando che non aveva tempo per i principianti. Grazie tante! Dopo un po’ ho preso in considerazione l’idea di chiedere alle cucine se potevo dare una mano, ma immagino che, se mi cacciassero anche lì, sarebbe a dir poco vergognoso… per questo è mezz’ora che cammino senza sosta verso neanche io so dove, senza uno scopo. L’unica persona che era stata gentile con me adesso mi evita bellamente! Ecco, ci risiamo. Di nuovo Alia. Possibile che non riesca a levarmela dalla testa? Anche Ljena è stata gentile con me, ma non penso sempre a lei. D’accordo, sono preoccupato per lei, ma non le penso in quel modo. Oh, insomma! In che modo dovrei pensare ad Alia? È solo stata gentile con me, e neanche è stata l’unica. Anche Han è stato gentile con me. Peccato che non abbia più rivisto neanche lui. Intanto, non so come, sono giunto vicino alla parete magica che conduce alla sala del trono. La ispeziono attentamente: non mi ero accorto che lì vicino ci fosse una stanza. Da quella stanza giungono rumori di ferraglia e gridi, come di gente che combatte. Non resisto alla tentazione e sbircio dentro: Krussan si sta allenando da solo, e sebbene stia solo riproducendo dei movimenti, contro nessun avversario, è spaventoso. Mi sporgo un po’ di più per guardare, e all’improvviso mi ritrovo il filo di una lama sotto la gola. È stato così veloce che non me ne sono accorto, non ho nemmeno avuto il tempo di scansarmi. Krussan mi fissa indecifrabile, poi abbassa la lama. “Ah. Sei tu.” Dice. “Scusa, non ti avevo riconosciuto.” Dopodiché toglie la lama da sotto il mio mento riponendola in un fodero, e io quasi inciampo, facendo la figura dell’imbranato totale. “Ehm, sì. Ti stavo guardando. Sei bravo.” Cerco di dire. Lui sorride divertito. “Davvero? Beh, grazie!” pessima cosa da dire. Ora ho confermato di essere un imbranato totale. “Dov’è il tuo doppio?” chiedo, cercando di fare conversazione. “Alfa? Presiede alcuni funerali. Ne sono morti altri due, oggi.” La conversazione cade lì. Sto cercando qualcosa da dire per andarmene senza passare per stupido e per molestatore, quando sorprendentemente è lui che mi parla: “Han mi ha detto che vuoi combattere per noi. È vero?” annuisco. “Bene. Sono disposto ad allenarti. Se te la senti. Se fra dieci giorni saprai combattere in modo decente, allora potrai arruolarti. È tutto ciò che ti posso offrire per ora. Ci stai?” “Sì” rispondo. Lui annuisce brevemente con un cenno del capo, poi mi soppesa con lo sguardo. “Sei forte?” mi chiede. “Sai sollevare dei pesi?” in che senso? In cosa mi potrà mai servire? A sollevare gli avversari? Evidentemente dalla mia faccia si capiscono i miei pensieri, perché Krussan rettifica: “Una spada pesa. Anche le più corte pesano. Dovrai saperle tenere in mano, e non solo: anche mulinarle, maneggiarle, saperle muovere con velocità e destrezza, tutto questo mentre corri, ti muovi o comunque sei esausto. Su un terreno scivoloso, accidentato. Contro non uno ma molti avversari. Con addosso un’armatura, che nel caso non ne avessi mai indossata una è come avere quattro chili in più addosso, e una pentola in testa. Non sarà facile.” Accidenti… nei film sembra tutto molto più facile, con tutti quei guerrieri che corrono, urlano, e sembra che non siano mai stanchi. “Non lo so…” balbetto. Krussan sbuffa. “Ma non hai mai tenuto una spada in vita tua? Neanche nel tuo mondo?” “Beh, no. Da noi non si usano in realtà.” “Ah no?” replica interessato. “E cosa usate?” “Armi da fuoco.” Aggrotta le sopracciglia, pensieroso. “Armi che sputano fuoco intendi?” “No… non proprio. Sono delle cose che sparano dei proiettili… delle specie di pietre di metallo. Questi, sì, questi proiettili vengono lanciati ad altissima velocità, così quando colpiscono il bersaglio feriscono, perché penetrano nella carne.” Krussan resta un attimo pensieroso, poi il suo volto si illumina. “Ma sì.” Esclama. “Ingegnoso, davvero. Allora, credi di saper tenere in mano una spada?” alzo le spalle. “Suppongo di sì.” Lui subito ne prende una da una rastrelliera addossata ad una parete e me la lancia, io tento di prenderla al volo, ma non appena la afferro mi piego in due e la lascio cadere. Non pensavo fosse realmente così pesante! La raccolgo da terra e provo un po’ a muoverla mentre Krussan mi osserva imperscrutabile: sì, pesante ma si può fare. Credo. “Ne sai qualcosa di scherma?” mi chiede. Ehm… le mie uniche esperienze in fatto di scherma sono quando la scorsa estate mi battevo con mio cugino, che fa scherma, sugli scogli in spiaggia con due pezzi di bambù al posto delle spade, ma suppongo che questo non interessi a Krussan, quindi nego con un cenno della testa. “Bene.” Mi dice. “Ora ti dico una cosa: non so cosa tu abbia sentito, quali regole a proposito di un combattimento: dimentica tutto. Affidati all’istinto, perché il più delle volte sarà quello a salvarti la vita. Segui le tue sensazioni, non farti distrarre dalle finte dell’avversario, fidati del tuo inconscio. Io faccio così. Iniziamo. In guardia!” esclama poi, alzando la sua spada. Come? Vuole già combattere? Ma io… sollevo anche io la mia spada, accidenti se è pesante. Cerco di sistemarla e di darmi un’aria più marziale possibile, ma non ne ho il tempo perché senza che io me ne sia accorto Krussan si è spostato vicino a me e ora mi punta una spada alla gola. “Sei lento.” Commenta. “A quest’ora saresti già morto. Su, ricominciamo:” e si mette di nuovo in posizione di attacco. Questa volta mi accorgo dei suoi movimenti e riesco a parare un suo colpo, ma lui come niente mi fa volare via l’arma dalle mani. Questa volta non commenta neanche. Mi attacca un altro centinaio di volte, e il mio record di resistenza resta due secondi massimo. Bene, in battaglia farei un figurone. “Chiudi gli occhi, non mi guardare, non farti distrarre” mi suggerisce Krussan, mostrandomi dove ho sbagliato. Ma io continuo a non capirci niente. Un lato positivo? La spada ora sembra meno pesante e riesco quasi a maneggiarla. Sono così perso nei miei pensieri che quasi non mi accorgo del veloce attacco di Krussan, che mira alla mia testa. Mi sposto di lato, ma non è una decisione ponderata, mi è venuta così. Lui ha perso l’equilibrio, così provo a colpirlo da dietro ma rapido come una saetta lui si volta e blocca il mio attacco, e con una torsione del polso mi fa sfuggire la spada di mano. “Bravo!” mi loda. “Impari in fretta.” Poi mi attacca di nuovo con rinnovata ferocia, e io ho pochissimo tempo per riprendermi e contrattaccare. Questa volta riesco a tenergli testa per circa cinque secondi, ma alla fine vince lui comunque. Così come la lotta dopo, e quella successiva, e tutte le seguenti duecento. Inizio a essere un po’ stanco. Ad un certo punto noto che un ragazzo con i capelli spioventi sul viso ci fissa accigliato dalla porta, così mi distraggo e mi prendo un’altra batosta. “Ti presento Alfa” dice Krussan sorridendo, mentre mi attacca (e mi batte) di nuovo. Il ragazzo sulla porta ridacchia e se ne va. “E non ti distrarre!” aggiunge, mentre mi disarma nuovamente. Mi sento imbranato, ma dopotutto non ho mai combattuto in vita mia, mentre lui è tutta la vita che combatte! All’ennesimo duello che perdo Krussan inizia ad arrabbiarsi. “Insomma! Non stare così rigido! Devi avere libertà di movimento, capisci? Altrimenti sei morto!” mi grida contro, mentre mi attacca ripetutamente. Sono pieno di lividi lì dove mi colpisce di piatto, ho le braccia indolenzite, il volto pieno di sudore e i muscoli in fiamme. Non ne posso più. E intanto lui non la smette di attaccarmi e di riprendermi. Mi sento un po’ umiliato se devo dirla tutta. “A quest’ora saresti già nell’aldilà! Non puoi lanciarti in una battaglia così, senza sapere neanche le basi di un combattimento! Segui l’istinto ti ho detto! No, non così! Se un avversario trova il modo di disarmarti sei un uomo morto! Morto, capisci? Non so se hai afferrato l’idea ma questa è una guerra. Qui o si impara a combattere o si muore. Possibile che non te ne sia reso conto quando ti è venuta la brillante idea di seguire mia sorella? Pensavi sarebbe stata una passeggiata? O forse Ljena non te l’ha detto che siamo tutti in guerra?” mi blocco. “Tu la odi. Ljena.” Dico. Non è una domanda. Si blocca anche lui, con la spada sollevata a mezz’aria. “No, non la odio.” Replica, riprendendo la sua compostezza. “Sì, tu la odi. La disprezzi, comunque sia, non la sopporti.” Non so neanche io perché sto portando avanti questa discussione. “Non la odio” ripete lui lentamente, ma senza essere arrabbiato. Si volta, sistema alcune spade sulla rastrelliera. Spade che non avevano nessun bisogno di essere sistemate. “È solo che… rapire Santski non è stata l’unica cosa che hanno fatto per attirarla qui. Quando era appena fuggita nei boschi, Morglock non sapeva dove fossero, lei e gli altri apprendisti. Ha attaccato le famiglie di tutti, sperando che qualcuno si precipitasse a salvarli. Non so bene cosa sia successo agli altri… so che non ci sono stati sopravvissuti. Ricordo solo che noi stavamo dormendo, era notte, poi sentimmo una terribile puzza di bruciato e mia mamma si alzò per controllare se stesse bruciando qualcosa, credeva di aver dimenticato qualcosa sul fuoco. Era la casa che stava andando a fuoco.” Si volta. I suoi occhi all’apparenza inespressivi sembrano riflettere le fiamme delle quali racconta. “L’ingresso era in fiamme. Pensammo ad un incidente, può capitare a volte, provammo a teletrasportarci fuori di lì. Inutile. La casa era circondata dalla magia. Mia madre provò a spegnere l’incendio con la sua magia dell’acqua, ma l’acqua da lei evocata evaporava subito. A quel punto fummo presi dal panico. Avevamo un passaggio segreto che ci avrebbe portati fuori di lì, una galleria sotterranea, mio padre apriva la fila, mia madre la chiudeva. Non raggiunse mai l’ingresso del passaggio, mentre stava per entrare una trave infuocata le crollò davanti, impedendole il passaggio. Mio padre si voltò, voleva attraversare le fiamme per raggiungerla, “Vai” gli disse lei. “Porta i ragazzi in salvo.” Furono le sue ultime parole prima che un’altra trave cadesse, questa volta sopra di lei. Mio padre non perse tempo, ci portò fuori di lì anche se avrebbe voluto rimanere. Arrivammo fuori sani e salvi. Poi si sentì un sibilo nell’aria, e una freccia trapassò il petto di mia sorella da parte a parte. Le si riempì la bocca di sangue e…” si interrompe. “Aveva cinque anni! Non aveva neanche un doppio!” Urla. Poi riprende la calma, anche se solo in apparenza. Riprende a raccontare, al presente, come se stesse rivivendo tutto. Come se non ne avesse mai parlato a nessun altro. Forse è così. “Mio padre si volta di scatto. “Resta qui” mi dice. Io protesto, non voglio nascondermi. “Resta qui” ripete, prima di bloccare a terra me e Alfa con un incantesimo di legame. Cado a terra, di fianco al cadavere di mia sorella. Mio padre si volta, inizia a correre verso gli aggressori urlando. Erano cinque in tutto. Non so bene come sia andata, so solo che dopo un po’ l’incantesimo che ci teneva legati si è sciolto… e mio padre non è tornato…” ascolto in silenzio. Lui continua a parlare. “Non la odio. È mia sorella, naturale che non la odio. È solo che… dettero fuoco alla mia casa pensando che sarebbe venuta a salvarci. Lo pensavo anche io. Non è venuta. Sono venuti soltanto i Ribelli, troppo in ritardo, che mi hanno preso con loro. Sono diventato il loro Capo. E in tutto questo tempo non ho avuto notizie di Ljena, a parte un avviso dell’imperatore che diceva di aver catturato tutti i suoi oppositori e di averli uccisi. Non ci ho minimamente creduto, pensavo che si stesse nascondendo. Magari era ferita, debole, o aveva perso i suoi poteri. Non la biasimavo neanche troppo. Poi scopro che invece è tornata qui con un perfetto sconosciuto per intraprendere una missione mortalmente pericolosa, e che in tutto questo tempo non le è minimamente venuto il dubbio di informarsi su come stesse la sua famiglia. Non credo neanche che sappia quello che è successo. Insomma, hai idea di come ci si può sentire?” no. Non ne ho. “Possiamo continuare l’allenamento domani. Presentati qua alle dieci in punto. Sei uno che impara bene, forse riesco a trasformarti in un buon guerriero.” Faccio per posare la spada ed andarmene, quando la sua voce mi blocca. “No, non posarla. È tua adesso. Imparerai a conoscerla.” Accenno un inchino e me ne vado, ma la sua voce mi blocca di nuovo. “Ah, Francesco?” “Sì?” chiedo. Lui mi guarda fisso, con un’espressione indecifrabile. “Non la odio, e non voglio che tu lo pensi. Non voglio che lo pensi neanche lei. Ma ogni volta che penso a lei, alla sua immagine si sovrappone quella di Alina, la mia sorellina, con la bocca piena di sangue e gli occhi vitrei, una freccia piantata nella schiena. Il suo viso a cinque centimetri dal mio. E non c’era niente che potessi fare. Non la odio, ma la associo a quel terribile senso di impotenza. E non credo che questo cambierà mai.” Poi si volta e rimane lì, a fissare una parete vuota. Mi chiedo se stia piangendo, ma no, non è possibile, il Capo non piange mai. Esco in fretta da quella palestra, quasi di corsa, senza riuscire a togliermi dalla testa la storia da lui raccontata.

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