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Ljena

Non ho un piano. Non so cosa fare. So solo che qualcosa devo fare. Santski mi urla di andarmene, non lo ascolto perché, se lo ascolto, quell’ultimo briciolo di coraggio che ho, svanisce. Non gli rispondo, perché dentro di me so che ha ragione: vorrei solo andarmene. “Io mi oppongo” sento me stessa dire, cammino in mezzo alla folla, respingo chi mi vuole attaccare, anche se non so come. È tutto così surreale! Mi sembra di vivere un sogno. Finalmente arrivo davanti a Morglock. “Ljena” dice soltanto. “Morglock” replico io. Sono consapevole della presenza di Santski vicino a me, ma non lo guardo se non di sfuggita, perché se lo guardo potrei fare qualcosa di molto stupido, tipo correre da lui, mettermi a piangere, ad urlare, tentare di attaccare Morglock. Così fisso lo sguardo su Morglock, e sento di odiarlo. Lui non è il Morglock che conoscevo. Eppure, dentro di me qualcosa rifiuta questo pensiero. Qualcosa si agita al pensiero di ciò che una volta era, lo stesso qualcosa a cui, l’idea di fare del male al ragazzo che mi sta davanti, sembra semplicemente repellente. Sono così concentrata su questi pensieri stupidi che non mi accorgo delle guardie che mi vengono addosso, chissà perché tutte le idee e il potere che avevo prima per scacciare le guardie sono spariti, ho un buco nero e vuoto al posto del cervello ora. Resto immobile, inerme, mentre mi legano i polsi e mi portano via. Sento movimento dietro di me, dalla parte della folla. Francesco! Mi ero completamente dimenticata di lui, ora lo vedo che corre verso di me, solo contro un milione di soldati armati che non si farebbero scrupoli nell’ucciderlo. Cerco di divincolarmi dalle guardie che tengono ferme me, ma è troppo tardi, sono prigioniera ormai. Eppure la folla… impossibile, la folla si richiude sopra di lui, non lascia che i soldati si avvicinino, lo proteggono! I soldati non possono ucciderli tutti, alcuni sono armati, si scatena una sorta di battaglia. Di ribellione. Continuo a non guardare Santski, a non ascoltarlo, tuttavia sento del dolore in lui, è ferito? Presto vengo portata dentro le Torri, quelle costruzioni che una volta mi affascinavano così tanto ma che ora sono solo prigioni. Vengo scortata in malo modo verso un corridoio laterale, e Santski verso un altro. Sento che si dibatte, che lotta per fuggire, io invece resto immobile, lascio che mi conducano dove vogliono. Sia anche la morte. “LJENA!” urla lui, e allora, soltanto per un secondo, mi volto a guardarlo. E per poco il mio coraggio non cede. È cosparso di ferite in tutto il corpo. Ha un brutto taglio sulla fronte, il sangue che gli cola negli occhi e gli impiastriccia l’attaccatura dei capelli. Un’enorme nuvola viola gli copre metà della faccia, non riesce quasi ad aprire un occhio. Ha le mani che sanguinano. “SANTSKI!” urlo a mia volta, e cerco anche io di liberarmi dagli aggressori, lotto, vengo colpita, quasi non sento dolore, lui prova a liberarsi con una ferocia inaudita, sembra che non gli importi delle ferite, così come non importa a me. “Lasciatemi!” urlo, colpendone uno con una gomitata al naso. “Maledetta puttana!” urla lui lasciandomi andare e coprendosi la faccia sanguinante. “Lasciatemi andare da lei!” urla Santski, lottando. Finalmente riusciamo a liberarci, corriamo l’uno verso l’altra e ci incontriamo a metà del corridoio, ci afferriamo le mani, sento le sue ferite, lui sente le mie. “Santski, oh Santski…” dico piano, lui ripete il mio nome, con una cadenza malinconica, fino a quando le guardie non ci separano di nuovo e ci conducono via. Non so da quanto stiamo camminando, che strada abbiamo fatto, quando mi lanciano in una piccola cella rotonda. Atterro con un tonfo sul pavimento. “Vorrei poterti uccidere con le mie mani, piccola stronzetta” dice il soldato al quale ho rotto il naso. “Ma al capo questa decisione non va… chissà perché poi. Ma stai sicura, che sei viva solo perché interessi al capo. Sei fortunata, ma non appena uscirai dalla sua ala protettrice… assicurati di non trovarti mai sulla mia strada. O ucciderò te così come ho ucciso la tua grande amica… Giada.” Allora lo riconosco: è uno dei Tredici, non è un soldato normale. È quello che ha sferrato il colpo mortale a Giada, uccidendo sia lei che Swan. Mi ritornano davanti agli occhi l’espressione di stupore di Giada appena prima di morire, il cratere fumante che le si era aperto nel petto al posto del cuore, risento il grido di dolore e disperazione di Swan, i suoi patetici tentativi di volare via prima di accasciarsi a terra e morire. Non sono mai stata così felice di aver tirato una gomitata sul naso di qualcuno prima d’ora, e non mi sono mai odiata così tanto prima di adesso perché non riesco a smettere di tremare.

Santski

Dopo qualche minuto vengono di nuovo a prelevarmi dalla mia cella, e mi portano fino a quella di Ljena. Chissà perché sono così gentili poi… aprono la porta con un’enorme mazzo di chiavi, poi mi buttano dentro. Lei è lì, rannicchiata in un angolo, ma appena chiudono la porta si fionda verso di me. Anche io mi rialzo, corro da lei, ci incontriamo in mezzo alla stanza. “Ljena! Stai bene?” “Io sì, sì. Tu invece? Sei ferito! Cosa ti hanno fatto?” sorrido, ma il labbro ferito mi fa male, quindi il mio sorriso si trasforma ben presto in una smorfia. “Eh, mi hanno un po’ pestato quando mi sono rifiutato di farmi scortare dentro le prigioni. Non sono proprio un agnellino sotto questo punto di vista. Detesto essere trattenuto.” Lei ridacchia, poi torna triste e preoccupata. “Perché sei venuta, stupida? Potevi restare nell’altro mondo, con Francesco. Perché sei venuta qui? Ci uccideranno” le dico con tono severo e anche un po’ disperato. “Zitto, sta’ zitto. Non potevo lasciarti qui! Non potevo lasciare che ti… che morissi…” “Ora probabilmente moriremo in due.” E va bene, lo ammetto: sono amareggiato, e non ha senso che me la prenda con lei. Ma poteva salvarsi! “No, non potevo salvarmi.” Mi risponde lei, sebbene non abbia parlato. “Non se tu fossi morto. E se anche mi fossi salvata, non sarei potuta vivere senza aver almeno provato a salvarti.” Ci sediamo a terra. Le circondo le spalle con un braccio. “Francesco diceva…” “Aspetta, cosa?” la interrompo. “Francesco è qui?” ecco, lo sapevo. Ma sentirmelo confermare è ancora peggio del previsto. Speravo in un bluff di Morglock, dio quanto ci speravo. “Beh… sì.” Mi alzo di scatto, inizio a misurare la cella a grandi passi. “Ma cosa ci fa qui!” “Ehi, non ti arrabbiare. Senza di lui non sarei riuscita ad arrivare qui.” “Non sono arrabbiato!” sbotto. Alza un sopracciglio, scettica. “Ok, sono arrabbiato. Ma non con te, con me. Perché mi sono fatto prendere come un idiota, non sono neanche riuscito a fuggire, ed ecco che vi ritrovate in pericolo entrambi.” “Fuggire? Hai provato a fuggire?” mi lascio cadere a terra di peso. “Forse è meglio che ci raccontiamo le diverse storie, che ne dici?” acconsente con un gesto del capo. Mi trasformo in un corvo, è più facile per me stare così. Inizio a raccontare, lei non mi interrompe. Finisco quasi subito, non ho molto da raccontare. “E quando ti sei ridotto così?” chiede lei. “Beh… adesso. Ho provato a liberarmi quando ti sei fatta avanti. Erano in molti, non ci hanno messo molto a ridurmi così.” “Oh, Santski. Mi sento un po’ in colpa.” “Non fa niente, non fanno neanche troppo male. E voi invece? Che avete fatto?” ascolto in silenzio tutto il racconto, compreso quello strano sogno che mi descrive. “La mia voce dici? Dev’essere stato quando sono fuggito, seppur per un secondo solo. Ti ho chiamato.” “Si… a proposito, perché prima non riuscivamo a comunicare?” “È la giada. Impedisce qualsiasi comunicazione. Tutto qui è fatto di giada…” “Ha pensato proprio a tutto.” “Già…” restiamo in silenzio per un po’. “Santski, e ora che facciamo?” chiede alla fine, con voce angosciata. “Aspettiamo…” aspettiamo…

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