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Santski


Dormo, mi sveglio, mi sembra di cadere, mi risveglio, cado nel vuoto, mi schianto al suolo, mi rialzo, sono in cella, cerco di muovermi, sono legato, non so cosa sia successo, quanto tempo sia passato dall’ultima volta che sono riuscito a pensare, c’è un buco sul soffitto, un buco che si allarga sempre di più e mi inghiotte, inghiotte tutti e tutto eppure sono solo, nel nero, apro gli occhi, sono ancora in cella, sono pazzo, sento una risata rimbombare nella stanza ma sono solo, solo, solo, dannatamente solo e non c’è nessuno che possa vedermi adesso ma mi sento osservato e tutto questo è orribile, “Perché?!” urlo, ma non so neanche a chi, nessuno mi risponde, mi accorgo di non aver parlato ma ero convinto di sì, cosa mi sta succedendo? Un rumore fortissimo mi risuona nelle orecchie, come di metallo che stride su altro metallo, mi fa impazzire vorrei non sentire più niente, niente, un po’ di meritato silenzio e di pace, non esiste la pace, solo nella morte c’è pace, voglio morire, forse sto già morendo, basta non ne posso più! Di nuovo questo rumore di ferro, meno forte, lo riconosco, è il chiavistello della porta. Stanno venendo a prendersi gioco di me? La porta si apre o forse è solo un’altra illusione, entra un uomo che mi sorride crudele, ride, si avvicina a me ma all’improvviso strabuzza gli occhi come se fosse pazzo, non è possibile, apre la bocca per parlare ma ne fuoriesce solo un getto di sangue che mi colpisce, sento il fluido caldo scorrermi su un braccio ma quando guardo non lo vedo macchiato, poi l’uomo crolla a terra morto e rivela una persona dietro di lui con un pugnale insanguinato ancora alzato: Ljena. Provo sollievo per un secondo solo, subito rimpiazzato dalla disperazione. Non può essere qui. È solo un’illusione, lei è prigioniera come me. Non è qui. Sono solo. Si avvicina a me, mi parla ma non la sento, ha un mazzo di chiavi in mano, cerca di aprire i legacci che mi tengono prigioniero ma non ci riesce, le illusioni non possono far niente, con un’espressione angosciata cala il pugnale e recide ciò che mi teneva legato, scivolo lentamente a terra, lei mi sfiora con una mano ma io la colpisco, pensavo che non avrei toccato niente, solo aria colorata e invece la mia mano la colpisce, si ritrae, io mi appiattisco contro una parete, vattene, penso, vattene via lasciami in pace, sei solo un’illusione, poi mi accorgo di star parlando ad alta voce, non me ne ero accorto, lei mi risponde ma non la sento, si avvicina, “…dobbiamo muoverci, andiamo!” sta dicendo. “Vattene! Non sei reale!” le urlo in faccia. Lei si avvicina. Cerco di ritrarmi. “Santski, sono io” dice con malinconia. Non è lei. Non è lei. Non può essere lei. Chiudo gli occhi, sperando di vederla sparire quando li riaprirò ma lei è sempre lì, un’illusione fatta apposta per prendersi gioco di me, per farmi soffrire perché io vorrei fosse qui, ma lei non c’è, non è reale. Si avvicina, sempre di più, e io non posso allontanarmi, mi rannicchio a terra, debole. “Santski, sono io. Sono Ljena. Sono reale. Fidati di me.” “Tu non sei reale.” Singhiozzo. Non posso fidarmi di lei. “Sei solo un’illusione, come Freston, come Ramsey…” vedo un’ombra dubbiosa passare sul suo volto. “Allora è questo che ti hanno fatto vedere.” Non nego e non annuisco: lei sa, è una creatura di Morglock, di sicuro sa. Mi copro il volto con le mani, quando le tolgo vedo che si è accovacciata a pochi centimetri da me. La colpisco di nuovo, più forte, per farla allontanare, per farla sparire come tutte le illusioni prima di lei, coi pugni chiusi, sento un dolore acuto al viso, al petto, in prossimità del cuore, ma non me ne curo, voglio soltanto che se ne vada, voglio restare solo. Non mi accorgo neanche di star palando ad alta voce, di starla scongiurando di andarsene. Lei non se ne va. Ha una tristezza infinita negli occhi grigi, i capelli e il volto macchiati di sangue e vomito. Mi afferra con decisione i polsi, mi costringe a fermarmi. “Ricordi?” dice con voce sommessa. “Ricordi quando eravamo a San Pietroburgo, a casa, quando ancora non eravamo nella Scuola? Quando scappavamo nei boschi perché stranamente tutti quegli alberi ci facevano sentire bene? Quando ci arrampicavamo sui rami più alti? Quando volavamo nel cielo, col vento che ci sferzava, io non avevo mai volato prima di legarmi a te e quando ho volato per la prima volta è stato bellissimo… come correre controvento fino a quando non rimani senza fiato con una gran voglia di ridere, ma meglio… e ricordi quando siamo arrivati per la prima volta nella scuola? Eravamo così spaesati, non conoscevamo nessuno, e c’erano Giada, Swan, Morglock e Ramsey, Sorian e Freston, ricordi? Ti ricordi di loro, e di Din e di Sylvia? E di tutti i maestri? Ricordi l’edificio, il giardino, le palestre per l’allenamento? Eravamo molto felici allora… e ricordi quando siamo dovuti fuggire, quanta angoscia, quanta paura, quando non dovevamo mai sbagliare perché ogni sbaglio poteva significare la morte, quando dovevamo sempre mostrarci sicuri anche se non lo eravamo? I boschi non mi sono mai sembrati tanto ostili quanto durante quell’anno. E quando abbiamo deciso di mandare Din e Sylvia a cercare mirtilli, perché era da tanto che non li vedevamo sorridere, e ormai ci sentivamo sicuri… ricordi l’angoscia quando non sono tornati, la paura e l’orrore quando abbiamo scoperto che non potevamo sentirci sicuri? Quando abbiamo trovato i loro corpi, e quando siamo stati attaccati di sorpresa, quando sono morte Giada e Swan, quando Freston e Sorian sono stati catturati, tutto il terrore che abbiamo provato, la paura, l’insicurezza? Credevamo che saremmo morti… e quando ci siamo trovati in quel mondo, così simile ma così diverso, quanto eravamo spaesati! Ricordi Francesco? Ricordi la morte di Ramsey, la disperazione, la pazzia di Morglock?” ricordo. Ricordo perfettamente ogni singolo dettaglio. Ogni singola sensazione descritta, sono cose che solo Ljena può sapere. Lascio lentamente che mi abbassi le mani, la guardo in faccia: è lei. Riconosco quel dolore al petto che provavo: è quando sei in disaccordo con il tuo doppio. Perché è come se perdessi una parte di te, per questo fa così male. Fino a che punto hanno giocato con la mia mente per non farmi più riconoscere Ljena, per farmi dubitare di lei? “Dobbiamo andarcene” dice ancora lei. Annuisco. Mi alzo lentamente, non ho quasi le forze per stare in piedi. Ho fame, molta sete, non riesco a smettere di tremare, ma non è questo il momento di pensarci. So che lei è messa come me. “Conosci la strada per uscire di qua?” mi chiede mentre ci avviciniamo alla porta, sbirciando nei corridoi che fortunatamente sono deserti. Annuisco: qualcosa ricordo. “Al mio tre si corre:” dice ancora. Annuisco di nuovo. “Uno… due… tre!” ci lanciamo fuori dalla porta, subito prendo la forma di un corvo e volo sopra di lei, svoltando senza nessuna incertezza a destra o a sinistra, imboccando questo o quel corridoio, ricordo perfettamente la strada quando ci hanno portato qui. Ogni traccia di dubbio o incertezza è svanita, sono completamente lucido, è il volo che mi fa questo effetto o forse la vicinanza con Ljena. Non incontriamo ostacoli fino a quando non vediamo il primo soldato. È mezzo addormentato, dev’essere notte, ma non appena ci vede ci si para davanti. Ljena gli tira una spallata che gli fa perdere l’equilibrio senza fermarsi, quello cade a terra ma non appena giriamo un angolo sentiamo risuonare un allarme. “Maledizione!” sibiliamo Ljena ed io all’unisono, corriamo più veloce, fino a quando ci troviamo davanti ad una porta sbarrata. Riprendo la forma umana e mi porto vicino a Ljena. “Santski? Sei sicuro che questa sia la direzione giusta da prendere?” mi chiede senza staccare gli occhi dal corridoio davanti a noi, dove già si sentono rumori di passi affrettati. “Sicurissimo. Per di qua ci sono delle scale che portano in superficie, dentro le Torri. È da qui che ci hanno portato in cella.” Lei annuisce brevemente. “Coprimi le spalle” dice porgendomi un pugnale, poi si volta e prendendo un mazzo di chiavi inizia a provarle una per una cercando quella giusta. Le guardie si vedono già all’orizzonte. “Ljena, sono troppe! Dobbiamo sbrigarci!” “Ci sto provando! Ma qui ci saranno cinquecento chiavi!” “Maledizione!” ripeto per la seconda volta io. Poi la sposto e con un’esplosione d’aria compressa così violenta che sorprende pure me spalanco la porta. “Wow!” commenta Ljena allibita, prima di fiondarcisi dentro e richiuderla con uno scatto, cercando alla meglio di bloccarla. Avevo ragione, questa porta conduce a delle scale che si perdono in alto. “Questo ci farà guadagnare qualche tempo” annuncia lei, bloccando la porta usando alcune grosse schegge saltate via dopo l’esplosione come cunei. Dopodiché iniziamo a correre su per le scale, e poco dopo ci troviamo in un familiare corridoio verde. Sentiamo in lontananza il rumore del legno che si spacca e di passi su per le scale. “Sei armata?” chiedo a Ljena. “Solo quel pugnale.” Mi risponde. “Allora non possiamo combattere, dobbiamo cercare di sfuggirgli” lei annuisce e si trasforma in un corvo, subito seguita da me. Voliamo attraverso i corridoi come se avessimo l’inferno alle calcagna, sentiamo i passi delle guardie sempre più vicini, voliamo alto cercando di non farci catturare, vedo alcuni soldati prendere degli archi ma qui, al chiuso, le frecce sono inutili. Per un secondo dopo tanto tempo mi sento libero, vittorioso, felice. È una sensazione fantastica. Eccolo lì, il portone. Quello che conduce fuori, all’aperto. Indico la direzione a Ljena con un cenno dell’ala e ci precipitiamo in quella direzione. Per un secondo penso quasi di avercela fatta. Poi vedo comparire, come per effetto di una magia, Morglock e Terrore. Arrivano dal nulla, davanti al portone chiuso. Terrore ringhia. Morglock solleva una mano. Poi entrambi pronunciano una parola così potente da farmi rizzare le piume. Io e Ljena andiamo a sbattere contro un muro invisibile, come di aria solidificata. Non è possibile. Morglock non possiede questo elemento. Rimbalziamo, cadiamo a terra, cercando di riprendere fiato e di rialzarci in volo. Ma c’è qualcosa che non va. Sento il mio corpo contrarsi in spasmi dolorosi, poi lo sento espandersi fino a quando non riprendo la forma umana. Contro la mia volontà. Sono un Mutaforma, cambiare forma è ciò di cui sono fatto, nessuno può costringermi, nessuno può… Morglock si avvicina a passi lenti e pesanti. Solleva una mano. Il pugnale di Ljena vola fino a lui, che lo prende al volo. “Credevate di poter fuggire. Credevate di essere più furbi di me. Credevate di poter uccidere le mie guardie senza alcun ritegno. Non è così. Voi non siete nessuno in confronto a me. E non potete niente, niente contro di me. Non avete idea di cosa io sia capace. Fra tre giorni verrete messi a morte. E la vostra miserabile vita finirà. Vi ho dato un’opportunità, voi non l’avete colta. Ora morirete invocando la mia pietà, e io non ne avrò.” Dopodiché molte guardie ci sollevano malamente e ci scortano in una cella vuota. Guardo in faccia i soldati che ci fanno questo, uno a uno, per provare a trovare nei loro occhi non so neanche io cosa. Pietà forse? Rimorso? Niente. Solo lo sguardo di un giovane soldato evita il mio. Questo soldato ha il volto coperto da un grosso elmo, ma mi è inconfondibile: Sorian. Abbasso lo sguardo anche io, incrocio quello di Ljena. Almeno siamo insieme, penso distrattamente. E non ne ho nessuna consolazione. Vorrà soltanto dire che moriremo in due.

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