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Francesco


Sono tornato nella mia stanza prima di recarmi all’allenamento col Capo, e ho intravisto Alia nella sua stanza. Mi rimprovero da solo per questo, ma quando l’ho vista mi è sembrato che il mio cuore avesse un sussulto. E insomma, possibile che abbia sempre queste reazioni? Mi sono avvicinato, e ora sono qui che la fisso in silenzio, sulla soglia. Lei è lì, in mezzo alla stanza, e sta raccogliendo per terra il contenuto di una borsa sparso tutto per terra. Mi vede e sembra valutare un attimo l’idea della ritirata, poi ci ripensa. “Ciao.” Mi dice. “Mi trasferisco in una camera più vicina all’infermeria. Questa qui, vicino alla tua, resterà vuota. Stavo portando via le ultime cose ma mi si è rotta la borsa.” Annuisco, mentre lei raccoglie le sue cose in silenzio. Poi prendo coraggio a due mani e le dico: “Senti, se è per quello che mi ha detto l’altro giorno guarda che non importa. Non devi essere imbarazzata, o che so io.” Lei senza smettere di fare quello che stava facendo dice: “No, non è per te.” Poi mi guarda negli occhi. “Ok, è per te. Ma vedi, qui questa storia la conoscono tutti, non c’è mai stato bisogno che la raccontassi. È la prima volta che l’ho raccontata a qualcuno. E fa dannatamente male. E ora ho paura che ogni volta che ti vedrò ripenserò a Charlie e sarà come se morisse ogni volta ma non solo, ho paura che tu penserai… non so… non voglio che la gente mi compatisca. Non sono malata, o che so io.” “Guardami” le dico. “Ti viene da pensare a Charlie? Ti sembra che ti stia compatendo?” ci pensa un attimo. “In effetti no. Mi ha fatto bene raccontarlo a qualcuno. E tu non mi compatisci.” Restiamo in silenzio per un po’. “Per te è così importane che io rimanga qui?” dice. Sento la mia faccia tingersi di rosso. “No!” esclamo forse con troppa veemenza. “Cioè, sì, cioè, fai come vuoi, era solo per capire…” ok sì. Mi importa davvero tanto. Il problema è che non so perché. O meglio, lo so, ma ho paura di dichiararlo a me stesso. Lei ridacchia. “Oh beh, se dipende solo da me… vorrà dire che rimarrò” poi si rialza da terra e si avvia verso l’uscita ma non si accorge di un piccolo frammento di vetro rimasto per terra: ci mette un piede sopra, inciampa, barcolla un attimo agitando le braccia per ritrovare l’equilibrio e poi mi crolla addosso. Io faccio un piccolo passo indietro per non cadere a mia volta, e non so come ma ci ritroviamo abbracciati. E io la bacio. Per un secondo sembra che lei stia rispondendo al bacio, poi si scosta come spaventata. “No. No.” Sussurra. “Perché no?” protesto io. Lei si copre la faccia con i capelli, in quel suo atteggiamento di quando non vuole mostrare le sue emozioni. “Ci conosciamo appena…” dice a mo’ di scusa, ma persino io mi accorgo di quanto sia una scusa debole, e di quanto sia falsa. “Non importa. Non a me. Potrebbe non importare neanche a te. Perché no?” ripeto. Allora lei mi guarda negli occhi, e dopo alcuni interminabili secondi mi risponde in un sussurro: “Han… mi dispiace” conclude abbassando di nuovo lo sguardo, e scappando via. Han. Ma certo. Quello che è venuto a salvarla. Quello bello, perfetto, disinvolto, il guerriero, il capitano del plotone. Han. Pesto un piede per terra con rabbia, poi mi volto e me ne vado anche io di corsa: ho bisogno di allenarmi. Ho bisogno di sfogarmi.

Quando arrivo in palestra Krussan è già lì con Alfa, ispezionano attentamente una lama. Solleva lo sguardo non appena mi sente arrivare. “Sei in anticipo” mi dice. “Sì” rispondo secco, cercando di chiudere lì la conversazione. Alfa si soffia via un ciuffo di capelli dalla fronte e ridacchiando mi dice: “Problemi in amore?” lo guardo malissimo. Lui alza gli occhi al cielo, sbuffando. “Va bene, va bene, ho capito. Me ne vado” dopodiché si trasforma in un cervo ed esce dalla stanza lentamente, urtandomi un po’ con le corna. Probabilmente l’ha fatto apposta. Arrivato sulla soglia volta la testa e bramisce rivolto a Krussan, che sembra capire, e annuisce con un cenno del capo. Poi scompare. Krussan si alza lentamente. “Problemi in amore?” mi chiede. Prendo in seria considerazione l’idea di infilzarlo così su due piedi, ma a parte che probabilmente otterrei, come solo risultato, quello di farlo arrabbiare moltissimo, farmi infilzare a mia volta e poi essere sbattuto fuori dalla Roccaforte, non credo che gli causerei troppi danni, così abbandono i miei propositi guerrieri e mi affloscio. “È così evidente?” chiedo con voce incolore. Lui si siede vicino a me. “Beh, no, però… ok, sì, è così evidente. Nessuno piomba qui ad allenarsi all’improvviso come hai fatto tu, con una faccia a metà fra il furioso e il depresso, senza avere qualche problema. Così a occhio direi che il problema in questione era…” “Sì, sì ho capito” lo interrompo. Sbuffo. “Alia?” chiede lui con tatto. “Ma è proprio così tanto ovvio?” mi lamento. “Sì” risponde lui. Lo guardo di traverso. “Non c’è da stupirsi.” Cerca di rimediare lui. “Tutti qui dubitano di te, alcuni ti sono ostili, non ti considerano all’altezza, molti si chiedono perché non te ne sei ancora andato… scusa per la crudeltà ma è così. Il problema è che fai paura. Non hai un doppio e sembri stare bene, e tutto questo è semplicemente inconcepibile per noi. Le uniche persone senza un doppio da noi sono pazze, profondamente in conflitto con loro stesse, si sentono perennemente in colpa, sono deboli, sconfitte, e costantemente infelici. Non è facile vivere senza un doppio. Guarda Morglock che fine ha fatto, Ljena ha smosso mari e monti pur di trovare Santski, e il mondo è pieno di casi così… la verità è che tu sei strano, e molti non riescono a capire se sia un bene o un male. Poi arriva Alia, che insiste per salvarti, che ti cura, che cerca in tutti i modi di farti rimanere, che si apre con te, che ti è amica. Non è difficile immaginare perché ti sia innamorato.” “La cosa non mi aiuta per niente. Anzi, è deprimente.” Ribatto con voce atona. “Lo immagino. Ma vedi, Alia è una ragazza profondamente danneggiata. Non è in pace con se stessa, ha paura di affezionarsi alla gente, di mostrarsi troppo. La metà di noi Ribelli può solo immaginare lontanamente cosa ha patito nelle segrete. Le torture di Morglock l’hanno cambiata, è come se l’avessero denudata e poi derisa. Si sente rapinata della sua stessa anima. Ora non permette che nessuno guardi nel suo cuore, ha paura di essere tradita. Ed è molto sola. Lei e Charlie avevano un legame fortissimo, pensavamo tutti che quando sarebbe morto Charlie sarebbe morta anche lei. Ora non puoi immaginare come si sente.” No. Non posso. “Alia ha paura. Sobbalza quando qualcuno la coglie di sorpresa, si guarda alle spalle quando è sola. Non si fida di nessuno. Non puoi chiederle una cosa impegnativa come una relazione adesso, quando è ancora così debole.” “Di me si è fidata.” “Sì, è vero. Si è fidata di te. Forse allora non è tutto perduto, ma ci vorrà del tempo.” Rido ma senza allegria, una risata amara. “Secondo me è pronta. Solo, non con me. Con Han.” Lui strabuzza gli occhi. Ma perché ho tirato fuori quel nome? Devo essere impazzito. Era proprio necessario parlare? Krussan fissa lo sguardo in terra, serra le labbra in modo strano, inizia a sussultare leggermente e poi… scoppia sonoramente a ridere. “Non fa ridere.” Dico acido. Lui ha le lacrime agli occhi. “Oh sì invece. Fa molto ridere.” Lo guardo malissimo per la seconda volta. Lui allora si calma, balza in piedi e afferra la sua spada. “Forza ora. Prendi la spada e combatti.” Mi dice imperioso. “Ma come!” mi lamento. Lui non mi fa sconti. “Sì, adesso. È ora. E poi sei abbastanza arrabbiato con tutti da poterti permettere un combattimento decente.” Mi alzo controvoglia e sollevo un poco la spada “In guardia!” abbaia lui, imitando la posizione giusta. Sollevo un altro po’ la spada. Lui subito mi attacca, e senza avere il tempo di fare niente mi ritrovo con una lama sotto la gola. “Non ti ho neanche disarmato. A quest’ora ti avrei già ucciso, e tu eri armato. Devi muoverti, non puoi stare così a guardare negli occhi chi ti attacca. Intesi?” il suo tono duro mi fa ricordare il perché sono andato lì la prima volta, per imparare a combattere. Non posso fare così. “In guardia.” Intima Krussan. Mi metto in guardia. Svuoto la mente da qualsiasi pensiero, lascio che il mio istinto prenda il sopravvento. Quando lui mi attacca mi sposto verso destra, lasciando spazio alle mie sensazioni, facendo in modo che sia il mio stesso istinto di sopravvivenza a farmi fare le mosse giuste. Ci spostiamo in cerchio scambiandoci colpi sempre più veloci, ormai quando lui mi disarma o mi batte non c’è bisogno di dire niente, riprendiamo a combattere subito. Sono talmente concentrato che non mi accorgo del tempo che passa, della mia stanchezza, dell’indolenzimento che ho nei muscoli. I miei occhi non lasciano un secondo quelli grigi di Krussan, e così fanno i suoi. Dopo un numero quasi infinito di lotte e duelli noto un particolare: una vena nel collo del mio compagno si gonfia e pulsa in modo strano, i suoi movimenti sono sempre agili e scattanti ma sembrano compiuti con più fatica: è stanco. Prendo questo dettaglio come un punto a mio favore, e non appena lui prova un attacco diretto alla testa io aspetto fino all’ultimo secondo prima di spostarmi di lato con un movimento impercettibile. Come sospettavo, lui non fa in tempo a cambiare direzione e inciampa, annaspando. Cerco di colpirlo da dietro ma all’ultimo lui muove una mano e fa apparire un pilastro di roccia alto quasi quanto me. La mia spada ci rimane intrappolata dentro, con la punta che sbuca dall’altra parte. Come La spada nella roccia penso stupidamente mentre Krussan si rialza fulmineo e con un calcio mi spedisce all’altro capo della stanza, facendomi perdere la presa sull’elsa della spada. Mentre ancora cerco di alzarmi, la caduta mi ha fatto momentaneamente perdere il fiato, lui con un altro gesto della mano fa scomparire la roccia e si impossessa della mia spada. In un secondo è di fianco a me, e mi punta due lame alla gola. “Questo non è leale!” cerco di dire, mentre mi rialzo e tento di schivare i suoi attacchi. Non si sta risparmiando, anche se vede che sono disarmato. “Leale? Leale? Credi forse che ci sia qualcuno di leale lì fuori? Credi forse che ci sia qualcuno disposto a non usare il suo potere, anche se sta per morire?” schivo per un pelo un attacco incrociato, ringraziando fra me e me di avere ancora la testa sul posto. Lui continua a parlare, come se mi insultasse. Pronuncia ogni volta la parola leale come se lo disgustasse, come se fosse una parolaccia. “Hai ragione, non è leale. Ma ricordati che chiunque possieda un minimo di magia sugli elementi cercherà di usarla per potersi salvare la vita, e non gliene fregherà niente del fatto che tu non ne possiedi, del fatto che non è leale.” Scandisce bene le frasi con dei colpi che devo cercare di schivare. Ma che fa? Il mio era solo un commento! “In una qualsiasi battaglia tu sarai sempre in netto svantaggio rispetto a qualunque mago ti attacchi, ricordatelo, e cerca di non far pesare alla tua battaglia questo fatto.” Ormai il duello si è ridotto a me che corro in tondo cercando di non farmi affettare, sembra una specie di distorta partita di palla prigioniera. Ad un certo punto lui si blocca di scatto. Mi restituisce la mia spada, con lo sguardo basso. “Il mondo non è leale. La guerra neanche. Cerca di ricordartelo.” Ho la strana sensazione di averlo deluso con quel commento. Prendo la mia spada in silenzio, cercando qualcosa da dire. Non ne trovo. Me ne vado in silenzio, lasciandolo lì in mezzo alla stanza, con lo sguardo fisso sul pavimento.

Mentre torno nella mia stanza incontro Han per strada. Cerco di far finta di non vederlo, ma lui mi nota subito e mi fa dei cenni con la mano prima di correre da me. “Ehi!” non rispondo. Sembra non cogliere il messaggio e inizia a camminarmi a fianco. “Hai un aspetto spaventoso. Dove sei stato?” ha ragione in effetti: sono tutto sudato, ansimo ancora per la fatica, ho le braccia doloranti e piene di lividi. Devo essere in uno stato pietoso. “Allenamento” rispondo, con un’alzata di spalle. Lui fischia. “Con il Capo? Wow.” “Le notizie girano” commento. “No, è che solo il Capo sarebbe capace di ridurre una persona così dopo un allenamento. È duro, non fa sconti a nessuno. Quando ti attacca sembra che abbia veramente intenzione di ucciderti. È per questo che lo ammiro.” Perché, anche lui ha intenzione di uccidermi? Che gentile. No, probabilmente non intendeva questo, ma in questo momento sono più propenso a credere a questa versione dei fatti. Mi da un buon motivo per non sopportarlo. Han si aspetta una risposta, dovrei commentare? Probabilmente sì, ma non importa. Alzo un pochino le spalle. Lui continua a parlare, ma mi sembra un po’ a disagio. “Combatte meglio di tutti noi, il Capo. È un buon Capo. Bisogna essere capaci a comandare, non basta solo la buona volontà.” Non replico. “Non trovi?” azzarda Han. “Eh.” Rispondo, poco convinto. “Anche se come istruttore a volte è un po’ impossibile. Vuole la perfezione. Fa bene, però è difficile essere perfetti. Specialmente dopo pochi allenamenti.” Annuisco brevemente col capo, cercando di levarmelo di torno. Poverino, in realtà non è neanche colpa sua, però in questo momento non lo sopporto. “Sai, ho una strana sensazione in questo momento” dice. “Ah sì? E quale?” rispondo per cortesia. “Quella che tu non mi sopporti.” Mi blocco. “Non è vero” rispondo. “Oh sì, è vero. Non hai fatto altro che guardarmi malissimo e ignorarmi, rispondendomi stentatamente quasi come se qualcuno ti dovesse tirare le risposte fuori dalla bocca con una pinza.” “No, è solo un’impressione” dico, cercando di andarmene. Ma lui mi si para davanti. “Ma si può sapere che hai? Che cosa ti ho fatto? Sai, non sono così tanto stupido, me ne accorgo quando qualcosa non va. Potrà sembrarti strano ma, vanti a parte, non sono diventato uno dei personaggi più importanti fra i Ribelli perché sono stupido.” Non lo sopporto più, voglio solo andarmene e levarmelo di torno. Così gli chiedo: “Ti piace Alia?” così, a bruciapelo. Lui sembra sorpreso. “Alia? Ma no, è solo un’ottima amica. È simpatica, certo, la conosco da un sacco di tempo, non esiterei a mettermi in pericolo per lei ma è solo un’amica, lo giuro, niente di più... come può esserti venuto in mente che…” poi sembra capire. “Ah. Ah. Senti, mi dispiace. Davvero. Vedrai che…” ma non ho più voglia di starlo ad ascoltare. Gli giro intorno e me ne vado, senza fermarmi né voltarmi indietro nonostante i suoi molti richiami.

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