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Ljena

“Stai cercando di comunicare con Santski?” sobbalzo. Non mi ero accorto che Francesco si fosse svegliato. “Sì” non è vero: sto cercando di parlare alla Luna. E pensavo al mio sogno dell’altra notte. E al mio senso di colpa verso Francesco. E al fatto che non so cosa farò quando mi troverò faccia a faccia con Morglock. Se solo Santski fosse qui! Lui sapeva sempre cosa fare in queste situazioni. Ha ragione Francesco: sto cercando di comunicare con Santski. Mi siedo a terra. Lui si siede vicino a me. “Scusa per quello che ho detto prima, nel bosco. E durante la tempesta. È solo che sono spaventato… non è una bella sensazione. Ti fa sentire impotente.” “No, non importa. È che… sì insomma, non riesco a togliermi dalla testa l’idea che tu abbia ragione. Eccomi qua, che prometto di salvarti, di non farti morire, e poi tu ti ammali di una malattia che non so curare, e che dovrei saper curare solo che non sono brava a fare questi incantesimi e potrei morirne, Giada sì che era brava in queste cose, e a proposito, mi sento in colpa perché Giada e Swan sono morte, ed erano le mie migliori amiche e sono morte, e io sono viva, e Din e Sylvia sono morti e io sono fuggita, e tutti quelli della Scuola combattono e muoiono per garantire a me e agli altri una ritirata sicura, un termine un po’ più elegante per dire fuga sicura, e anche dopo che Morglock ci ha trovati ho continuato a fuggire, e anche adesso vorrei solo fuggire e se non avessero preso Santski io non sarei mai tornata, e anche ora che sono tornata non so cosa fare, non so cosa farò se mi troverò faccia a faccia con Morglock, non posso ucciderlo non posso eppure se non lo uccido sarà lui ad uccidere me, ed è una scelta che dovrò fare ma spero che questo momento arrivi più tardi che mai, ed è una cosa da codardi lo so, come la fuga, come tutto ciò che ho fatto da quando è iniziata questa schifo di storia, forse sono solo una codarda, mi viene offerto il potere della Luna ma non so come fare ad averlo, e cosa vuol dire essere la più potente fra i maghi dell’aria se tanto poi questo potere non ti serve a niente, neanche a proteggere le persone a cui tieni, che vengono uccise, rapite, si ammalano, a cosa serve avere un potere così grande se non sai come usarlo? Se non sai neanche se vuoi usarlo? Perché è questa la verità, farà schifo ma è la verità, io non voglio usare il mio potere su di Morglock, non potrei sopportare di ferirlo in qualsiasi modo, la sola idea mi distrugge, e allora cosa faccio? Cerco di rimandare le decisioni importanti, fuggo, dalla scuola, da questo mondo addirittura, pur di non affrontarlo a viso scoperto. Perché non posso affrontarlo a viso scoperto. A cuore scoperto. È la persona a cui tengo di più dopo Santski, e si avvicina sempre di più l’ora in cui dovrò compiere una scelta: o Morglock o Santski. Fra loro due io so chi scelgo: scelgo Santski. Il problema è che non voglio fare questa scelta. Hai detto di avere paura: bene, sappi che non sei l’unico. Se possibile ho ancora più paura di te.” Sono un fiume in piena, non riesco a smettere di parlare, da quanto è che non mi veniva offerta la possibilità di parlare! Ogni parola che dico mi invoglia a parlare sempre di più dei miei problemi, è così liberatorio avere qualcuno che ti ascolta! Francesco mi guarda fisso negli occhi. Cerco di sottrarmi a questo sguardo ma scopro di non riuscirci. “Tu non sei una codarda. Sei la persona più coraggiosa che conosca. È normale avere paura delle scelte, sarebbe da pazzi non averne. O da suicidi. Eppure tu vai avanti lo stesso, non ti fermi. Quelle che dici tu non sono fughe. Se fossi rimasta dov’eri, alla scuola, quando eri inseguita, probabilmente saresti morta. Salvarsi la vita non è da codardi, è semplicemente tenere alla propria esistenza. Non tenerci è da ipocriti. Tutte quelle persone che si vantano di avere coraggio, di sfidare la morte, le sfide in realtà le temono moltissimo. E ciò di cui hanno veramente paura è starsene lì, ad aspettare ciò che succederà. Mettersi in viaggio per salvare qualcuno che si ama, non fermarsi neanche davanti ad una tempesta magica, una città ostile, un tunnel allagato, migliaia di pericoli, e tuttavia non sottrarsi al momento in cui si dovrà compiere una scelta che condizionerà tutti, questo è coraggio. Tornare indietro, salvarmi dalle guardie, quello è stato coraggio. Ripararmi da una tempesta, da un Guardiano che non sapevo sfidare: quello è stato coraggio. Accettare anche solo il pensiero della scelta che dovrai fare, quello è coraggio. Io non ne sarei capace. Ti è stato chiesto di scegliere tra due persone che ami, ti è stato chiesto di decidere per la loro vita: è normale odiare queste condizioni. È normale non voler scegliere. È normale. L’importante è che tu sceglierai, perché sei forte. E riguardo a tutte le persone che sono morte, non puoi proteggere il mondo e allo stesso tempo te stessa. Quelli della Scuola hanno fatto una scelta: quella di rinunciare alla propria vita per salvare la vostra. Non puoi torturarti per questo, l’hanno scelto da soli. Puoi però onorare il loro sacrificio non rendendolo vano: resta viva. Cerca di salvare Santski. È il minimo che puoi fare.” “Din è morto perché non lo abbiamo protetto a sufficienza.” Replico a voce bassa. Lui mi prende per un braccio e mi scuote forte. “Smettila. Smettila di darti la colpa. Din, Sylvia, Giada Swan. Smettila di sentirti responsabile per loro. La colpa è del mostro che li ha uccisi. Solo e soltanto sua è la colpa.” “È difficile.” “Lo so. Ma prima o poi si impara. Si impara a fare tutto. E l’immagine dei loro cadaveri nella mente, unita ad un orrendo senso di colpa non ti aiuterà a vincere questa guerra.” Provo a ribattere e scopro di non riuscirci. Ha ragione. Rimaniamo seduti lì per un po’ lui pensando a chissà cosa, a volte toccandosi la faccia nel punto dove già si nota un’enorme zona rossa e lucida, io fissando la luna, in cerca di risposte che non mi arrivano. Non da lei. Poi, appena prima che l’alba sorga ci mettiamo in cammino. “Ma non ci teletrasportiamo?” mi chiede Francesco. “No. Voglio arrivare il meno stanca possibile a San Pietroburgo. Perché, c’è qualcosa che non va?” “No, no. È solo che…” non conclude la frase. Mi crolla addosso di peso. “Francesco!” urlo. È bollente. La macchia rossa sul suo viso si è allargata, gli copre tutto il volto, il collo. Lo sorreggo come posso, mentre lui socchiude gli occhi e mi dice come trasognato: “Sei rossa. Come mai sei rossa?” “Ok, adesso stai calmo. Stai calmo, va bene? Ti porto via di qui. Subito. In un posto dove ti potranno curare.” Ma dove posso portarlo? Come fa a restare calmo se io non lo sono? “Non preoccuparti. Sto bene…” dice, muovendo qualche passo incerto, prima di accasciarsi sull’erba. Corro vicino a lui, prendo la borraccia d’acqua che avevamo e gliela rovescio interamente sul viso, in mancanza di meglio da fare, ma non funziona, evapora. Francesco per un secondo sembra tornare lucido ma poi sviene di nuovo, si risveglia, balbetta qualcosa di incomprensibile. “Sta’ calmo. Sta’ calmo. Ora ti porto via da qui” gli dico, nella speranza di tranquillizzarlo e di tranquillizzare me stessa. Lo prendo per mano, non so cosa fare, posso solo trasportarlo da qualche parte dove ci sia un medico. La decisione è immediata: mi teletrasporto a San Pietroburgo portandolo con me. Non appena giungiamo davanti al panorama familiare delle Torri Verdi sembra stare meglio, si regge in piedi ma ha gli occhi annebbiati. “Ti porto da un medico” gli dico risoluta. “No…” cerca di fermarmi lui. “Santski…” ed è in questo momento che una stilettata di dolore mi trapassa il cervello. Boccheggio in cerca d’aria prima di riprendermi. Trascino Francesco per le familiari vie della città, con questo malessere crescente che aumenta, e noto come sono deserte. Non lo sono mai. A meno che non ci sia qualche rappresentazione importante, oppure… un’esecuzione. Inizio a correre portando Francesco con me fino a quando non mi ritrovo in una piazza gremita di gente, proprio di fronte alle Torri Verdi. Un’ondata di dolore mi colpisce lì sul posto, tanto che è Francesco a dovermi sorreggere. Sembra stare meglio devo dire. Un’altra ondata di nausea, poi capisco ed è in questo momento che abbandono tutti i miei piani, che butto i miei propositi all’aria, perché solo una cosa conta adesso. Guardo Francesco, sembra stare meglio davvero mi dico, ma forse è solo che sono accecata dalla gioia e dall’angoscia, perché ora, per la prima volta da giorni, lo sento. Santski. Sento la sua vicinanza. Mi volto verso il mio compagno e gli dico, resistendo a malapena alla voglia immensa che ho di gridare: “È lì! Nelle Torri! Lo sento!”

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