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Francesco

Mi risveglio sputacchiando e annaspando in cerca d’aria. Qualcuno mi ha rovesciato dell’acqua in faccia. “Alzati.” Dice una voce dura, da ragazza. Mi siedo, ma dei crampi allo stomaco mi costringono a tornare giù. “Ecco. Bevi” dice la voce di prima, e mi vedo porgere un secchio colmo d’acqua. Ho la gola così secca che è un dolore perfino respirare. Mi attacco a quel secchio come se ne andasse della mia vita, e ho così sete che non stento a credere sia vero. “Ehi, vacci piano, altrimenti vomiti.” La ragazza ha ragione. Dopo aver finito di bere mi giro su un fianco e vomito tutto ciò che ho nel corpo, poi mi riattacco al secchio, che qualcuno ha riempito, vomito di nuovo l’anima, bevo di nuovo, questa volta riesco a trattenere qualcosa in corpo. “Vacci piano! Bere così tanto e tutto in un colpo dopo tre giorni di digiuno non fa mica bene.” “Tre… tre giorni?” “Eh già. Sei rimasto svenuto per un po’ dopo che hai battuto la testa, poi ti sei risvegliato per qualche minuto, ma deliravi. Il fuoco stava facendo effetto.” “Il fuoco? Ah già…” in un istante tutti i ricordi dei giorni precedenti mi franano addosso, lasciandomi più stordito di quanto non fossi già. “Già, il fuoco. Sei stato fortunato. Il Capo voleva sbatterti fuori per evitare il contagio, ma io l’ho convinto a farti rimanere. Con altri due maghi dell’acqua siamo riusciti a guarirti, ma è stata dura. Estenuante. Abbiamo lavorato su di te per una notte intera, e alla fine eri così provato dalle cure che sei rimasto praticamente in coma per due giorni. Senza mangiare né bere. È naturale che il tuo stomaco si rifiuti di accettare tutta quell’acqua, è già tanto che non si sia raggrinzito fino alle dimensioni di una noce. Sei fortunato a essere vivo, non molti ci riescono.” Mi guardo intorno. Sono sdraiato in una sala molto ampia, tutta fatta di pietra. Fa freddo. Sono sdraiato per terra, la stanza è vuota a parte, me, il secchio, un piccolo letto e un comodino, un tendaggio che copre una parete o forse un’altra stanza e uno sgabello sul quale è appollaiata la ragazza. La ragazza: fisso il mio sguardo su di lei: è minuta, sottile, non sembra forte ma lo scintillio dei suoi chiarissimi occhi azzurri rivela astuzia. Ha la pelle molto pallida, i denti appuntiti e schiusi in un sorriso furbo, e i capelli… i suoi capelli sono lunghi fino alla vita, e completamente bianchi. Sembrano quasi trasparenti, con alcuni riflessi azzurrini, come se fossero fatti d’acqua. Si accorge che la sto fissando. “Mi chiamo Alia. Te la senti di incontrare il Capo? Vuole vederti al più presto, per essere sicuro che tu non sia una spia. Sei una spia?” “Suppongo di no…” in questo momento noto un particolare, al quale prima non avevo fatto assolutamente caso. “Dov’è il tuo doppio?” le chiedo. Lei si alza e mi volta le spalle, nascondendo il viso dietro i capelli. “Il Capo ti vuole incontrare. Andiamo?” ripete in modo meccanico. Mi alzo e la seguo. “Aspetta! il capo di cosa?” si volta, mi fissa. “Ma dei Ribelli, ovvio. Benvenuto alla Roccaforte.”

Attraversiamo ampie sale e stretti corridoi tortuosi, alcuni vuoti, altri affollati di persone intente in classiche attività guerriere, come affilare spade, provare alcuni affondi, controllare ed eventualmente riparare alcuni scudi e armature, o semplicemente camminare con aria truce, senza abbandonare un attimo le armi. Un’altra differenza fra qui e il mio mondo: qui non esistono armi da fuoco, penso distrattamente. Strano che me ne sia accorto solo ora. Molti volti mi fissano. Affretto il passo dietro ad Alia, non mi fido molto di restare qui da solo. Lei non mi parla durante il tragitto. Dopo un tempo che a me pare lunghissimo arriviamo fino ad un corridoio buio e deserto, più stretto degli altri. Termina davanti ad una parete. Lei appoggia la mano sulla parete, che improvvisamente sembra diventar di vetro, poi svanisce lasciandola passare. Lei procede con disinvoltura, e io tento di seguirla se non fosse che la parete si richiude prima di darmi il tempo di procedere. Ci vado a sbattere contro, come un pollo. Sento Alia ridacchiare dall’altra parte, e mi giunge il forte sospetto che abbia visto tutto. “Ehi! Ehi Alia! Aiutami a passare! Com’è quel trucco della mano?” ride. “Eh no carino! Il modo per passare lo devi trovare tu, e tu soltanto!” dopotutto non credo si fidi di me. Appoggio lentamente una mano sulla superficie fredda e levigata della parete, e subito avverto una forte scossa: sento come se fossi attraversato da un occhio indagatore che mi scruta a fondo, mi sento come denudato, ho una sensazione strana alla bocca dello stomaco come quando sulle montagne russe si è in caduta libera. Poi tutto cessa, e la parete si apre. “Ben fatto” dice Alia. “Ma cos’è stato?” “Oh, niente, ha solo scandagliato la tua anima da cima a fondo, per capire se sei amico o nemico. A quanto pare sei amico.” “Ah… e allora non c’è problema, no? Il Capo mi vorrà ancora buttare fuori?” “Certo. Assolutamente sì. Il Capo è sospettoso. Ma fa bene: questo strumento è imperfetto, è appunto solo uno strumento. Il precedente Capo… è stato assassinato, e con lui la sua famiglia. È stato tradito da una spia. Ora il Capo non si fida più di nessuno.” Rammento la storia che mi aveva raccontato Tutsi: suo figlio, il capo dei Ribelli… intanto Alia ha bussato ad una porta di legno massiccio, tre volte. I battiti risuonano cupi nella piccola anticamera. “Avanti.” Dice una voce cupa. La porta si apre, e noi entriamo in una stanza buia, piccola, identica alle altre tranne per un’unica differenza: un trono è situato di fronte alla porta, e sopra siede un uomo in ombra che non riesco a scorgere in viso. Sembra quasi una statua, tanto è immobile. “Bene bene. Il nostro piccolo eroe si è svegliato vedo.” Ha una voce sospettosa, sarcastica. Tuttavia Alia non sembra in soggezione, sembra solo mostrare un grandissimo rispetto. Evidentemente quel tono è riservato solo a me. “Salve” dico. L’uomo si alza entrando nel cono di luce, o meglio, il ragazzo si alza. È un ragazzo alto, dal portamento fiero, che tiene la testa alta. Incute un certo rispetto, come un vero capo. Ha i capelli marroni chiari, e due spettacolari occhi grigi, duri, spietati, di chi ne ha passate tante e di chi non risparmierà nessuno. Mi ricordano l’acciaio, e anche qualcos'altro... non riesco a ricordare cosa. Il ragazzo, noto, non sembra troppo più grande di me: diciott’anni al massimo. “Salve.” Risponde scrutandomi attentamente. “Dov’è il tuo doppio? È finito ammazzato anche lui?” Alia si ritrae, come se fosse stata colpita. La mancanza di tatto di questo Capo mi sorprende. Non rispondo, allora continua lui a parlare. “Vedo che hai oltrepassato la porta magica. Oppure è stata Alia a farti passare?” insinua, lanciando un’occhiata di rimprovero alla ragazza, che arrossisce imbarazzata. “Non mi ha fatto passare lei.” Mi sento in dovere di difenderla. “Sono passato da solo. E non sia troppo duro con lei, ha solo cercato di salvarmi.” “Appunto” replica lui, sprezzante. “Ha usato praticamente tutto il suo potere guaritore per salvare e difendere un individuo a rischio di contagio, di provenienza dubbia e di fedeltà ancora più dubbia. Quindi sì, sarò duro con lei. E con chi mi interrompe mentre parlo. Oh, e anche con chi pensa di saperne più di me sulle decisioni giuste e sbagliate da prendere.” Adesso questo tipo mi sta veramente facendo arrabbiare. Ma chi si crede di essere? “Ehi ma chi ti credi di essere? Credi di essere l’unico ad aver patito qualcosa?” mi accorgo subito che era la cosa sbagliata da dire. Alia mi lancia un’occhiata spaventata, il Capo è furente. Si fa avanti piano, i passi che rimbombano sul pavimento di pietra, fino a quando i suoi occhi non sono a qualche centimetro dai miei. “Credi di essere l’unico ad aver patito qualcosa?” ripete. “Sicuramente no. Ma lascia che ti dica una cosa: sono stato io a raccogliere i Ribelli dopo che il loro Capo era morto. Sono stato io a prenderne il comando e a guidarli alla battaglia. Sono stato io a farli riscattare. Sono stato io ad aver preso d’assalto le prigioni, nel tentativo di salvare qualcuno dei miei soldati. Io ho visto la mia casa bruciare con mia madre ancora rinchiuso dentro, io ho sentito le sue urla. E sempre io non mi sono arreso nonostante tutto. Io conduco questa guerra disperata da troppo tempo. Io vedo ogni giorno miei soldati morire, e per me tutti quei soldati sono come fratelli. Io da sempre difendo questi miei fratelli anche a costo della vita. E, cosa non meno importante, io sono il Capo. Io non permetto a nessuno di mancarmi di rispetto davanti al mio trono. Io non permetto che qualcuno metta in pericolo la vita dei miei uomini con la sua sola presenza.” Conclude, voltandosi. “Alia, portalo via. Bendalo, fallo uscire da qui. Non lo farò uccidere, dopo quello che abbiamo fatto per salvarlo, ma che se ne vada. Senza sapere la collocazione della Roccaforte. Ora.” Alia mi conduce fuori, sembra dispiaciuta. “Mi dispiace” bisbiglia. Non rispondo.
"Hai gli occhi uguali a lei…” dico invece al Capo, non so perché. “A chi?” chiede lui, sorpreso. “A Ljena. Ma non importa.” Rispondo. Mai avrei potuto immaginare che le parole da me pronunciate avrebbero prodotto una tale reazione: il Capo, con uno scatto felino, si volta, mi prende per il bavero della maglia e mi sbatte contro una parete, inchiodandomi poi lì piantandomi un ginocchio nello stomaco, col viso a due centimetri dal mio. “Che cosa sai di lei?” sibila. “Rispondimi!” continua poi, spingendo il ginocchio un po’ più in profondità nel mio stomaco, dato che non proferisco parola. “È una storia complicata” gracchio, dato che non riesco quasi a respirare. Si sposta, lasciandomi cadere a terra. “E allora racconta.” Mi dice, in tono duro. E così comincio a raccontare: del mio mondo, del rapimento di Santski, della missione di salvataggio. Finito il racconto il Capo ride, una risata senza allegria. “Fantastico, davvero. Fenomenale. E così tu non avresti un doppio… beh, scusa se non ti credo ma mi è un po’ difficile prenderti sul serio… insomma, ma chi sei? Sei il nuovo fidanzatino di Ljena? Speriamo almeno che ti rivelerai un po’ meno pericoloso del precedente…” conclude, con sprezzo. Questo tipo sta mettendo a dura prova la mia sopportazione. “Non sono il suo fidanzatino. Solo quello che le ha impedito di ammazzarsi oltrepassando un’altra volta le barriere fra i mondi.” “Tipico suo, andarsene a fare una gita fra due mondi, mentre la gente qui combatte e muore. È da un anno che combattiamo, forse più. E lei? Era in un altro mondo in compagnia… tua” pronuncia l’ultima parola con sprezzo. “Ma chi sei che la conosci così bene?” “Non l’hai capito, eh? Certo… tipico suo, coinvolgere un perfetto estraneo nelle sue missioni suicide, senza spiegargli veramente chi è e quali sono le sue intenzioni, fare in modo di diventare grandi amici e poi all’ultimo istante, trac! Mollarlo al primo che capita senza nessuna spiegazione.” “Ehi, guarda che non è andata proprio così! So cosa stava facendo. Ed è stata catturata. Non ha avuto scelta.” “Suppongo che la faccenda possa anche essere vista in questo modo, ma io non avrei abbandonato mai uno dei miei uomini. Neanche avessi dovuto passare a filo di spada ogni singolo soldato su questa terra. E scusami se mi permetto di criticare, ma io sono un capo, e i capi hanno come prima priorità la vita dei loro uomini. Fra voi due era lei il capo, non negarlo. Quindi sì, io biasimo chiunque non abbia la vita del proprio compagno come priorità. E poi, dici di sapere veramente lo scopo della missione?” “È andata per salvare Santski.” “È andata per Santski, certo. È anche tornata da Morglock. Non ne ha potuto fare a meno. Tipico suo…” le sue insinuazioni mi fanno davvero arrabbiare. “Ma si può sapere chi sei che credi di conoscerla così bene?” mi guarda a lungo negli occhi, prima di rispondermi. “Sono suo fratello. Alia, richiama il consiglio. Abbiamo qualcosa su cui discutere.” Conclude poi, senza degnarmi di uno sguardo.

Ljena

Sono passati tre giorni, e ancora nessuno è venuto a parlarci, o a farci chissà cosa. E non so se sia un bene o un male. Di sicuro questa attesa mi sta snervando. E sì, vorrei rivedere Morglock. Non era lo scopo della missione, ma in fondo so che lo volevo rivedere. Per parlargli, capire cosa è successo. Magari aiutarlo a cambiare. Santski lo sa, mi conosce, ma ho l’impressione di non essere stata troppo onesta con Francesco. L’ho abbandonato. E adesso chissà dov’è! Chissà cosa gli è successo! Spero stia bene, che qualcuno lo abbia curato, spero di poter chiarire tutto quando lo riporteremo indietro. Perché lo riporteremo indietro. Vivo. Gliel’ho promesso, e sebbene ci siano state promesse che non ho mantenuto, questa la voglio mantenere. Francesco rimarrà vivo. Santski sta dormendo sul pavimento con la testa sotto un’ala, ma si sveglia di soprassalto trasformandosi. “Cosa c’è?” mi chiede. Probabilmente l’intensità dei miei pensieri lo ha svegliato. “Niente, stavo solo pensando…” “No, non tu. Ho sentito qualcosa di strano.” Mi alzo subito in piedi: di solito le sensazioni di Santski corrispondono al vero. “Cosa?” gli chiedo. “Non saprei. Ho sentito di nuovo quella presenza nella mia testa, la Luna… mi contatta spesso durante il sonno.” La Luna? Cosa vuole dirci? Ho la strana sensazione che ci voglia inviare disperatamente un messaggio, che ci abbia dato tutti gli indizi necessari per giungere alla conclusione di questo enigma, ma che ci manchi qualcosa di fondamentale per capirci qualcosa. Un filo logico. Come quando stai facendo un puzzle, e hai due pezzi che non riesci assolutamente ad incastrare e ti sembra che non ce la farai mai, poi ne trovi un terzo che si incastra perfettamente con gli altri due e li unisce, e ti viene da pensare: “Ma certo, è tutto qui. È così semplice!” e all’improvviso sembra tutto uno scherzo, un gioco da ragazzi. Cosa non darei per avere quel terzo pezzo! “E cosa ti ha detto?” chiedo a Santski. “Non so, il collegamento era molto più instabile questa volta. Più confuso… succederà presto qualcosa, comunque. Questo l’ho capito.” Annuisco in silenzio, fissando la porta. Per circa quattro secondi non succede niente: poi si sente uno schiocco nell’aria, e lo spazio intorno a noi crepita di elettricità. Improvvisamente inizio a provare un po’ di nausea. Mi volto verso Santski, lui mi guarda interrogativo. Cerco di avvicinarmi a lui e… non ci riesco! Una parete trasparente ci divide, e non solo i nostri corpi ma anche le nostre anime, è per questo che mi sento male! Tasto la parete in cerca di un’apertura, un punto debole, niente. Non c’è niente. Anche lui sta facendo lo stesso, senza risultati. Cerca di parlarmi, vedo le sue labbra muoversi ma non sento niente. “Cosa? Non capisco!” provo a dirgli, ma la mia voce è ovattata, la parete che c’è fra di noi non lascia passar neanche il minimo rumore. Frustrata batto un pugno sulla parete, con l’unico risultato di farmi male. Si diffonde un suono cristallino per la stanza, come un diapason. Assomiglia ad una risata. Poso le mani e la fronte sulla parete fredda, sento che lui dall’altra parte fa lo stesso. Le nostre mani si trovano in corrispondenza, ma non possono toccarsi. “Ma che scena… toccante” dice una voce sprezzante. La voce di Morglock. Ci giriamo di scatto, è lì, davanti alla porta, con due guardie alle spalle. Improvvisamente, così come erano apparse, le pareti scompaiono. A che scopo le ha fatte apparire? Vuole solo dimostrarci chi è il più forte. “Salve, Morglock. Vedo che questa volta sei accompagnato… da quando è che non ti vedo solo? Ah già… da quando ti sei fatto quella spettacolare caduta nel corridoio! Ti brucia, eh?” esordisce Santski. Il viso di Morglock si contrae in una smorfia di rabbia, ma riprende quasi subito il suo aspetto calmo. Sorride pure. “Salve anche a te, Santski. Da quanto è che non ti vedevo così audace? Ah già… forse da quando hai iniziato a temermi? Cos’è, adesso hai ritrovato il tuo coraggio? Peccato! Iniziavo quasi a divertirmi!” poi sembra notarmi, e il suo sorriso si fa più aperto. “Ljena! Da quanto tempo! È passato un anno dalla nostra ultima conversazione civile. Tanto tempo, vero? Avremmo potuto parlare di più se non fossi fuggita come una perdente… una codarda. Devo dire che con quel giochetto dei mondi mi hai davvero sorpreso. Sì, è stato sorprendente, ma se posso permettermi una critica, un po’ troppo azzardato. Imperfetto. Ma tu sei sempre stata così… impulsiva. Non hai mai pensato alle conseguenze dei tuoi gesti, non prima che accadessero. È per questo che mi piacevi così tanto.” “Ma che cosa vuoi? Parli di paura, di quanto ti dobbiamo temere, e poi non sei in grado di venire qui solo. Hai ucciso o catturato tutti quelli che ti erano amici, perché, avevi forse paura che ti usurpassimo il trono? O forse solo non volevi nessuno che ti facesse capire quanto sei pazzo?” esplodo, cercando di irritarlo. Lui fa un gesto noncurante con la mano. “Quante domande, insomma! Risponderò a tutte, prima o poi, ma adesso sentite la mia: c’è un motivo se vi ho catturati vivi, se ho fatto in modo che non vi uccidessero.” Santski fa un verso a metà fra uno sbuffo e una risata amara. “Si, anche te, Santski. Non volevo ucciderti, solo condurre Ljena qui. In due siete più potenti. E sapete perché vi volevo qui, con me? Per offrirvi il potere.” Mi guarda, e nei suoi occhi mi sembra di scorgere una supplica, ma forse è solo la mia immaginazione. “Ljena, ciò che provo per te non è cambiato. Non ho mai avuto intenzione di uccidervi, neanche gli altri. È stato solo un incidente, devi credermi! Io volevo solo parlarvi, siete voi che avete voluto combattere. Vi prego, unitevi a me. Renderemo il mondo migliore, un luogo di pace, dove tutti potranno vivere. E noi saremo i capi di tutto. Accettate, e nessuno morirà. Saranno tutti salvi. Nel mondo non ci saranno più diversità, squilibri sociali, sofferenze.” “Mi stai dicendo che vuoi solo la pace? Che è in nome della pace che uccidi, torturi, poti avanti una guerra?” esplode Santski. Lui china il capo. “Non sono fiero di tutto ciò che ho fatto. Le mie decisioni raramente sono perfette, sempre sono necessarie. A volte è meglio decidere cosa è giusto per il popolo, anche se ciò può causare sofferenze a qualcuno. La mia proposta è questa. Accettate?” rido, ma senza allegria. “Abbiamo scelta?” Morglock alza la testa, ci fissa per un lungo istante. “Sì. Potete scegliere il dolore.” Tiro un sospiro lungo, tremante. Scambio con Santski un’occhiata d’intesa. “Allora scelgo il dolore.”

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