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Ljena


Scalcio, mi dibatto, non serve a niente. Mi incatenano ad una specie di roccia, delle cinghie di cuoio mi bloccano polsi, caviglie, la testa e la vita, provo a muovermi per cercare di liberarmi ma non smuovo i legacci neanche di un millimetro. Vorrei urlare, ma so che questo farebbe solo ridere i miei aggressori. Tra di loro c’è anche l’assassino di Giada e Swan, quello a cui ho rotto il naso. “Vediamo quanto sei forte, dolcezza” sibila, prima di andarsene e lasciarmi sola con Morglock. Anche lui mi guarda con un’espressione indecifrabile, in cui si mescolano stupore, incomprensione, rabbia, un po’ di disprezzo e follia. Quella c’è sempre. Non lo ha mai abbandonato da quando è morta Ramsey, ed è questo che mi spaventa. In un angolo della testa sento chiaramente il dolore di Santski, capisco che hanno già iniziato a torturarlo, mi chiedo perché non abbiano iniziato anche con me. Ma nella sua mente c’è anche qualcos’altro… disprezzo? Tradimento? Dispiacere? Non capisco, la giada non permette che la connessione delle nostre menti fluisca più di così. “Ljena. Da quanto è che non abbiamo una conversazione normale?” una voce interrompe le mie riflessioni. Allora è per questo che mi sta risparmiando. Vuole parlare. “E la chiami una conversazione normale questa? Con te che mi tieni prigioniera, incatenata ad una roccia, io che ti odio e non c’è cosa che desideri meno che stare a sentire le tue farneticazioni su quanto stai facendo del bene e il mio doppio che viene torturato dal tuo a qualche stanza di distanza? No, in effetti di conversazioni così non ne abbiamo mai avute.” Queste parole lo fanno infuriare. Tira fuori un lungo stiletto dalla manica e lo solleva in aria, sembra che voglia uccidermi, ma all’ultimo secondo cambia la direzione della sua mano e lo conficca nella pietra, a pochi centimetri del mio viso. Non ho paura. Che mi uccida, se vuole. Il mio unico rimpianto è Santski. “Stupida! Ti avrei potuto uccidere!” grida. Poi sembra riprendere l’autocontrollo. “Io sto facendo del bene, e tu lo sai. Sei solo troppo ostinata per ammetterlo. Prima o poi lo capirai da te. Unisciti a me, vedrai. Faremo del bene. Io e te, da soli. Come una volta. Mi dispiace dover torturare il tuo doppio, ma Santski non capisce. Lui non ha mai capito niente. Da quando lei è morta non ha mai capito niente. Si rifiuta di accettare le verità più semplici, è diventato ostinato, crudele a volte. E non ti permetterebbe di fare delle scelte autonome. Non ti permetterebbe di tornare con me, sebbene tu voglia. Lui lo sa, ma da quando lei è morta è diventato egoista. Non ascoltarlo. Torna con me.” Lo guardo negli occhi. Mi fa ribrezzo. “Tu sei pazzo. È da quando è morta Ramsey che sei pazzo. E se credi che ti assisterò nei tuoi piani omicidi ti sbagli di grosso. La mia risposta non cambia: no.” “Non… pronunciare… quel… nome!” urla, con voce strozzata. Sembra perdere di nuovo il controllo, solleva le braccia, le fa mulinare in aria come se non si decidesse dove posarle, si volta. “Fate entrare il carnefice!” urla, con la voce distorta dalla rabbia. Sento una porta aprirsi, anche se non la posso vedere, non riesco a girare la testa. Finalmente entra al limite del mio campo visivo un ragazzo di pressappoco la mia età dalla pelle scura, i capelli crespi, il volto coperto da una maschera. Mi sembra di averlo già visto da qualche parte, anche se non saprei dire dove. Regge alcune tenaglie, che sistema fra le fiamme di un braciere. “Ora vedrai se non era meglio dirmi di sì. Vedrai. Vedrai. Conoscerai il dolore. E non dirmi che non sono stato magnanimo.” Sibila freneticamente Morglock, col viso a due centimetri dal mio imperlato di sudore. Guardo ancora una volta nei suoi occhi, e vedo non solo follia ma anche tormento, dolore, disperazione. Cerco di odiarlo ma non mi riesce. Il carnefice si avvicina, la punta delle tenaglie arroventate fino ad essere gialle. Mi scopre un braccio, fa per posarle sulla mia carne, indugia. “Forza, feriscila. Ustionala. Deve capire. Altrimenti tutto ciò che non farai a lei lo patirà Freston.” Ed è allora che lo riconosco: è Sorian. “Mi dispiace” sussurra, prima di posare la punta arroventata della tenaglia sul mio braccio. Il dolore esplode fortissimo, più di ogni altra cosa mai provata prima, eccetto la lontananza di Santski. La paura, che prima ero riuscita a tenere a freno dilaga e mi invade la mente. Inizio a urlare, e non vorrei ma non posso farne a meno, e Morglock ne ride. Vengo ustionata con le tenaglie due, tre, quattro volte, quattro strisciate lungo il mio braccio destro, poi Sorian passa al sinistro. Perché mi sta facendo questo? Pensavo che non si sarebbe mai piegato, se c’era qualcuno che non immaginavo si sarebbe lasciato piegare, era lui. Perché l’hanno piegato? La risposta mi giunge istantanea alla mente: perché avrebbero punito Freston. E questo è anche il motivo per cui Freston non si è ribellato. Sento che Santski è svenuto. Sto per cedere anche io ma non voglio, non voglio che Morglock capisca quanto in realtà le sue torture mi stiano facendo male. Non voglio che capisca che una parte di me si è già arresa, ed è solo il pensiero di Santski che mi tiene ancorata alla mia forza, come uno scoglio secolare che non si lascia abbattere nonostante il mare in tempesta. E il pensiero di Giada. E di Swan. E di Din. E di Sylvia. Loro non si sarebbero arresi. E il pensiero di Francesco. Insomma, tutte le avventure che abbiamo passato saranno pur servite a qualcosa? Penso ancora a Tutsi, alla storia che mi ha raccontato, a come ci ha salvato, alla mia famiglia, e, sì, anche a Morglock, quello di prima. Lui si è arreso, tutti pensavamo che fosse il più forte del gruppo ma si è abbandonato al dolore, e adesso è questo che è diventato. Non farò lo stesso sbaglio. Sento ancora le tenaglie sul braccio sinistro, e sento le lacrime nascermi agli angoli degli occhi, grido ancora più forte, il suono si propaga nella stanza insieme alla risata di Morglock, e ancora, e ancora.
Dopo non so quanto tempo se ne vanno tutti e due. Sorian torna poco dopo, si è tolto la maschera. “Sorian!” lo chiamo. Lui non si volta. “Mi dispiace” sussurra. “Sorian, ti prego, voltati.” Seppur esitando, si volta. “Santski è con Freston?” annuisce. “Bene” replico io. Sono sollevata: quei due sono migliori amici: Freston non gli farà del male, no? “Non… non è tanto un bene.” Mi risponde, con voce incerta. “Che cosa?” cerco di alzarmi, ma ovviamente non ci riesco. “Sorian, ti prego, dimmi che non gli farà del male.” Non risponde. “Sorian! Cosa gli hanno fatto?” “Più o meno quello che hanno fatto a te. Forse peggio. C’è Terrore a controllare che tutto si svolga nella norma, e di certo non vorrà che venga risparmiato, come vuole Morglock.” Sono nel panico più totale. “No, non è possibile. Freston non gli farebbe mai questo” replico, anche se so già di star negando l’evidenza. Il mio vecchio amico non mi guarda in faccia mentre risponde: “Probabilmente sì. Ci hanno piegato. All’inizio…” e qui la sua voce si spezza “All’inizio Freston era il più riluttante. Voleva andarsene, voleva fuggire. Non obbediva agli ordini. E ogni volta che non obbediva… punivano me al posto suo. Era orribile. Punizioni terribili. E punivano lui se ero io a non obbedire. Alla fine… ha imparato ad obbedire. E ha paura ora. Una paura tremenda di lui.” Ecco come li hanno piegati. Nel modo più orribile possibile. “Ma non puoi pensare sia stata colpa sua per le tue punizioni” provo a dire. “Lo so!” scatta. “Gliel’ho detto! Gliel’ho detto, non l’ho mai ritenuto colpevole. L’ho sempre ammirato per come si comportava, non me ne è mai fregato niente delle punizioni! Ma lui non capisce! Si ritiene colpevole, è… è arrivato persino ad odiarsi quando… quando ha avuto l’idea della fuga. Ma io non l’ho mai incolpato, ho sempre pensato che quella fuga fosse stata un’idea fantastica, anche dopo che mi hanno punito!” “E allora fuggite di nuovo!” dico, prima di rendermi conto della stupidità dell’affermazione. Lui si rabbuia. “Non posso. Non posso nemmeno pensarci. Prenderebbero Freston, punirebbero lui. È… è stato orribile quando hanno punito me. Non posso lasciare che puniscano lui.” Resto in silenzio. Lui anche. “Quante speranze abbiamo?” chiedo sommessamente. “Sinceramente? Nessuna. Nessuno è mai uscito da queste prigioni vivo, i prigionieri escono soltanto per l’esecuzione pubblica o come emissari di Morglock… in un anno nessuno è rimasto vivo abbastanza da raccontarne le torture.” “Ho conosciuto una donna. Si chiamava Tutsi, ed era stata prigioniera di Morglock, ma era libera” dico. “Ah, Tutsi e Mikol” dice Sorian. “È vero, erano libere, ma solo perché erano sorvegliate giorno e notte nella speranza che si mettessero in contatto con i Ribelli. Erano anche loro delle spie, sebbene inconsapevoli. È per quello che tu e l’altro ragazzo siete stati trovati subito. Abbiamo fatto irruzione in casa della donna, poi abbiamo allagato il passaggio segreto. Come ti dicevo, nessuno esce vivo dalle prigioni di Morglock se non è una spia.” Taccio. Non voglio sapere che fine hanno fatto. “Non è mai fuggito proprio nessuno? Insomma, tu non sei al servizio da tanto. All’inizio del suo dominio tu eri con noi, nei boschi.” “Fidati, nessuno. Anche solo una settimana qua è lunga come un anno. Ci sono nuovi prigionieri ogni giorno da torturare. Tutti quanti. In realtà non sono qui da così poco. E comunque… no, mai nessuno è uscito vivo di qui. Tutti sono stati piegati, lo so per certo. Me lo hanno detto.” “Potrebbero aver mentito.” “Non lo hanno fatto. Qui sono tutti molto sinceri. E poi… non so, le torture sono terribili. Non è difficile immaginare la realtà di questa affermazione. Molti ne ho ammazzati anche io, sebbene non volessi. Li sogno ancora qualche volta.” Sospiro di sconforto. “Perché sei così cambiato? Una volta eri coraggioso, non vedevi l’ora di combattere… eri tu quello che non voleva nascondersi. Che voleva uscire allo scoperto.” Questa volta è lui a sospirare. “Le cose cambiato. Specialmente dopo le torture. E sono state molte, ci siamo ribellati molte volte. E poi lui è troppo forte. Fidati, anche tu ti saresti arresa se avessero fatto a Santski ciò che hanno fatto a Freston.” “No, non è vero.” dico, e mentre lo dico ne ho l’assoluta convinzione. “Non mi sarei mai arresa. Avrei trovato la forza per resistere. Le torture stesse mi avrebbero dato la forza, perché non c’è niente di più spregevole del lavorare per chi ti fa del male” “E certo” dice Sorian, sarcastico. “Tu non ti arrendi mai. Sei sempre stata quella più forte. Sei sempre stata migliore di noi, poveri stupidi comuni mortali, e ti chiedo scusa se tengo alla vita di Freston, scusami tanto se non voglio che lo ammazzino, se non voglio essere io la causa della sua morte!” conclude arrabbiato, prima di dirigersi verso l’uscita. “È solo che mi manca il vecchio Sorian.” sussurro, pensando che non mi senta. Invece mi sente. “Anche a me manca il vecchio Sorian. Anche a me.” Risponde, ma non più arrabbiato: solo sconfitto. Sento la porta chiudersi piano, poi rimango sola.

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