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Ljena

È da troppo tempo che non viene nessuno. È fin troppo strano. Cosa staranno progettando? Perché qualcosa staranno progettando. Poco ma sicuro. Le braccia mi fanno ancora male là dove si sono posati i ferri roventi. Perché non arriva nessuno? Sto iniziando a diventare troppo sospettosa? Non so più distinguere un complotto da una normale azione di routine? Se non trovo il modo di andarmene da qui sento che impazzirò. Non so cosa sia che mi tiene ancora ancorata alla realtà. E finalmente una porta si apre, lasciando entrare Morglock. È solo. Ora che è entrato vorrei che non lo avesse mai fatto. Avrei preferito restare sola un altro po’. Si avvicina a me in silenzio, con il volto in ombra. Mi posa una mano sulla faccia e mi accarezza lentamente. Rabbrividisco al suo tocco gelido. “Hai riflettuto sulle mie parole?” mi chiede, con voce suadente. Noto che ha delle brutte cicatrici sugli avambracci, che io non ricordavo. “Sì.” Rispondo. “E la mia decisione non è cambiata. Non mi unirò mai a te, non lascerò Santski solo. Piuttosto il dolore, piuttosto la morte.” Lui si stacca da me e un’ombra di rabbia gli passa sul volto. “Come vuoi” sibila. “Mi dispiace. Ma non dire che non ti avevo avvertito. Che non vi avevo avvertito. Togliete tutta l’aria da qui dentro!” conclude poi alzando la voce, rivolto non so a chi. Probabilmente a qualcuno dei suoi fedelissimi Tredici del Clan del Lupo appostati fuori. Non appena si chiude la porta alle spalle il panico inizia a farsi strada dentro di me. Non può farlo davvero. Non può uccidermi così, soffocarmi. Non è possibile aspirare tutta l’aria da una stanza, ci sarà qualche apertura che ne farà passare di nuova… sento il mio cuore battere fortissimo, mi impongo di far tornare la mia respirazione ad un livello normale per non esaurire subito tutto l’ossigeno qua dentro. Ma tanto che importa? Un minuto di più, un minuto di meno, che importa se tanto poi morirò comunque? “Sta’ calma, sta’ calma, questa non è la fine. Ci dev’essere un modo” sussurro a me stessa, più che altro per sentire la mia voce, per avere conferma del fatto che sono ancora viva. Cerco freneticamente di pensare ad un sistema per sopravvivere, ma già inizio a respirare con fatica, il mio petto si alza e si abbassa con sempre maggior frequenza affamato di ossigeno, mi esce un rantolo dalla gola, è inutile, sto per soffocare. Poi la risposta arriva, improvvisa quanto attesa. Ma certo! Sono un mago dell’aria. La più potente fra tutti i maghi dell’aria. E se non riesco io a creare nuova aria qua dentro, allora chi può riuscirci? Provo, e per un attimo sembra che tutto quanto qua stia andando alla grande. Poi i miei tentativi iniziano a diventare sempre più deboli e stentati, mano a mano che il mio respiro si accorcia. Pensa, mi dico. Che cosa hai sbagliato? Poi ricordo: una lezione di tanto tempo fa, così indietro nel tempo che l’avevo dimenticata, sulla magia e i momenti propizi per formulare incantesimi. Cosa diceva quella maledetta lezione? La magia è difficile da operare se… si è in punto di morte. Se hai una ferita sanguinante al petto è difficile che tu riesca ad operare magia perché… la magia fluisce via con la vita, perché fa parte di noi allo stesso modo… Immagino che valga anche se stai soffocando. Cosa diceva di altro quella lezione? La magia non funziona se… se si è incoscienti. Sto per svenire? Sì. Inizio a vedere rosso. Accidenti a queste stupide regole!, penso frustrata, mentre le deboli correnti d’aria da me create svaniscono definitivamente. E mentre penso freneticamente a come non morire, ricordo un’altra lezione: mi sembra quasi di sentire la voce della professoressa mentre ci diceva “La paura può essere la vostra rovina, se lasciate che abbia il sopravvento su di voi, o la vostra forza se la userete come carburante necessario per darvi una spinta in più.” Come quando mi sono teletrasportata da un mondo ad un altro! Sorrido al pensiero. E adesso ho paura? Decisamente sì, ma non mi viene nessuna magia, non è possibile, non ho abbastanza paura. Eppure sto per morire. Tutta la stanza è colorata di un tenue bagliore rossastro, faccio fatica pure a pensare. Eppure non provo paura, solo rimpianti. Non vedrò mai più la mia famiglia. Non rivedrò più Francesco, non potrò mai ringraziarlo abbastanza per avermi aiutato. Non potrò mai dirgli che è stato fondamentale, ho sempre dato per scontato che l’avrei rivisto. Non lo riporterò indietro. Non ho potuto salvare Morglock. Ora lo capisco, sono venuta qui convinta di poterlo cambiare. Non ce l’ho fatta. Non rivedrò mai più il Morglock che era. Non avrà nessuno che lo salverà. E sì, mi accorgo solo ora di amarlo ancora, nonostante mi stia uccidendo. Santski… morirà anche lui. Ed è mentre mi rendo conto di questo che la paura arriva più forte di qualsiasi altra cosa. Morirà. Morirà. Se muoio io morirà. Non posso morire. Non posso lasciare che muoia. Questo è l’ultimo pensiero che ho prima che con uno scoppio la stanza si riempia di aria, ma è troppo tardi, svengo. Mentre i miei polmoni si allargano e la mia vista si annebbia mi sembra di sentire un urlo, di vedere la porta aprirsi e una sagoma entrare correndo, ma forse è solo…
Apro gli occhi. Morglock è chino su di me. “Stai bene?” mi chiede. Annuisco prima di rendermi conto che non dovrebbe interessargli dato che è stato lui a farmi questo, che non dovrei poter annuire dato che ho la testa fissata alla pietra, che le braccia non mi fanno più male. Anzi, sto decisamente bene. Mi guardo intorno e solo ora noto che non sono nella segreta, incatenata alla roccia. Sono… in una stanza? Ma che ci faccio qui? Non capisco… guardo interrogativa Morglock, che mi dice: “Lui sta bene. È di là, con Ramsey. Lo sta bendando.” Ramsey? Ma cosa… mi guardo meglio intorno: sono in una stanza della Scuola. Quella per gli apprendisti Consiglieri. E… ho un grandissimo mal di testa, faccio fatica a ricordare, a capirci qualcosa, ma questa scena me la ricordo. L’ho già vissuta. Durante un’esercitazione, un combattimento, Santski era stato ferito da Ramsey. Ad un braccio. E di conseguenza mi ero ferita anche io, e Morglock… beh, mi aveva fasciato. Nella sua stanza. E Ramsey aveva medicato Santski. Ora ricordo. Sto rivivendo quella scena. Perché sto rivivendo questa scena? Sono morta? Poi ricordo tutto quanto: le torture, l’aria… con uno scatto mi separo da Morglock. “Stai bene? Ti ho fatto male?” mi chiede. Nego con la testa. Non riesco quasi a parlare, solo a fissare la benda che ho intorno al braccio. “Come ha fatto?” chiedo. “A ferirlo, intendo. Non stavo guardando.” “Oh… l’ha preso di sorpresa credo. Lui ha alzato il braccio per parare ma ha calcolato male le distanze e la spada di Ramsey l’ha centrato in pieno. Non è tanto grave.” Conclude poi. “Sì, immagino. Altrimenti farebbe più male.” “Beh, non è detto. A volte le ferite che non fanno male sono le peggiori, per esempio quando viene lesionato il nervo” mi informa, sorridendo. “Stai cercando di spaventarmi!” esclamo, dandogli un pugno sul braccio. Lui ridacchia. Sorrido anche io. Perché sto facendo tutto questo? So cos’ha fatto. So che mi ha torturato. Insomma, sono la io di adesso che vive questo sogno, non quella di prima. Dovrei odiarlo, credo. Ma il fatto è che è così bello stare qui e parlare, come se niente fosse successo! Mi sembra che non sia passato neanche un secondo da quando… eravamo così. Solo dopo alcuni istanti mi accorgo che la mia anima si sta staccando dal mio corpo là in basso, e che sto fissando la scena dall’alto. Cerco di restare aggrappata il più possibile a quella scena ma mi sento trascinare via, non sento neanche più le voci di quei due ragazzi che una volta conoscevo, diventano sempre più piccoli mano a mano che salgo sempre più su, sempre più su…
Mi ritrovo in una foresta buia, cupa, che non conosco. Un tuono romba in lontananza: sta piovendo. Mi accorgo di non essere lì in forma fisica, è come se non ci fossi. Sono lì solo con la mente. Eppure lì non c’è nessuno… poi sento dei passi. Mi volto, un individuo entra nel mio campo visivo. È un ragazzo alto, con il volto in ombra coperto da un cappuccio, solo. Senza un doppio. Cammina fino al centro della scena, poi crolla in ginocchio. La terra trema leggermente attorno a lui. Il cappuccio cade: è Morglock. ha il volto bagnato non so se dalla pioggia, dal sudore o dalle sue lacrime. Negli occhi ha un dolore incontenibile, quasi contagioso. Vorrei fargli sapere che sono lì, ma non riesco a parlargli. Resta in ginocchio per un po’, tremante. Sembra malato. È pallido, febbricitante. Ad un certo punto tira fuori da un piccolo fodero un pugnale lungo e sottile, lucente, d’argento. Un pugnale molto bello, ricordo che faceva parte della sua famiglia da generazioni. Lo solleva in alto, tremando, poi ne rivolge la punta contro se stesso. Allo stomaco. Vuole uccidersi. Inizia a piangere, a gemere, esita. Volute di fumo nero si alzano dalla terra attorno a lui, lo avvolgono, gli entrano dentro. Lui sembra non accorgersene, ma inizia a piangere più forte. Disperato. Un pianto colmo di dolore, di solitudine, di disperazione. Si piega su se stesso. Resta così per un po’, poi lascia cadere il pugnale. Smette di piangere, con una luce folle negli occhi. Luce che non lo ha ancora abbandonato adesso. Si alza, raccoglie il pugnale, lo ripone nella sua custodia. Si tira su il cappuccio, poi si volta e se ne va. E io so cosa andrà a fare: radunerà seguaci, poi tornerà. Per uccidere. “Capisci ora?” sussurra una voce che non riconosco, poi apro gli occhi: sono di nuovo in cella.
Ho lo sguardo appannato, per questo non riconosco la figura che è di fronte a me. Apro e chiudo gli occhi un po’ di volte, poi riconosco Sorian. “Sorian...?” lo chiamo. Lui si volta e mi dice con voce inespressiva: “Ah, sei sveglia.” Noto subito una cosa: non sono morta. Ne noto un’altra: le braccia non mi fanno più male. Non so perché ma il mio pensiero corre subito alla visione di poco prima, nella Scuola. È stato Morglock a curarmi. Ne sono sicura. “Morglock mi ha curato.” Dico ad alta voce, per dimostrare… che cosa? Che non è poi così malvagio? Ah, non lo so neanche io perché.  Sorian sembra sorpreso: “Morglock? No, sono stato io. Ti ho bagnato le ferite con delle pezze, ora non dovrebbero farti più così tanto male.” Lui? Ma… “Qualcuno si è occupato anche di Santski?” “Sta bene” mi risponde brevemente. È vero: lo posso percepire. “Senti, in teoria non avrei dovuto fare niente di quello che ho fatto. Ma, fidati, per la prossima tortura avrai bisogno di forza. Sarà dura.” Ma ormai non sto più ascoltando. Sta bene? È salvo? Non è soffocato neanche lui? Ah, menomale. E non è stato Morglock a salvarmi? Ero convinta di sì… e non solo per la visione. Ero convinta perché è una di quelle cose che avrebbe fatto lui. Ma forse… “Sorian, prima di svenire mi sembra di aver visto qualcuno entrare qua dentro… non so, potrei sbagliarmi, ma mi sembra tutto così strano!” Sorian riflette per un secondo o due. “Ah, quello? Sì, è entrato Morglock. Era da un po’ di tempo che osservava ridendo i tuoi patetici tentativi di sopravvivere da fuori della porta, poi non so perché ad un certo punto è come… cambiato. Ha spalancato la porta urlando “No!” poi ti ha afferrato per le spalle ed è stato un po’ così. Poi si è ritratto come schifato ed è uscito, dando l’ordine di sospendere la tortura che tanto era inutile. E si è ritirato nelle sue stanze.” “Ma perché?” “Non saprei… in questi ultimi giorni è come bipolare. Cambia idea dal nulla, ha degli scatti d’ira, poi torna normale… è tutto molto strano…” “Già…” concludo pensierosa.

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