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Ljena

Sono al buio, in una caverna che sembra scavata nella terra. Le pareti sono marroni e friabili. Sono sola. Mi guardo intorno, per cercare di capire dove sono. All’estremità opposta della stanza c’è un ponte lunghissimo. Non so come mai, ma decido di avvicinarmi. È una striscia di terra lunga non so quanto, non ne vedo la fine, sospesa nel vuoto, senza parapetti o corrimani, spessa mezzo metro. Inizio ad attraversarlo. Circa a metà strada sento un sibilo, un pugnale scagliato contro di me a velocità supersonica. Dovrei spostarmi, evitarlo, ma una voce nella mia testa mi sussurra: “Sta’ ferma. Se ti muovi cadi nel baratro.” Beh, la scelta è o finire infilzata o cadere. Non mi sembrano due belle alternative. Ma il pugnale mi oltrepassa come se fossi fatta di fumo, senza che io subisca nessun danno. Ne seguono altri due mentre io avanzo. Entrambi mi oltrepassano senza farmi male. Il ponte finisce, e io sono davanti ad una porta chiusa. Ci appoggio sopra un orecchio per cercare di sentire qualcosa. “Vieni da me… vieni da me…” sussurra una voce al di là della porta. So che probabilmente non dovrei ascoltarla, ma io quella voce la conosco fin troppo bene. È Morglock. E non posso non ascoltarlo. Con una spinta apro la porta e me lo ritrovo davanti. È al centro di una stanza buia, interamente fatta di pietra nera. Mi guarda negli occhi, e io per il sollievo ci manca poco che scoppi a piangere. Perché è Morglock, Morglock come me lo ricordavo. Morglock che rideva, che scherzava, che diceva di amarmi. Prima che diventasse malvagio. “Ljena” sussurra. “Morglock” rispondo io. Mi avvicino, cerco di abbracciarlo. Ma una scossa mi respinge. “Morglock, dove sei? Perché non posso toccarti?” “È la mia prigione questa. Non posso uscirne. Non posso comunicare con nessuno.” “Tu non sei prigioniero!” “Sì, lo sono. Credevo che avresti capito.” Nella mia mente si fa avanti una punta di sospetto. “Tu sei libero. Hai reso schiavo il mondo. Hai reso schiavo Santski.” China la testa. “No, sono io quello prigioniero. Il mondo mi ha fatto prigioniero.” “Ma che cosa stai dicendo? Dove sei?” “Non lo so. Non so più niente ormai.” “Lascia andare Santski, ti prego.” Sussurro. Sembra che non mi senta. Mi prende le mani con inaspettata violenza. “Guarda nei miei occhi.” “Cosa?” “Ti prego, guarda nei miei occhi.” “Ma perché?! Cosa stai dicendo?” “Ti prego Ljena! Guarda nei miei occhi.” Mi fa quasi paura. Sembra spaventato, tormentato, inseguito. Alzo piano lo sguardo e lo fisso nei suoi occhi. La sua voce mi arriva da lontano, come se stessi entrando in trance. “Guarda nei miei occhi. È lì che vivono i miei demoni.” E i suoi occhi si allargano sempre di più, sembra che stiano per inghiottirmi, ma io non posso distogliere lo sguardo. Si allargano sempre di più fino a quando non sembrano una soglia oscura e allora io ci cado dentro, e cado, cado, cado. “Sei morta” sussurra una voce che non ha niente di umano. E io continuo a cadere in quell’oscurità che riempie tutto, senza poter fare niente. “LJENA!!!” urla una voce. “Santski!” urlo io di rimando, drizzandomi a sedere. Era solo un sogno. Francesco si drizza a sedere di fianco a me, svegliandosi di soprassalto. “Cosa..?!” sono troppo stupita per parlare. “Ho… ho sentito Santski. Era da quando siamo arrivati in questo mondo che non lo sentivo.” “Riesci a sentirlo di nuovo?” cerco di contattarlo. Santski, se ci sei, ti prego, rispondimi. Rispondimi! Non sento niente, se non l’eco vuoto dei miei pensieri. “No. No, non lo sento più.” Cerco di nascondere il panico. “Andrà tutto bene, vedrai.” “E, Francesco… ho visto Morglock.” “Morglock? Ma non è possibile! Sarà stato un sogno.” Cerco di convincermene anche io. “Si… forse solo un sogno.” Mi guado le mani. Dove lui le ha afferrate ho dei segni scuri, come se fossero lividi. “Solo un sogno…”
Mi risveglio con Francesco che mi scuote una spalla. Non mi ero neanche accorta di essermi riaddormentata. Per fortuna non ho più fatto sogni, o avuto visioni. “Ehi, svegliati. Il sole è già alto.” “Chi, come? Ah già.” Mi alzo a sedere e mangio qualche boccone. Lui continua a parlare. “Ho elaborato una strategia. Qui vicino c’è una città, non so quale sia. È ad appena cinque minuti di cammino. Dovremmo andarci, cercare di scoprire qualcosa di più. Venire a contatto con la gente. Magari riusciamo ad armarci un po’, come avevi detto tu, probabilmente ci sarà da combattere quando salveremo Santski. Anche se non abbiamo quella roba della luna, magari armati avremo qualche possibilità in più. Tu ti trasformerai in corvo, io fingerò di essere il tuo doppio. Se mi chiederanno qualche magia tu mi aiuterai. Che ne dici?” “Perfetto. Ci mettiamo in cammino adesso?” lui annuisce. Camminiamo in silenzio. Io sono persa nei miei pensieri, immagino anche lui. Sto pensando a questo strano sogno, o visione, o non so come chiamarlo. Cosa significava? Era solo un prodotto della mia mente o è stata una vera richiesta da aiuto? E da parte di chi, poi? Morglock non chiedeva mai aiuto. E sembrava così strano… Penso a ciò che mi hanno rivelato gli Immortali su Morglock: Non lo sapevo che volesse suicidarsi. Non lo sapeva nessuno. L’abbiamo sentito piangere, urlare, disperarsi. L’abbiamo lasciato solo, pensando che fosse meglio così. Che il suo dolore non potesse essere condiviso. Pensando che per lui fosse meglio così. E nessuno gli ha mai chiesto se per lui fosse davvero meglio così. E l’abbiamo visto cambiare, piangere, consumarsi, diventare un’ombra di quello che era. E nessuno gli ha mai chiesto perché, convinti com’eravamo di saperlo già. Magari c’era qualcos’altro… magari era peggio di quanto immaginassimo…
Penso anche a Santski. Accidenti, perché non riesco a parlare con lui? Basta, tutti questi pensieri rischiano di farmi impazzire. “A cosa pensi?” chiedo a Francesco. Sembra quasi più pensieroso di me, e non ci vuole poco. Lui si riscuote dai suoi pensieri. “A casa. Alla vita che ho lasciato di là. Insomma, chissà da quanto tempo è che sono qui, di sicuro di là si saranno accorti della mia assenza. E chissà cosa pensano. Di sicuro sto facendo impazzire tutti quanti. Mia mamma, mio papà, i miei amici, i miei compagni di scuola… saranno preoccupati.” Sta in silenzio un attimo, poi riprende. “Ok, forse dire preoccupati è un po’ poco. Una volta sono tornato a casa con un quarto d’ora di ritardo perché avevo perso il pullman, e mia mamma era quasi impazzita. Lei è sempre ansiosa su questo genere di cose. Non oso immaginare come si sente adesso… di sicuro non potrò tornare a casa così come se nulla sia successo, a dire “Ehi ciao a tutti, scusate il ritardo, ero solo in un mondo parallelo. Una piccola gita, sapete. Spero di essere in orario per il pranzo.” Capisci?! Non è neanche sicuro che tornerò a casa!” Non è la prima volta che ha di questi pensieri. Lo capisco da come ne parla, senza riuscire a fermarsi. Lo prendo per un braccio e mi fermo, guardandolo fisso negli occhi. E sono assolutamente seria quando dico: “Tu non morirai. Non lascerò che tu muoia. Possa essere l’ultima cosa che faccio, non ti lascerò morire. Ti proteggerò, vedrai. Ti farò tornare a casa.” Lui abbassa gli occhi, farfuglia qualcosa di incomprensibile. “Ammesso che rimanga vivo, non so neanche come farò a tornare a casa.” Sorrido. “Ci arrangeremo, vedrai. Un modo lo si trova sempre.” “E questa grande citazione di chi è?” “Mia.” “Ah si? Non ti facevo una da grandi citazioni sagge.” Scoppio a ridere. “Come no! Io sono molto saggia!”. Siamo intanto giunti di fronte alle mura della città. “Ma questa è Rostov! È la città più importante della Russia. La capitale. Beh, credo che ora non lo sia più.” “Ma non era Mosca?” “Mosca? Noo, quella è solo una roccaforte guerriera, una città molto marziale. Entriamo? Se non sbaglio siamo vicino alla porta orientale.” Inizia a vedersi gente per le strade. Dev’essere quasi mezzogiorno. Mi trasformo in un corvo e volo sulla spalla di Francesco, che sicuro cammina verso la porta, confondendosi con gli altri abitanti. Poco dopo siamo entrati. Sospiro di sollievo: non è scattato nessun allarme. Però vedo avvicinarsi altri guai: due guardie in uniforme sbarrano il passo a Francesco formando una X con le lance. “Fermo ragazzo!” esclama una di loro, con un tono di voce imperiale. Il suo doppio, una lince, ringhia minacciosa nella mia direzione. Spero che Francesco non faccia cadere la nostra copertura. Non è così, fortunatamente: lui si ferma molto disinvoltamente, e fissa le due guardie come se non avesse mai fatto altro nella vita. “Sì?” la seconda guardia, un uomo bianco di capelli con il doppio, un topo, arrampicato sulla spalla, risponde con aria tranquilla: “Niente, un interrogatorio di routine. C’è una ricercata, dobbiamo fare dei controlli ad ogni persona che passa di qua. Ordini dell’imperatore. E il tuo doppio è, beh, un po’ dubbio.” “Certo, certo. Si tratta di Ljena, vero? La ricercata intendo.” “Esatto. Vedo che ti sai informare. Ma ora bando alle chiacchiere, che fra poco finiamo il turno di guardia. Non sei di queste parti, vero?” “No, infatti. Vengo dall’Italia.” “Un viaggio molto lungo. E sei solo?” “Sì, molto lungo. È da molto tempo che viaggio.” “E perché mai non hai usato un po’ di sano teletrasporto?” esclama la prima guardia. Sembra dirlo con tono noncurante, ma io vedo uno scintillio nei suoi occhi. Una trappola! Accidenti, nessuna di queste domande è casuale. Francesco non cade nella trappola, è più astuto di quei due. “Beh, insomma, sì, io non sono un mago molto potente. Non riesco a teletrasportarmi per più di qualche chilometro, e anche in quei casi con molta difficoltà.” “Aha, capisco. Dimmi il nome tuo e del tuo doppio.” “Io sono… uhm… Sirio. E lei è Anna. Sì.” “Anna… e Sirio… bene. Vi dispiace se prendo nota?” “No no, fa pure.” “E perché siete qui?” “Siamo in visita ad uno zio malato.” “Sì… come si chiama lo zietto? Conosciamo quasi tutti qua, se ci dite in che quartiere abita possiamo scortarvi da lui.” Non si fidano di noi. La nostra copertura sta saltando. Inizio a sudare freddo. “Sì, insomma, non abita qui. Abita a Mosca. Siamo passati di qui solo per fare rifornimenti… di cibo… e di armi…” “Armi? Ma questo è un paese pacifico!” “Sì beh, noi siamo stati attaccati. Una volta. Molto lontano da qui in realtà, ma non si sa mai. E volevamo anche visitare la città. La capitale, sa… queste cose capitano una volta nella vita… non l’ho mai vista prima d’ora.” La lince continua a ringhiare, e il suo doppio alza un sopracciglio. “Ah. Capisco. Di che segno siete voi due?” dice l’altro, il topo squittisce. “Aria. Siamo dell’aria.” “Dell’aria… capisco. Capisco. Ci potete dare una piccolissima dimostrazione? Solo routine, sia chiaro” il vecchio ci sorride con aria astuta, un sorriso che non coinvolge gli occhi. Sanno di Francesco. Sanno che non è di questo mondo. “U- una dimostrazione? I- in che senso? Cioè, cosa devo fare?” “Oh, niente di che… solo sollevare da terra questa lancia, con del vento. Non dev’essere troppo difficile, non trovi?” dice l’uomo canuto, lasciando cadere a terra la sua lancia. “No… suppongo di no…” evoco quel vento richiesto, non è difficile. “Molto bene.” Annuiscono i due. “Vi accompagneremo a fare rifornimento di cibo. E di armi. Poi ve ne andrete. Intesi?” “Sì, certo. Va bene.” L’uomo con la lince si incammina verso il centro città, Francesco lo segue. “Ah no… aspettate.” Dice il vecchio. Francesco si blocca, e io sulla sua spalla resto impietrita. “Il tuo doppio… Anna…” da come pronuncia quel nome si capisce che non crede sia il mio. “Lei rimane con me.” Maledizione! Ci hanno scoperti. “Va… va bene” dice Francesco. Terrorizzata svolazzo fino a lui. Francesco segue l’altra guardia. Appena girano l’angolo mi afferra per una zampa e mi tira giù. Mi sbatte a terra e mi tiene ferma con un piede. Non riesco a respirare! Mi sta schiacciando il torace, aiuto! “Bel trucco, Anna. O forse dovrei dire Ljena. Bel trucco davvero. Peccato che non abbia funzionato.”

Mi dibatto, non riesco a muovermi. Il topo corre giù per la gamba dell’uomo e mi fissa malevolo. Non ho altra scelta, devo ritrasformarmi! Inizio la trasformazione quando all’ultimo secondo capisco che è una trappola: vogliono che cambi forma per potermi riconoscere. E arrestare. Devo cambiare strategia. Fingo di star per cambiare forma, il topo si avvicina sempre di più a me. E allora lo becco in un occhio. Lo sento squittire di dolore, vedo lui e il suo doppio voltarsi dall’altra parte reggendosi la faccia. Un po’ di sangue sgorga dall’occhio dell’uomo e filtra tra le sue dita. L’uomo si sposta: riesco a sgusciare via e a salire in cielo. “Stupida ragazzina! Mi hai accecato!” urla lui, furioso. Calo in picchiata, graffiandogli la faccia. Lui agita la mano libera per scacciarmi, crolla a terra, è pieno di graffi. Evoca il fuoco. Una fiammata così potente che mi coglie di sorpresa, ho solo il tempo necessario per farmi da parte e non farmi arrostire, ma sono troppo lenta, il fuoco mi lambisce un’ala abbrustolendo qualche piuma. Una puzza terribile si diffonde per la piazza. Per fortuna non ho subito danni gravi. L’uomo si rialza, mi fissa con odio. Sta per rievocare il fuoco, il suo elemento direi. Ma io sono più veloce. Sbattendo le ali evoco una tempesta di vento, sollevando granelli di polvere e foglie. Il mio tornado in miniatura si abbatte sull’uomo travolgendolo, mandandolo a sbattere contro un albero. L’uomo si accascia a terra. È svenuto. Non ho tempo per preoccuparmi di lui: mi giro a mezz’aria e volo a cercare Francesco.

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