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Francesco

“Corri!” sento l’urlo di Ljena sovrastare le sirene che mi assordano, sento che mi prende per mano, poi mi sento strattonare e inizio a correre con lei. Le sirene non smettono di suonare, guardie spuntano dappertutto urlando comandi e sparpagliandosi per le strade strette, non capisco più niente, sto per impazzire, penso solo a correre. Destra, sinistra, di nuovo destra, una guardia sbuca all’inizio di una strada, urlo, vado dalla parte opposta, giro ancora, accidenti è un vicolo cieco! Guardo Ljena con aria spaventata, sconfitta, ci giriamo all’entrata del vicolo pronti a dar battaglia. Poi una porta si apre vicino a me, ne esce una mano che mi agguanta per un braccio e ci trascina dentro. Senza parlare ci volta e ci spinge giù per una scalinata nascosta, apre una porta, ci lancia dentro, poi esce chiudendoci dentro. La stanza è vuota, una sorta di cantina polverosa. Mi siedo a terra. “Siamo salvi o prigionieri?” “In ogni caso non possiamo fare niente per cambiare le cose, non credi?” lo credo anch’io, ma non lo dico, tanto è inutile. L’attesa mi fa impazzire. Piano piano i rumori che prima sentivo provenire da fuori, le sirene, le grida, cessano. Allora porta si riapre mostrando una donna con il buio alle spalle. Sempre senza parlare la donna ci fa un cenno e scompare nuovamente nelle tenebre. Noi ci alziamo, più che altro perché non ne possiamo più di stare seduti, e senza sapere cosa fare la seguiamo su per le scale. Ci troviamo in una cucina piccola e povera, buia, con le finestre sprangate e coperte da pesanti tendaggi. “Dove…” sussurro, ma la donna si mette un dito sulle labbra e mi fulmina con un’occhiataccia, in un gesto abbastanza eloquente. Ha i capelli grigi nascosti sotto uno scialle, e porta povere vesti marroni. Un serpente, il suo doppio, è arrotolato sulle sue spalle. La donna scosta con fare discreto una tenda: tutto è tornato tranquillo. Poi apre un frigorifero lì vicino, ne prende pane e formaggio, adagia il tutto su un piattino e inizia a tagliare il pane. Senza dire una parola. “Chi sei?” sussurra Ljena. La donna la fissa, poi emette un verso strozzato e fa cadere il piattino. Resta lì, con la bocca spalancata in un muto verso di sorpresa. Solo ora mi accorgo che è senza la lingua. Le è stata mozzata. Anche Ljena soffoca un gemito. La donna si china, raccoglie i frammenti del piatto e li butta via. Poi prende un foglio di carta e una matita. Scrive qualcosa, poi porge il tutto a Ljena. Mi sporgo da sopra la sua spalla per guardare:

Ljena?

C’è scritto.

Sì. Tu chi sei? Cosa è successo al mondo?

La donna guarda ansiosamente da una parte all’altra prima di scrivere:

Potete chiamarmi Tutsi. E lei è Mikol. Siete... cancella, e riscrive: non siete morti allora.

Lascio continuare a scrivere Ljena.

No. Certo che no. Non tutti.

L’imperatore ci ha detto che eravate tutti morti. Che nessuno sarebbe potuto tornare a sfidarlo.
Ha mentito. Io e Santski siamo riusciti a fuggire. Ma che è successo al mondo?

Tutsi esita, è terrorizzata. Scambia qualche occhiata con Mikol, poi scrive:

È passato tanto tempo... Voi non c’eravate più. Il mondo era retto da un tiranno che solo voi avreste potuto distruggere. Era troppo tempo che vi nascondevate, che non agivate. La situazione è stata presa in mano da alcuni coraggiosi… i Ribelli. Si nascondono, nessuna sa dove siano. Ma danno molti grattacapi all’imperatore. Lo sfidano. Lo provocano. Distruggono i suoi piani. Molti muoiono o fanno una fine ancora peggiore. Ma ora siete tornati. Tu e Santski riscatterete il trono.

Ljena esita. Non sa cosa scrivere. Non sa cosa pensare. Non sa se rivelare alla donna il vero motivo del nostro arrivo. Alla fine scrive:

Cosa ti hanno fatto?

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