CAPITOLO XXXV

18 2 0
                                    

Il signor Dalness era un tipo un po' burbero, con pochi capelli scuri in contrasto con il volto bianco. Era alto e imponente, a differenza di suo fratello, e se si fosse chiesto a una persona a caso chi dei due avrebbe fatto l'avvocato e chi il sacerdote, avrebbero risposto tutti ugualmente, e correttamente: Alfonso Dalness l'avvocato, Gregorio Dalness il sacerdote.

Era andato tutto come previsto da Margaret: Agnes, il giorno stesso dopo la visita al carcere, aveva mandato una lettera all'avvocato, chiedendogli se poteva difendere suo marito. Ovviamente lei si era appellata anche all'aiuto di don Gregorio e lui aveva messo una buona parola su Antony, anche se, in realtà, era preoccupato di come si stavano evolvendo gli eventi, dei comportamenti di Antony e anche della risposta del fratello. Aveva a cuore la famiglia di Margaret ma non era tanto sicuro che difendere un caso simile potesse essere vantaggioso. Tuttavia, non mostrò tali riflessioni quando decise di aiutarla comunque; era suo compito, prima ancora che una inclinazione naturale verso l'altruismo, aiutare gli altri, e lui accolse la sfida senza troppe pretese.

Il signor Dalness si fermò un attimo nella scrittura, guardando cupo Antony, seduto di fronte a lui. Fortunatamente avevano concesso loro di parlare non nella cella ma in un'altra stanza, con un tavolo e delle sedie. Una guardia aspettava fuori.

-Dunque- disse -volete ribaltare l'ordine gerarchico oggi esistente?-

Antony annuì, emaciato. Aveva dormito poco in quei giorni e ora sembrava quasi un uomo di caverna con i capelli disordinati, il volto cereo, le occhiaie blu. -Sì.-

Il signor Dalness annuì a sua volta, poco convinto. -Io comprendo le vostre ragioni, don Antony, credetemi.- Fece una pausa per trovare le parole giuste. -Ma devo dirvi subito le cose come stanno: in questa nostra società non è possibile che un piano simile possa avere fondamento. Se c'è la possibilità, anche quella comunque lontana, di recare danno ai proprietari delle fabbriche che voi volete conquistare, non c'è n'è nessuna, e dico, nessuna, di scavalcare il potere delle alte cariche dello Stato.-

-Parlate più semplicemente, signor Dalness, vi capisco fin là, io.- Antony lo guardò trafelato e il signor Dalness annuì di nuovo come se si rassegnasse a parlare in modo innaturale per lui. -Avete ragione. Ripeto: voi non potete in alcun modo affrontare la forza che c'è nello Stato. È stato a causa sua che ora siete in prigione, e il suo potere è troppo forte, nonostante il popolo si raduni contro di lui.-

-È esattamente qui che noi non siamo d'accordo- proruppe l'altro -ce la possiamo fare, se ci appelliamo gli uni agli altri, con forza e coraggio.-

Il signor Dalness irrigidì la mandibola, mantenendo comunque la calma. Era abituato a simili situazioni, e doveva rimanere col sangue freddo. -È esattamente qui che vi sbagliate, invece.- Batté la mano aperta sul tavolo. -Volete o no uscire da qui?-

Antony esitò, domandandosi che razza di domanda fosse quella. -Certo.-

-E volete proteggere la vostra famiglia dalle possibili ripercussioni che potrà sperimentare nel caso in cui voi continuaste con questa lotta?-

Antony esitò di nuovo, ma stavolta per altre ragioni. L'avvocato aveva toccato delle corde delicate. -Certo- ripeté.

-Dovete capire che non è possibile conciliare le due cose: o la lotta per la vostra libertà, o il benessere della vostra famiglia. In più- e qui lo guardò ancora più intensamente -se continuate a ribadire le vostre ragioni, per quanto valide che siano, state pur certo che da qui neanche trascinato da uno stallone uscirete.-

Il signor Dalness era stato chiaro. Antony rifletté qualche istante sulle sue parole, constatando ogni minuto di più che aveva maledettamente ragione, quel pachiderma.

Ci sono sempre stataDove le storie prendono vita. Scoprilo ora