Prologo

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Quando varcò il monumentale cancello argentato iniziò immediatamente a camminare spedito. Il viaggio era stato lungo e faticoso, tuttavia, ora che era lì, non aveva intenzione di riposarsi, affatto. Ci sarebbe stato tempo per distendere i nervi e rilassarsi placidamente in qualche camera d'albergo di quel volgare paesino sperduto fra le montagne; ora era il momento di agire.

Il giardino era, come gli avevano effettivamente annunciato, austeramente grande. Le siepi di un verde quasi innaturale, tanto era brillante, si susseguivano tranquille e rettangolari attorno al perimetro della fastosa reggia, mentre le file lunghe e sinuose dei fiori nelle aiole davano quel tocco decorativo necessario. L'uomo non si fermò, e neppure rallentò il passo a osservare la grande fontana barocca che zampillante si ergeva al centro del giardino; le sculture si innalzavano tra le acque, maestosamente solenni, e incombevano, quasi minacciose, verso il possibile osservatore; tuttavia la loro austerità parve affievolirsi di fronte al disinteressato passaggio dell'uomo, che neanche allungò gli occhi scuri verso di loro, neppure spinto dalla minima curiosità, ed esse parvero riacquistare, almeno un po', la loro primordiale innocenza.

I sassolini di ghiaia scricchiolavano fastidiosamente sotto le nere scarpe lucide dell'uomo, che non vedeva l'ora di calpestare un pavimento, un vero e proprio pavimento.

I raggi del sole del tardo mattino si riflettevano sulla maniglia e sul grosso battiporta argentati del gigantesco portone d'ingresso; vennero interrotti dal sopraggiungere di lui, che si soffermò sull'uscio e batté con energia l'anello che fuoriusciva dalla bocca della testa di leone. Il rumore sordo parve riecheggiare all'interno di ogni singola stanza dell'edificio.

Dovette attendere qualche minuto, e questo lo infastidì non poco, dal momento che non era abituato ad aspettare. Una cosa che non tollerava affatto.

Gli aprì un maggiordomo che, a suo parere, doveva avere almeno una novantina d'anni: basso, curvo con le spalle e decrepito in viso, pochi capelli bianchi e maniche della divisa troppo lunghe, era decisamente un veterano del mestiere.

-Ron Friedrich- annunciò l'uomo al vecchio, che socchiuse gli occhi, forse per scrutare meglio il nuovo ospite, forse per la luce violenta del mattino.

Annuì lentamente, come se un movimento più rapido potesse in qualche modo disperdere le sue ultime energie rimaste, e disse, in tono sorprendentemente fermo:-Aspettate qui.-

Ecco, di nuovo. Doveva aspettare. Già la sua opinione sul padrone di casa stava prendendo la piega indesiderata.

Nella reggia regnava un silenzio profondo, come se fosse stata inabitata; tuttavia lui sapeva che lì ci vivevano alcune persone, il padrone di casa, innanzitutto, gli ospiti, che di volta in volta si sostituivano, e naturalmente la servitù.

Ron allungò annoiato lo sguardo verso l'ampio atrio, dominato da una regale scalinata centrale che si articolava in due rampe, una a destra e una a sinistra. I corrimani erano decorati con motivi floreali scolpiti sulla pietra, ripresi, sotto forma di affreschi, anche sul plateale soffitto, governato a sua volta, al centro, da un enorme lampadario. Tra le due rampe di scale si ergeva una seconda porta, naturalmente più piccola di quella principale, di legno scuro, decorata anch'essa con particolari floreali e animali, mentre ai lati si allungavano due corridoi che continuavano chissà dove. Altre sculture antropomorfe erano come incastonate in nicchie scavate sulle pareti in marmo bianco, e rappresentavano, forse, delle divinità. Le cornici delle nicchie erano ricche di bassorilievi e decorazioni astratte.

Ron raddrizzò lo sguardo sentendo i passi lenti del maggiordomo provenire dal corridoio di destra. Il vecchio spuntó dalla curva, quasi comico nella sua goffaggine, e si avvicinò a lui. -Seguitemi.-

Ci sono sempre stataDove le storie prendono vita. Scoprilo ora