CAPITOLO XXIV

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L'atmosfera sospesa fu spezzata da uno strano, improvviso fruscio tra l'erba a pochi passi da loro.

Ron spalancò gli occhi, rendendosi conto solo in quell'istante che li stava chiudendo, e scattò all'indietro.

Margaret, dal canto suo, fece lo stesso.

I due si fissarono per un secondo, uno più turbato, confuso e scosso dell'altro, poi si rizzarono in piedi.

-Scusatemi, io...- Margaret si interruppe, non sapeva cosa dire. Si lisciò la gonna mentre si sentiva rossa come un peperone.

Ron sentiva lo stomaco di nuovo sottosopra. Eppure gli era passato dal giorno prima...

-Andiamo- disse con voce greve evitando di guardarla, e si diresse a grandi passi verso l'auto.

Accese il motore mentre la ragazza saliva, poi diede gas.

Il viaggio fu, come è facilmente intuibile, silenzioso. Solo il ronzio che prima pareva tanto strano a Margaret si udiva, oltre che qualche colpo accidentale quando l'auto prendeva una buca.

Margaret fissò per tutto il tempo fuori dal finestrino, anche se in realtà poco si scorgeva. Preferiva non dire niente, anche perché la sua mente non glielo permetteva. Era troppo colma per farlo.

I pensieri si susseguivano confusi, senza un filo logico preciso, senza meta, e si affollavano intorno a quello che era appena successo.

Dopo un po' che ci rimuginava sopra, mentre pensieri e sentimenti, emozioni e ragionamenti si confondevano e si intrecciavano dentro di lei, le parve quasi che fosse stato un momento di sogno. Cioè, che avesse sognato.

Il tempo sembrava come essersi fermato, sospeso a mezz'aria in mezzo a loro. Era tutto così... strano...

Ron strinse le dita attorno al volante finché non gli fecero male.

Tentava di non pensare a quello che sarebbe potuto accadere ma la sua mente si rifiutava di obbedirgli; vagava come impazzita e a un certo punto dovette stringere gli occhi per rendere più lucida la vista perché pareva essersi come annebbiata.

Quando scorse in lontananza le piccole, prime luci di Capo Laguna, sospirò sollevato; non vedeva l'ora.

Si fermò poco lontano dalla piazza anche perché più avanti non c'era posto per l'auto.

-Beh... grazie.- La voce della cameriera era bassa e sembrava esitante. Forse era solo un'impressione.

Doveva lasciarla là? Non lo convinceva lasciarla andare a casa da sola a quell'ora della notte, ma non osava mostrarsi preoccupato. Anche perché non lo era, no no, non lo era.

Provò ad annuire poco mentre continuava a guardare avanti. Non disse niente mentre lei apriva la portiera.

Chiuse gli occhi aspettando che la richiudesse e se ne andasse, cavolo, se ne andasse, ma dopo un attimo sentì di nuovo la sua voce.

-Scusatemi... e la valigia?-

Accidenti! È vero, la valigia!

Uscì e aprì il bagagliaio ostinandosi a fissare davanti a sé.

"Non guardarla, non guardarla" continuava a ripetergli il cervello come un disco rotto. Bastava solo non incrociare quegli occhi maledettamente azzurri e tutto filava liscio. Bastava poco. Bastava poco.

Prese la valigia e, per evitare di avere un qualche contatto (non si poteva mai sapere) la appoggiò per terra.

-Buonanotte- bofonchiò prima di gettarsi verso il posto del guidatore.

Ci sono sempre stataDove le storie prendono vita. Scoprilo ora