Capitolo 2

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Sei anni prima...

«Ho finito» sento l'infermiera rivolgermi parola, mentre mi toglie gli elettrodi sparsi per il corpo «Può vestirsi e attendere fuori la prossima chiamata».

«Cosa mi resta da fare?» chiedo con un filo di voce mentre mi sistemo la maglia.

«Ha fatto le analisi, l'ecografia e ora l'elettrocardiogramma. Ha terminato. La chiameremo per la somministrazione della pillola» continua a parlarmi in tono freddo e distaccato.

«D'accordo. Attendo fuori» dico a testa bassa mentre finisco di indossare la giacca e afferro la borsa dalla sedia.

Chiudo la porta dell'ambulatorio per ritrovarmi, ancora, in quel corridoio d'ospedale così tremendamente affollato e soggetto a continui via vai.

Questo pavimento è così consumato, quanti passi tremanti avrà accolto. Queste pareti apparentemente ritinteggiate, quante lacrime avranno visto.

Trovo un posto per sedermi, in fondo, in un angolino che pare il più nascosto in assoluto. Stento ad alzare il capo, quando trovo il coraggio di farlo incontro un viso di una ragazzina triste e sconvolta, è stretta tra le sue spalle come a proteggersi da sguardi curiosi. Sembra più giovane di me, ma mi rivedo in lei.

Mi sento triste e sconvolta anch'io e non solo, mi sento anche irresponsabile, codarda, mi sento un mostro. Quel mostro che metterà fine ad un battito.

Sono qui per non vederlo mai crescere: non dondolerò nessuno, non avrò casa piena di strane attrezzature, non dovrò comprare giocattoli e né progettare tour al cinema o giornate insieme di shopping. Non adesso.

Ho solo vent'anni, cosa ne potrò sapere di pappe e colichette? E di educazione? Delle volte non so quale sia il modo giusto per comportarmi, figuriamoci se devo insegnarlo.

Certo, chi sono io per decidere cosa ne sarà di quel battito? Non sono nessuno. Sono solo una ragazza vigliacca, legata alla sua perfetta vita, per niente predisposta a stravolgere i suoi piani. Non posso tenerlo, troppo difficile, complicato, sconvolgente. Non posso.

Non voglio pensarci. Basta. La decisione l'ho presa, anzi, l'abbiamo presa. Con Luca non abbiamo perso tempo, sapevamo fin da subito cosa sarebbe stato giusto fare. Ho cercato, sola, il modo per chiudere definitivamente questa storia, ho limitato il diffondersi della notizia, non tutti capirebbero. Siamo tutti brava gente quando si tratta di giudicare gli altri. Non ho bisogno di nessun dito puntato, è forse chiedere troppo?

Oh! Mio Dio! Non so chi si prenderà cura di me, como potrò guarire questa ferita nell'anima?

Ho freddo, freddo nel cuore. Mi sento esposta nuda, nel bel mezzo di una tormenta di neve. Fuori è una delle giornate più calde dell'anno, ma la mia anima la sento glaciale.

Provo a tirare su la zip del mio giacchetto, mi sistemo più voluminosa la pashmina sul collo e allungo le maniche della giacca per coprire le mani. Forse così andrà meglio.

Afferro il libro dalla mia borsa, leggere mi aiuterà a non pensare. Questa giornata finirà presto, dovrò solo mettere tutto nel dimenticatoio e non ci sarà più niente a tormentarmi.

Leggo la prima riga, passo poi sulla seconda. Non ho capito nulla. Non riesco a dare senso alle parole. Ricomincio.

Prima riga. Seconda riga. Terza riga. Cavolo! Torno indietro alla seconda. Riprendo. Quelle parole continuano a essere sciolte, senza incastrarsi perfettamente in un concetto.

Mi arrendo. Chiudo nervosamente il libro. È inutile insistere se non riesco a concentrarmi.

La mia mente vola, ancora, verso quel fagiolino che ho visto poco fa sullo schermo. Sesta settimana, quella fotografia contiene i cinque millimetri più grandiosi in assoluto che abbia mai visto.

ELP Effetto Luna PienaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora