Capitolo 6

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Jolyon's Pov

«Adesso sono io che ti rispondo male? Adesso sono io?! Sei tu che mi tratti sempre male, da sette anni! Sette. Fottutissimi. Anni. E io non ti avevo mai fatto niente! Ma come ti permetti a trattarmi così? Come ti permetti di dire che io sono inferiore? Non ti devi più azzardare a chiamarmi in quei modi. Hai capito?».

Quelle parole. Quelle dannatissime parole.

Sapevo già il male che procuro ogni giorno a Len, ma non pensavo che potesse essere così enorme.

Mi blocco, come se fossi in un incubo. Come non succedeva da anni.
I miei occhi si sgranano e guardo il pavimento, per poi ritornare a guardare Len.

Delle lacrime solcano il suo bellissimo viso.
«Len, io...» mi avvicino a lui, ma mi sposta il braccio.

«Non mi toccare!» e continua a piangere.
Comincia a darmi pugni sul petto, ma per via del pianto sono talmente tanto leggeri che neanche li sento.
«Perché a me? Perché?» piange, attaccandosi alla mia maglia.

«Scusami Len, scusami» gli dico, cominciando ad accarezzargli la testa.
Ormai è talmente tanto crollato da non reagire più male.

Lo faccio sdraiare nel suo letto, mi metto dietro di lui e continuo ad accarezzargli la testa lentamente.

Dopo circa cinque minuti si è già addormentato.
Così mi alzo dal letto e prendo il mio zaino, pronto per andarmene.

Mi giro e lo vedo, in tutta la sua malinconica bellezza.
Gli asciugo le lacrime con il pollice.

Scendo al piano di sotto, cercando di non fare rumore.

«Jolyon» mi dice la madre di Len, Joyce, uscendo dalla cucina.

«Signora Green, cioè... Joyce, la saluto. Len si è addormentato, in questi giorni è molto stanco» le dico con leggerezza.

Lei mi fa un sorriso strano. «Era molto stanco?».

«Sì» rispondo. «Ci vediamo signora Green» le sorrido poi, uscendo di casa.

Vado subito nella mia macchina e parto, pronto al peggio.
E il peggio sarebbe il posto in cui vivo. Perché chiamarla casa è impossibile.

Quando avevo soltanto 7 anni mio padre si è ammalato di tumore ai polmoni, e mia madre non gli è stata vicina per nulla. Era troppo occupata a spassarsela con il suo amante.
Quando poi avevo 9 anni lui è morto e mia madre ha subito provveduto a farci trasferire a casa del suo amante.
E diciamo che a quest'ultimo la mia presenza non è mai piaciuta, dice che somiglio a mio padre. E per me è uno dei complimenti migliori al mondo.

Arrivo davanti la loro casa e parcheggio la mia auto.
Apro la porta e subito vado nella mia stanza. È meglio evitarlo.

Poso lo zaino, per poi prendere il mio cellulare.

«Ragazzino!» sento urlare una voce maschile e rauca dal piano di sotto.
È sicuramente Bill, l'unico fidanzato di mia madre. A meno che lei non faccia le corna anche a lui, e in quel caso non le darei tutti i torti.

Poso il mio cellulare e scendo al piano di sotto.
Vado in salone e trovo lui e mia madre sdraiati sul divano.
Lei non ha la maglietta, ma soltanto un reggiseno fucsia.
Lui ha la camicia sbottonata e beve una birra.

«Jolyon...» mi saluta lei, biascicando con la voce.

«Sei ubriaca?» le chiedo.
Per quanto sia stata cattiva con mio padre, che era la persona più buona del mondo, rimane comunque mia madre e sono molto preoccupato per lei.

«Sì» si mette a ridere.

«Tu, lurido pezzo di merda!» urlo a Bill. «Come cazzo ti permetti di far ubriacare mia madre?».

Lui si alza di scatto, mi prende per il colletto e mi sbatte al muro.
«Sentimi bene, ragazzino del cazzo: se quella puttana di tua madre si vuole ubriacare ben venga, almeno mi diverto di più con lei. E sappi che se mi urli di nuovo quelle cose andrai a finire sotto terra, vicino a quel coglione di tuo padre.».

Lo spingo all'indietro. «Come cazzo ti permetti di chiamare coglione mio padre?!».

Mi dà un pugno sullo stomaco e finisco a terra dal dolore.
«Io lo chiamo coglione quanto mi pare. Era talmente poco uomo che si è fatto mettere le corna» scoppia a ridere. «E adesso vado a prendermi un'altra birra, il motivo per il quale ti avevo chiamato qui».
Passa sopra di me e va in cucina.

Mia madre lo segue come un cagnolino bastonato.
«Mamma» le sussurro con le lacrime agli occhi, mentre lei passa vicino a me.
Ma non mi degna di uno sguardo e segue quello stronzo di Bill.

Ormai ci sono abituato.
Vado in camera mia, ancora dolorante, e mi sdraio sul letto.

I miei pensieri corrono subito a Len, l'unica cosa meravigliosa della mia vita, sebbene io sia una spina nel fianco nella sua.

Ripenso a quanto l'ho fatto soffrire in tutti questi anni.
Giuro che da domani sarò gentile con lui e farò in modo che non soffra mai più.
Lo prometto.

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