Capitolo 22

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Jolyon's Pov

«Oddio, adesso come faccio? È rosso!» urla Len, uscendo dal bagno.
La terza guerra mondiale sarebbe meno preoccupante rispetto a quel succhiotto, per Len.

«Perché non metti una felpa con il cappuccio? Tanto le metti sempre, non gli sembrerà strano».
How to nascondere le cose ai genitori. Tutorial by Jolyon.

«Hai ragione!» esclama.
Poi apre un cassetto e tira fuori una felpa nera enorme, con un cappuccio altrettanto gigante.
Poi mi fissa, con la felpa in mano.

Gli sorrido e mi volto.
Ho una grande voglia di vedere Len, ma se lui non vuole io non posso costringerlo.
Sono stato la principale fonte del suo dolore e adesso voglio che nessuno al mondo riesca più a ferirlo.
Non mi aspetto che si fidi al cento per cento di me, sebbene si sia fatto baciare senza problemi, perché comunque sono stato cattivo con lui senza motivo.
O meglio, sono stato cattivo con lui senza che mi avesse fatto nulla.

«Jolyon...» mi chiama Len.

«Sì?» gli chiedo, girandomi verso di lui.
Ha infilato la felpa che gli sta davvero larga.

«Volevo chiederti come andava... con il livido» mi dice, venendo lentamente verso di me.

«Beh, direi che va meglio» rispondo.
Alzo la maglia e lo guardo «Non ha cambiato colore, è ancora blu-viola. Però almeno adesso non fa più male come prima».

Alzo lo sguardo e vedo che Len mi sta fissando un po' troppo.
«Len?» chiedo.

Si sveglia come da una fase di trance e mi fissa.
Gli sorrido, per poi alzarmi leggermente e dargli un bacio a stampo.

«Come te lo sei fatto?» mi chiede.

«È stato Bill, il compagno di mia madre» gli spiego. Va bene che è una cosa privata, ma non ho alcun motivo per difendere quel bastardo.

«Cosa?» sbianca in viso e si siede accanto a me.

«Sì, non siamo mai andati d'accordo. O meglio, io non gli sono mai piaciuto» comincio a raccontargli. «Quando mio padre è morto ero distrutto. Gli volevo un mondo di bene e passavo la maggior parte del tempo con lui, sebbene mia madre fosse casalinga e lui lavorasse dal lunedì al venerdì. Solo un mese dopo la morte di mio padre ci trasferimmo a casa di Bill. Ero triste per la morte di mio padre e per il fatto che mia madre non avesse aspettato un momento migliore per far entrare Bill nelle nostre vite e noi a casa sua, per quanto non avesse aspettato un solo momento per farlo entrare tra le sue gambe» faccio una leggera risatina per via della mia battuta. «Lui mi trattava sempre male, mi urlava e mi chiamava anche 'frocio'. Non lo sopportavo e preferivo andare a scuola piuttosto che restare a casa. Una volta ci sono andato anche con la febbre a 38, soltanto per non restare a casa.».

«Non avevi parenti che ti aiutavano?» mi chiede Len.

«No. I genitori di mio padre e di mia madre sono tutti morti ed entrambi i miei genitori sono figli unici. Gli unici che mi sono stati vicini erano Abel e i suoi genitori, però non potevo confidarmi con quest'ultimi, quindi diciamo che mi ha aiutato soltanto Abel.» mi sento come un fiume in piena che ha aspettato fino troppo tempo per straripare.

Len mi prende la mano e me la stringe, guardandomi dritto negli occhi. «Ed io che pensavo che tu fossi una persona cattiva».

«Con te lo sono stato. E giuro che non lo sarò mai più» prometto, guardandolo negli occhi.

Gli metto una mano sulla guancia e poi ci baciamo.
Le sue labbra sono morbide e il suo modo inesperto di baciare mi fa impazzire.
Potrei restare a baciarlo per semp-

«Lenny! Siamo torna-».

Di nuovo? Eccheccazzo.

Len si stacca subito da me e si alza dalla sedia.
Dall'altra parte della porta c'è Joyce, con alcuni sacchetti della spesa in mano.
«Scusatemi, scusatemi tanto» dice, affrettandosi a chiudere la porta.

«Oddio!» dice Len, impanicato.
Se succede un'altra di queste cose gli verrà un infarto.

«Ehi, calmo. Calmo» gli dico, prendendolo per le spalle.

«Calmo? Ci hanno visto baciarci!» esclama, parlando come se avessi appena detto che la pizza fa schifo.

«Tanto ormai sanno che sei gay. Di che cosa ti preoccupi?» gli chiedo.

«Beh... non lo so... ma è un po' imbarazzante, non credi?» noto in questo momento che è tutto rosso.

Scoppio a ridere. «Tranquillo Lenny, scendiamo insieme. Ti aiuto» gli prendo la mano.

Fissa le nostre mani intrecciate, come rapito.

«È troppo gay?» chiedo, sorridendo.

«Per nulla» mi sorride anche lui, gli occhi quasi gli brillano.

Scendiamo al piano di sotto e andiamo in cucina, dove c'è Joyce che sembra che abbia appena vinto un milione di dollari alla lotteria. Accanto a lei c'è Mike, anche lui con un grande sorriso in viso.

«Lenny!» dice Joyce, con troppa felicità. «Che cosa facevate sopra?» chiede, con davvero troppa felicità.

«Mamma, hai anche tu degli occhi» risponde Len.

«Quindi siete... fidanzati?» chiede Joyce.

«Ehm... beh... cioè... noi... ehm...» balbetta Len.
«Sì» rispondo io.

Len si volta subito verso di me, questa volta sono sicuro che i suoi occhi stiano brillando.

«Bene...» dice Mike, con un tono non troppo dolce. «Spero proprio che mangerai qui questa sera, Jolyon...»

«Va bene Mike» rispondo.

«Io preparo la cena» dice velocemente Joyce, per poi mettersi a lavorare.

«Mentre aspettiamo, che ne dici se ci facciamo una chiacchierata, Jolyon?» mi chiede Mike. Oh cazzo!

«Sì, va bene» rispondo.

Mike mi mette una mano dietro la schiena e mi porta in giardino, mentre Joyce si fa aiutare da Len in cucina.

«Allora, Jolyon... avete fatto sesso?» mi chiede Mike, mettendosi a braccia conserte.

«Non ancora, no» rispondo tranquillo.
Non ho mai affrontato una discussione del genere, ma non capisco perché dovrei essere in ansia e non dovrei dire le cose proprio come stanno.

«Non ancora?» ripete le mie parole.

«Io e Len non siamo fidanzati da molto, anzi, ci siamo avvicinati da poco. Non abbiamo avuto tempo. E comunque non penso che lui sia pronto» gli spiego.

«E tu? Sei pronto?» mi continua a chiedere Mike, con gli occhi che sono diventati due fessure.

«Non sono più vergine» rispondo, tranquillo.

«E hai scoperto di essere gay da poco?».

«No, lo so già da tanto tempo. Da quando sono piccolo, a dire la verità».
Lo ammetto, non sto raccontando tutta la verità. Non sono gay, sono pansessuale, ma non mi va proprio di spiegare il significato di 'pansessuale' a qualcuno che potrebbe non capire.

«Va bene. Ora passiamo alle cose serie.» si avvicina a me e io indietreggio di qualche passo. «Mio figlio è gentile e sensibile, non merita di soffrire in alcun modo. Se solo ti permetterai a fargli del male, sappi che farò di tutto per fartela pagare».
Ma possibile che mi minacciano tutti?! Ma che cosa sono?! Un fuckboy?!

«Me la farò pagare da solo se mai ferirò Len. Può stare tranquillo, signor Green.» gli dico serio.

«Bene» mi sorride. «Sei un ragazzo serio, cosa che comunque io e mia moglie avevamo già notato. Entra dentro, comincia ad esserci un po' di freddo».
Entriamo dentro casa.

Penso di aver superato il 'test anti fuckboys' a pieni voti.

I Was WrongDove le storie prendono vita. Scoprilo ora