39.

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Non ho ancora toccato cibo da stamattina ma non importa. Non voglio sembrà 'n morto de fame e abbuffarmi come un porco. E poi Alice è così seria che davvero non capisco che cosa possa volermi dire.
Ha detto che non vuole lasciarmi e questo mi tranquillizza parecchio, ma resta il fatto che riesco ad indovinare. Forse è malata?
L'hanno licenziata? Che diavolo è successo? O forse riguarda Tiziano. Spero che non ci abbia provato di nuovo perchè questa volta gli faccio male sul serio.
Ho mille dubbi per la testa ma non voglio inondarla di domande dopo soli due minuti che siamo seduti a tavola. Afferro un pezzo di pane e lo addento, pregustando la carbonara che sto sapientemente cucinando con la ricetta di mio nonno.
"Allora? Com'è andata al lavoro, Carboncì?" le chiedo, per parlare d'altro.
Lei fissa il piatto vuoto e tamburella sul tavolo con le dita. Ma almeno mi ha sentito?
"Carboncino, mi sono scopato un'altra!" le dico, tanto per vedere se mi ascolta.
Niente.
Nemmeno una piccola reazione. È completamente persa nel suo mondo.
"Alice?" le passo una mano di fronte al viso "Ci sei?"
"Cosa?"
"Mi vuoi dire che ti prende?" le chiedo "Se pò sapè che me devi dì de così importante?"
"Oggi ho parlato con Tiziano"
Lo sapevo che centrava ancora quel figlio di....
"Non ci ha provato, tranquillo" mi dice.
Oh...Devo crederci?
"Anzi, ha chiesto scusa a me e a te e ha detto che non doveva permettersi"
Finalmente dice qualcosa di sensato sto stronzo.
"E allora che ti ha detto?"
"Voleva scusarsi per come si è comportato e così..." la vedo prendere un respiro "Ha usato una vecchia conoscenza di sua madre per trovarmi un lavoro"
"Un lavoro? Ma tu ce l'hai già un lavoro" le dico.
"Non qui a Roma"
Lo sapevo.
Pezzo di merda!
"Cos'è? Un bieco tentativo di allontanarci?" le domando alzandomi in piedi, nervoso "E dove sarebbe sentiamo? A Milano? A Firenze? Digli pure che non c'è un posto abbastanza lontano per tenermi lonta..."
"È a Londra, Damiano...Alla National Gallery"
Resto in silenzio ad ascoltare l'eco di quelle parole, troppo amare per una serata che doveva essere un semplice appuntamento con la mia ragazza e che ora è diventato un incubo.
La National Gallery.
Londra.
Ho la nausea, non mi capita da mesi. Forse solo il giorno delle audizioni.
"Londra? E come diavolo ha fatto a procurarti un posto del genere?"
"Credo sia stata sua madre"
Vorrei farle una domanda.
L'unica che mi passa davvero per la testa, ma ho una paura tale che quasi mi tremano le ginocchia.
Mi siedo e prendo un bel respiro:"E tu che intendi fare?"
"Ho un colloquio in video-chiamata con il direttore della galleria, tra una settimana"
Quindi c'è ancora la possibilità che vada male e che resti tutto così com'è?
"Ma Tiziano dice che è solo una formalità e che praticamente il posto è mio, se accetto" dice. Sta parlando con l'amaro in bocca ed ho la brutta sensazione che lo stia facendo per il semplice fatto che ha intenzione di accettare.
"È una grossa opportunità" aggiunge, alzandosi e venendo verso di me.
"È una GIGANTE opportunitá!" le rispondo.
E allora perchè mi sento così? Perchè non riesco ad essere felice per lei e l'unica cosa che vorrei fare è piangere come un bambino?
"Sei confusa?" le domando.
"Da morire" sbuffa. E potrei giurare che stia per piangere.
Anche io ho le lacrime agli occhi, ma cerco di trattenermi. Devo essere forte, devo essere la sua roccia.
"Lo sai che facciamo adesso?" dico, sperando che non si accorga della mia voce spezzata.
"Andiamo a Trastevere"
"A Trastevere? Ma non abbiamo nemmeno cenato"
"Abbiamo tempo" le dico "Ma adesso c'è un problema e conosco solo un posto che elimini i problemi"
Mi infilo la giacca e la bacio.
È un bacio dolce. Di quelli che parlano e dicono 'Adesso ci sono io, non devi più preoccuparti'. Lei mi sorride ed il mio cuore si scioglie.
Da qualche parte nella stanza, il fantasma del Damiano che ero sta scrollando la testa, amareggiato. Ma è il presente che conta e nel presente, ormai, c'è posto solo per la musica e per lei.

"Ti viene in mente qualcosa, Carboncino?" le chiedo, una volta superato il ponte. Lei sorride ed allunga una mano verso la mia, ma poi al ritrae subito. Le vedo l'amaro negli occhi per non potermi abbracciare in pubblico e le sorrido.
"Ti amo" le dico a bassa voce. È un piccolo gesto, ma spero possa servire a farle capire che non importa dove siamo. Siamo insieme ed è l'unica cosa che conta.
"Allora? Te lo ricordi o no dove te sto portando?"
Lei guarda in avanti, verso le piccole bancarelle e sorride.
"A sfondarci di frizzarelle?"
"Esatto"
"Mi ci hai portato al nostro primo appuntamento" dice malinconica, guardando in basso.
"Lo sai che ce l'ho ancora il ritratto che mi hai fatto quella sera?" le dico, nel tentativo di tirarla su di morale.
"Sul serio?" le si illuminano gli occhi ed io vorrei baciarla.
Tiro fuori il portafogli dalla tasca e tra le banconote afferro un foglio piegato in quattro e glielo porgo.
La guardo aprirlo e sorridere felice. Ora il mio cuore è più leggero.
"Lo hai sempre avuto nel portafogli?" mi chiede sorpresa.
"Sempre" le rispondo.
Si siede sul muretto e fissa il mio ritratto. Il vento le scompiglia i capelli ed io vorrei scattarle una foto. Perchè è così bella che il lungo-tevere e le luci della città eterna scompaiono.
"Tu vuoi andarci, vero?" le domando. Lei non risponde, ma il suo silenzio mi dice tutto. Sento una fitta allo stomaco che poi passa al cuore e me lo riempie di tristezza.
"Penso che dovresti andare" le dico. E d'improvviso le luci si offuscano, i rumori della città se ne vanno ed è come se fossimo solo io e lei.
Lei alza lo sguardo dal foglio e pianta gli occhi lucidi nel miei. Vorrei morire.
"Damiano, io..."
"No, ascoltami..." la interrompo "Sei stata la prima a dirmi di inseguire il mio sogno mesi fa. E se ora sono dove sono è anche grazie a te" le sposto una ciocca di capelli dietro l'orecchio, non curante della gente che potrebbe vederci.
"Che razza di egoista sarei se ti impedissi di rincorrere il tuo sogno e di fare carriera nell'ambiente che ami?"
"Carriera...Lontano da te"
Le sorrido:"Lo sai che diceva mio nonno?"
"Quello delle frizzarelle?"
"Si, proprio lui" rispondo "Diceva che non esiste un luogo abbastanza distante per chi si vuol bene"
Si mette a piangere ed io vorrei abbraciarla e nient'altro.
"Alice, guardami" le dico nervoso "Vai a Londra, diventa chi vuoi diventare e torna qui solo per fare il dito medio a chi ti screditava"
"Dem, ma come faccio a lasciare tutto questo?" si guarda intorno "Come faccio a lasciare te?"
Non rispondo.
Ogni parola suonerebbe stupida in un momento come questo.
"Ali, devi andarci, questo è un treno che non puoi perdere"
"Sei sicuro?"
No, non sono sicuro per niente. Vogli che resti qui con me e chi se frega della National Gallery. Non voglio perderti.
"Certo che sono sicuro. È il tuo sogno e devi realizzarlo!"
Lei si alza in piedi. Siamo occhi negli occhi eppure sembriamo già lontani chilometri e chilometri.
"Andiamo a casa" mi dice, in una supplica silenziosa, che so essere una semplice voglia di baciarmi e abbracciarmi senza che nessuno ci veda.
"Niente feizzarelle?" le chiedo fingendo un sorriso.
"Scherzi? Ne prendiamo almeno due sacchetti a testa e ci facciamo venire la gastrite!" mi risponde. La vedo ridere di gusto e di colpo il mio cuore sta un pó meglio.
"Vieni..." le dico "Andiamo a casa"











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