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Aveva impiegato meno tempo del solito per vestirsi e fare colazione e ora aveva dieci minuti a disposizione prima di dover uscire per andare a scuola. Lucia si guardò ancora nello specchio, si risistemò i riccioli che sfuggivano al fermaglio, cercò di piegare meglio il colletto della camicia. Non le importava di quali fossero i dettami della moda tra le sue coetanee, lei non sarebbe mai andata in giro con roba stazzonata o indossata con trascuratezza.

L'uniforme che tutte le allieve del S. Nicoletta dovevano indossare per i primi tre anni sarà stata anche brutta e odiosa, ma aveva la sua comodità; ora che non la portava più, Lucia doveva preoccuparsi già la sera prima di come vestirsi l'indomani, e accertarsi che tutto fosse pulito e stirato. Suo padre sapeva giusto cucinare un poco, ma per il resto non era granché come massaia. Non che non ci provasse, ma semplicemente non era tagliato, ecco.

Sbuffò e mostrò la lingua alla propria immagine riflessa. Perché non impiegare quei minuti aiutando suo padre a disimballare i nuovi arrivi? Un mucchio di roba era rimasta ancora negli scatoloni, nel retro del negozio, dalla sera prima quando era passato il fornitore.

Prese la cartella e la giacca e scese rapidamente le due rampe di scale che la separavano dal piano terra. Entrò nel negozio dalla porta posteriore e vide che suo padre aveva già aperto alcuni scatoloni. Merendine e biscotti per la prima colazione. Scelse la scatola già mezza vuota, sperando fosse la più leggera, e iniziò a spingerla attraverso le tende verso la zona anteriore della bottega. Non aveva senso fare avanti e indietro con poca roba per volta, no? Era meglio portare direttamente lo scatolone vicino agli espositori e agli scaffali.

Si scontrò con suo padre, che si stupì di trovarla lì.

«Lucia, ma non vai? Ti fai venire tardi... Non hai un'interrogazione, oggi?»

«Non alla prima ora» replicò lei, con un sorriso. «Ho tempo.»

Il vantaggio di andare a piedi era proprio quello di sapere sempre quanto tempo ci sarebbe voluto: non c'erano semafori lenti, né traffico, né scioperi, né incidenti...

Con gesti lenti, per non affaticare la gamba lesa, lui si chinò e aprì dall'interno la serranda. La lasciò a mezza altezza, tanto per far uscire Lucia. Tutto era ancora immerso nella penombra, ma presto la saracinesca sarebbe stata aperta del tutto, il negozio avrebbe preso vita, si sarebbe riempito di gente.

Quella piccola rivendita di alimentari era la loro casa e il loro mezzo di sostentamento da circa otto anni: quando le cose avevano cominciato a mettersi male per loro, quando l'incidente alla gamba alla fine degli anni Settanta aveva fatto perdere a suo padre il lavoro nell'officina, lui aveva usato gli ultimi risparmi per acquistare l'attività, consigliato da un parente. Era stato -per una volta- fortunato: si trattava di un negozio minuscolo, ma posizionato in un rione privo di supermercati, e soprattutto era sempre stato lì. Avevano ereditato un consistente numero di affezionati clienti e gli affari andavano a gonfie vele. Insieme al negozio, era stato loro offerto anche l'appartamento di sopra. Era comodissimo abitare lì.

Lucia canticchiava, posizionando i biscotti sullo scaffale più vicino alla porta, quando udì lo squillo del telefono.

«Rispondo io!» gridò, mentre papà ancora trafficava con la serranda.

Superò con un balzo lo scatolone sul pavimento, con una corsa di pochi passi arrivò ad afferrare la cornetta.

«Pronto?» disse, in tono squillante.

«Pronto» sentì rispondere.

Una giovane donna, che chiamava forse da una cabina in strada. La linea era disturbata, si sentiva un gran frastuono di traffico e vocio di gente. In quella voce ancora sconosciuta Lucia udì un brutto presentimento.

Perché?

Forse non era una voce sconosciuta.

L'altra riprese.

«Lucia?»

Lucia si accorse d'un tratto che non voleva parlare con quella persona. Ma poteva forse sbatterle il telefono in faccia? Era questa l'educazione che le aveva inculcato sua madre?

«Sì, sono io.»

Stavano per darle una brutta notizia, di sicuro. Inspirò, per farsi forza.

«Ho pensato che forse ti avrebbe fatto piacere sapere che sono tornata in città da qualche giorno. Come te la passi?»

Lucia rimase in silenzio. Allontanò la cornetta dall'orecchio e la guardò per qualche istante. Un oggetto strano, alieno.

La voce la chiamava.

«Pronto? Pronto? Lucia?»

Inspirò di nuovo, tanto da farsi venire le vertigini.

«Mi dispiace, queste cose non mi interessano» disse, a voce alta, in modo che anche suo padre sentisse, e riattaccò.

Si strinse nelle spalle sotto lo sguardo interrogativo di lui.

«Solite vendite... interviste telefoniche...» inventò, ma le tremava la voce.

Guardò l'ora: adesso sì che stava facendosi tardi! Si infilò la giacca in tutta fretta, prese la borsa coi libri, uscì.

Ma, appena in strada, rallentò l'andatura. Forse era in ritardo, ma non ce la faceva a correre. Il cuore le batteva all'impazzata, le mancava il fiato.

Mentre percorreva via Pergolesi le sue gambe si fecero sempre più pesanti. Quando giunse a metà di Ponte Fermo si scoprì troppo esausta per continuare. Si appoggiò alla ringhiera, cercando di riprendere fiato. Le mancava l'aria, come se davvero avesse corso, troppo a lungo.

Guardò giù: il livello dell'acqua era alto, grazie alle piogge degli ultimi giorni. In estate, il torrente si riduceva a un rigagnolo polveroso, a volte persino si prosciugava; d'autunno e d'inverno, poi, le frequenti piogge lo rendevano un pantano pieno di fango, rami d'alberi morti e finanche rifiuti. Ma in primavera l'erba sulle rive diventava di un verde luminoso, intenso, i rami dei salici dondolavano quasi sfiorando la superficie dell'acqua; la corrente era molto tranquilla e le immagini riflesse sembravano quasi ferme, un altro mondo trasparente sotto una lastra di vetro.

Lucia stava cercando la sua immagine, quella di una piccola figurina sospesa sulla campata del ponte, ma non riusciva a vederla. Solo il riflesso del cielo nuvoloso, e masse scure poco definite. Sulla superficie dell'acqua si poteva scorgere qualche grumo bianco di carta. Era un'antica consuetudine quella di esprimere un desiderio gettando un bigliettino da Ponte Fermo; biglietto che doveva essere il più piccolo possibile, e della carta più sottile, per sciogliersi completamente nel fiume. Era di cattivo auspicio che qualcun altro potesse recuperare il biglietto e leggerlo.

Lucia si passò le dita sugli occhi. Erano asciutti. Anche lei una volta aveva gettato un desiderio nel fiume, quella che sembrava un'era fa. Non era servito a niente. Strinse forte le mani sulla ringhiera, cercando di rimettersi in cammino, di andare a scuola, affrontare la giornata come sempre.

Quattro anni per ritrovare la forza, per riemergere dal baratro, per riprendere la sua vita e andare avanti, e ora tutto in fumo, tutto in frantumi.

Adagio ma non tanto [completa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora