Anche Maria Stella suonava. Si esercitava. Aveva scelto uno degli esercizi tecnici più difficili che conosceva, sperando la impegnasse e non le desse modo di pensare ad altro. Ma non era stato così. Ora, la terza volta che lo ripeteva, già le sue dita si muovevano da sole, scivolando agilmente sui tasti, la mente che rimaneva indietro e divagava. Pestava più forte, per disturbare il corso dei suoi pensieri e per fare rumore. Tanto la sua cameretta, dove c'era il pianoforte, era insonorizzata. Come avrebbe voluto lo fosse stato anche il soggiorno in cui i suoi genitori stavano litigando.
La voce di suo padre aveva quella qualità rimbombante e cavernosa che la rendeva capace di farsi udire in mezzo a un uragano. Era impossibile ignorarlo. Quando da bambina Maria Stella sentiva raccontare storie fantastiche e le si descriveva un gigante, un orco o anche un drago, era così che lei immaginava che il mostro dovesse parlare. Era una voce per lei tremenda e paralizzante.
Crescendo era venuta a sapere che c'erano padri peggiori del suo. Esistevano famiglie in cui si sopravviveva a violenze inaudite, in cui si pativano soprusi spaventosi. Suo padre non faceva mai niente di peggio che urlare, e, casomai, sbattere i pugni sul tavolo. Eppure lei si sentiva invadere da un terrore cieco al solo pensiero che ciò potesse accadere. Non c'erano garanzie che un giorno quei pugni non avrebbero scelto un bersaglio differente.
Chissà se Massimo aveva avuto le sue stesse paure. Di certo si era sforzato di non mostrarle; sin da piccoli lui la derideva per come correva a nascondersi al primo segno di inquietudine paterna. Che fifona, tanto più che lei era la cocchina di casa, quella brava, e ben di rado era stata la causa delle scenate domestiche!
Interruppe l'esercizio e lasciò il piano. Si sedette sul letto, sfogliando il libro di latino. Dentro, infilato tra la copertina e le fotocopie che l'insegnante aveva distribuito in classe, c'era un foglio piegato in quattro. Lo aprì con cautela, attenta a ogni suono che potesse indicare che i suoi genitori stavano per entrare nella sua camera. Suo padre, soprattutto. La mamma ovviamente sapeva, le faceva avere le lettere di nascosto.
"Ho iniziato il corso di meccanica", scriveva lui fra le altre cose, "Mi hanno fatto un sacco di storie quando sono andato a iscrivermi, perché sono già diplomato. Secondo loro, sono a posto, con quella splendida e utilissima maturità scientifica, non ho mica bisogno di altro per trovarmi un lavoro una volta fuori! Certo, guarda che carriera stavo facendo! Ma lasciamo stare. Attenta, Spazzola, non sto dicendo che non serve a niente studiare. Per te è diverso, tu sei intelligente e soprattutto hai voglia di impegnarti. Andrai all'Università, e sono sicuro che concluderai qualcosa nella vita. Allora farai finta di non conoscermi, e sarà giusto così..."
Non riusciva a continuare, le lacrime le offuscavano la vista. Conosceva il contenuto di quella lettera, ormai vecchia di un mese, pressoché a memoria, eppure... Forse era vedere quel suo antico soprannome, Spazzola, messo nero su bianco, forse era questo che le aveva fatto scoppiare nel cuore quell'acuto desiderio di rivedere Massimo, di sentirlo ridere come quel giorno che le aveva affibbiato il nomignolo... Lo aveva odiato allora, tredicenne appena uscita dalla pettinatrice, orgogliosa del nuovo sbarazzino taglio di capelli, e lui l'aveva paragonata allo spelacchiato cane di pelouche che stava sul divano, Spazzola appunto.
Stupido idiota, davvero credeva che sua sorella potesse rinnegarlo?
"So che avete passato tutti dei brutti momenti per colpa mia, e anche solo per questo, solo per evitarti guai e dispiaceri vorrei poter tornare indietro ed essere migliore, semplicemente più forte. Ma ormai è andata così, non so se potrai perdonarmi. Io ti posso dare solo questo consiglio..."
Maria Stella sussultò a un nuovo rumore, a cui però seguì un attenuarsi delle voci nel soggiorno. Comprese che sua madre doveva aver chiuso la porta dell'altra stanza, non un bel segno. Voleva dire che la lite era ancora lontana dalla sua conclusione.
"Vai tranquilla, tu non ti devi vergognare. Non lasciare che la mia stupidità ti ostacoli, mai, in nessun modo. Mi fa un enorme piacere ricevere le tue lettere, ma se per stare bene pensi che sarebbe meglio per te cancellarmi dalla tua vita, fallo senza rimpianti. In questo papà ha ragione: sono stato io ad allontanarmi, e adesso ne affronto le conseguenze. Non ho diritto di chiedere a nessuno di farmi compagnia lungo la strada che mi sono scelto."
Ripiegò il foglio e richiuse il libro di scatto. Sentì il bisogno di alzarsi, di camminare; andò di nuovo presso il piano e poi tornò indietro, fermandosi in mezzo alla stanza.
No, Massimo, no, siamo una famiglia! Non si va ognuno per conto proprio, altrimenti che senso ha? Che valore hanno questi legami se ci si abbandona l'un l'altro nella difficoltà? Papà non ha ragione!
Era sicura che ci fosse il modo per visitare suo fratello: era maggiorenne, doveva pure avere il diritto di vederlo qualche volta! Anche la mamma doveva desiderarlo tanto quanto lei... Ma come tenere il fatto nascosto a suo padre? Suo padre, che stava facendo una scenata da mezz'ora solo per aver trovato il bigliettino di auguri di Pasqua spedito da quel suo figlio sciagurato e non abbastanza accortamente nascosto da sua moglie? Avrebbe forse ripudiato anche lei, Maria Stella, se avesse saputo che gli scriveva...
Ma anche lei non si era forse vergognata di Massimo, non aveva ceduto allo spregevole ricatto, a scuola, purché non si sapesse? Allora, cos'era stato peggio?
In fondo, anche il loro padre soffriva, a modo suo. Forse tanta rabbia non nasceva solo dall'orgoglio ferito, o dall'imbarazzo di fronte alla gente, forse era la risposta a un dolore più profondo, alla consapevolezza di aver sbagliato qualcosa con il ragazzo. Chissà.
Ma ognuno deve affrontare i propri fantasmi, si disse Maria Stella. Aveva ancora l'istantanea scattatale per scherno dalla Tiraboschi sullo scalone della scuola, l'aveva conservata in fondo alla cartella. Accarezzò l'idea di mandarla davvero a suo fratello, anche se nella foto lei guardava altrove, svagata, e sembrava un po' tonta. Ma è difficile avere un'aria intelligente quando si viene fotografati senza preavviso.
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Adagio ma non tanto [completa]
General FictionLucia Coletti, diciotto anni, è una studentessa modello, una talentuosa musicista dilettante, una responsabile donna di casa che accudisce suo padre e lo aiuta anche in negozio. Così, con un'estenuante ricerca di perfezione, la ragazza ha rimesso or...