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Correva per un prato con fiori di tutti i colori, dagli steli altissimi che le arrivavano a metà coscia. Si fermò, guardò in alto, alle nuvole bianchissime e fioccose che correvano via a una velocità impressionante, e improvvisamente si trovò in mezzo a una nebbia che poteva essere una di quelle nuvole. Camminò più lentamente, i piedi le sprofondavano fino alle caviglie nella morbidezza candida della nube. Sentiva uno sguardo fisso su di lei, ma non vedeva nulla, ed era sempre più stanca, come se dovesse avanzare camminando sulla gommapiuma. Finalmente, proprio quando credeva di non farcela più, scorse un'ombra, scura e irriconoscibile, nella foschia: l'unica cosa che Lucia poté vedere chiaramente furono gli occhi, un po' a mandorla e di un marrone scurissimo, quasi nero.

Lucia tornò istantaneamente alla coscienza, accese la luce sul comodino e rimase a osservare gli oggetti della sua stanza.

Cosa potesse significare quel sogno, così simile a quello della notte precedente, e di quella prima ancora, proprio non riusciva a capirlo. Di sicuro, l'ultimo incontro con La Bella l'aveva lasciata turbata più di quanto non le fosse sembrato lì per lì, e non solo per ciò che aveva scoperto sul conto della sua nemica, ma per tutto quello che l'altra le aveva detto.

Lucia scese dal letto, spalancò la finestra socchiusa e, rimboccatasi la camicia da notte, si sedette sul davanzale. La calda notte estiva era rischiarata da una grande luna piena, luminosissima, e, pochi metri sotto la finestra, la strada era deserta.

Forse era vero. Forse con la sua sollecitudine Lucia aveva realmente umiliato Michela a scuola, davanti a tutte le compagne, a mostrare che aveva bisogno di essere difesa, e oltretutto dalla sorella più piccola. Ma era stato sempre così difficile capire cosa provasse Michela, cosa desiderasse, se fosse infastidita o compiaciuta dell'atteggiamento degli altri verso di lei. Era una sfinge, un'enigma. Non ne parlava mai, così come glissava su tutti i suoi problemi, come fossero fastidi di poco conto. E dire che ne aveva sempre avuti tanti. Oltre alle stramberie del suo carattere, che le rendevano difficile fare amicizia coi coetanei, Michela doveva fare i conti con una scarsa capacità di concentrazione e memorizzazione, e un'inguaribile goffaggine.

Lucia ricordò improvvisamente come sua sorella non riuscisse a scrivere a lungo e fosse terribilmente maldestra nei lavoretti manuali che talvolta si facevano a scuola. Infatti a casa sua madre non le chiedeva mai di maneggiare oggetti fragili come i piatti...

Suoni sempre il flauto? le aveva chiesto, senza ottenere risposta. Anche suonare era per lei piuttosto difficile. Lucia aveva dato per scontato che Michela avesse abbandonato la musica per le stesse ragioni per cui aveva lasciato tutto il resto (vale a dire, egoismo e irresponsabilità), ma forse semplicemente non ci riusciva più.

Si rese conto di essere rimasta per lunghi minuti a fissare la luna. Non le capitava spesso di svegliarsi in quel modo senza riuscire a riaddormentarsi, senza più provare neppure una briciola di sonno. Sentirsi così vigile la allarmava, quasi fosse presagio di sventura. Era successo solo un'altra volta.

C'era stata la luna piena anche quella notte? Non lo sapeva. Non si era fermata a guardare fuori della finestra, in preda all'agitazione si era letteralmente catapultata nel salotto, dove le luci erano accese e suo padre stava in piedi davanti al telefono e lo fissava come se avesse davanti una strana bestia minacciosa. Lucia si era allora domandata se non avesse effettivamente udito squillare il telefono, se non fosse stato quello a disturbarla e l'incubo incomprensibile e angoscioso che l'aveva terrorizzata non si fosse generato come diretta conseguenza di quel trillo invadente che nel cuore della notte non poteva portare buone notizie alla famiglia di un'ammalata.

Avevano tenuto sua madre a casa finché era stato possibile, come lei stessa desiderava, ma quel pomeriggio aveva avuto un grave peggioramento, un'emorraggia interna o qualcosa del genere, ed erano stati costretti a ricoverarla. Erano rimasti tutt'e due all'ospedale fino a tarda sera, mentre Anna Coletti veniva operata d'urgenza. Alla fine Lucia era stata mandata a casa. Suo padre si era trattenuto di più, ma non gli avevano comunque permesso di vedere la moglie.

«Papà!» aveva chiamato, in un singhiozzo.

Lui si era voltato molto lentamente, l'aveva studiata per lunghi attimi con lo stesso sguardo incredulo che poco prima aveva riservato all'apparecchio telefonico.

«Lucia, torna a dormire» aveva sussurrato.

Lei gli si era avvicinata.

«Cosa è successo?» aveva insistito, mormorando con voce rotta ormai dal pianto imminente. «Perché sei ancora alzato?»

Per un momento era sembrato che suo padre volesse abbracciarla. Ma non l'aveva fatto. Le aveva invece posato una mano sulla spalla, scuotendo la testa.

«Sono tornato ora. Non c'è... da preoccuparsi. Domani ne parliamo.»

Era rabbrividito all'improvviso.»

«Fa freddo, non ti pare? Dev'esserci una finestra aperta, ora controllo. Torna a letto, Lucia.»

Senza attendere risposta, senza badare a che lei gli obbedisse o meno, se n'era andato dalla stanza quasi di corsa, spegnendo le luci dietro di sé. E Lucia, anziché tornare in camera sua, si era lasciata cadere su una poltrona. La lama di luce proveniente dalla cucina illuminava l'orologio sulla mensola, che segnava le tre e dieci. Se c'era un uomo incapace di mentire in modo convincente, persino nelle piccolezze, era suo padre. Un'altra cosa che non gli era riuscita quella notte era capire che a Lucia non avrebbe fatto male vederlo piangere, che al contrario sarebbe stato bene per entrambi abbracciarsi e sfogarsi insieme, invece di tacere e restare lui impalato in cucina e lei seduta al buio a stringere un cuscino.

Sarebbe stato diverso, si chiese, se Michela fosse stata lì con loro? Certo! Invece dov'era andata? Come aveva trascorso quella notte? Era proprio bello arrivare tranquilli e dire "Ricominciamo, dimentichiamo il passato!" quando il peggio di quel passato l'avevano vissuto gli altri!

Ma non aveva senso nemmeno continuare a tormentarsi, su quel passato, giusto?

Allora cosa doveva fare?

Lucia si alzò dallo scomodo davanzale e andò alla scrivania, dove prese tra le mani la foto nel portaritratti ovale, quello dalla cornice di legno chiaro che lei teneva sempre bella lucida. Nella foto sua madre era seduta sulla spiaggia, d'inverno, sorridente e serena. Lucia provò un vago rimorso per aver gettato via tutte le immagini di Michela. Non le era rimasto proprio nulla di lei. Chissà se invece sua sorella si era portata via qualche ricordo di tutti loro, si domandò, del tutto involontariamente. Non appena si rese conto di quello che stava pensando, rimproverò se stessa con inusuale severità.

Rimise il portaritratti al suo posto. Il leggio grande adesso era vuoto, ma stavolta non le sembrò più solo e triste, bensì in attesa, pronto per qualcosa di nuovo.

Sua madre, Michela, La Bella: tre persone molto diverse, ma importanti, che avevano lasciato un segno indelebile nella sua esistenza.

Tutt'e tre da dimenticare.

Adagio ma non tanto [completa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora