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La vecchia casa stava su una collina molto vicina a quella su cui sorgeva la villa di Alida, alla periferia della città. Tutte le finestre erano chiuse, il giardino un po' in disordine, poiché gli attuali proprietari vivevano lontano e si recavano lì soltanto saltuariamente.

Michela saliva lungo la strada polverosa, le mani in tasca, prendendo a calci i ciottoli. Il mare, visto da lassù, aveva un colore blu intenso, estivo, ma il cielo era plumbeo all'orizzonte.

Finalmente Michela giunse in cima alla strada, che terminava con una piazzola, si avvicinò al cancello della casa e guardò dentro: tutto deserto, silenzioso, squallido. Perché mai si era spinta fin lì? Perché adesso stava spiando in casa d'altri?

Non avrebbe saputo dire che cosa ci faceva in cima a quella collina, perché si era arrampicata con tanta fatica. Diede un'altra occhiata alla casa. Quante corse, quante risate, quanti giochi in quel giardino! Sembrava non fosse cambiato poi molto, benché la proprietà fosse stata venduta ormai otto anni prima per acquistare il negozio e il nuovo appartamento, quando Michela aveva solo dodici anni.

Voltò le spalle al cancello e si diresse dalla parte opposta dello spiazzo, verso il muretto. Vi si appoggiò. Da lì, con un solo sguardo, si poteva abbracciare l'intera città. Michela respirò profondamente, sentendo riaffiorare antichi sentimenti che risalivano all'infanzia...

In realtà, molte sensazioni di quei giorni erano assai offuscate e deludenti, anche le memorie dei momenti più cari, che avrebbero dovuto conservarsi vivide e colorite.

"Sai cosa devi dire alla maestra, vero, Michela?"

"Sì, mamma: alle dieci devo prendere la medicina."

"Lei lo sa già, ma tu diglielo lo stesso. E ricordati anche che in palestra non devi salire sulla trave, né sul quadro svedese."

"Il maestro di ginnastica non me lo fa fare."

"Ma tu non ci salire nemmeno da sola, non importa se gli altri ti prendono in giro."

"No, mamma, non mi importa."

"Brava. Non devi vergognarti di niente. E non è colpa tua se ogni tanto fai cadere le cose. Per qualunque problema, chiedi alla maestra. E Lucia e nell'aula accanto."

Prima di rendersene conto, Michela aveva dato un colpo a mano aperta sulla sommità del muretto, così forte che ora le formicolava il palmo e tutte le dita.

Figuriamoci se non c'era sempre Lucia nella stanza di là. Quella non aspettava altro che di rendersi utile, mostrare quanto era brava.

In effetti era brava davvero. Affidabile, intelligente. Non una delusione e un problema continuo, come invece era stata lei per Anna Coletti. Aveva ragione sua sorella a sentirsi fiera di se stessa, no? Michela non aveva mai voluto competere con lei in questo campo; aveva sperato invece che prima o poi ci sarebbero state altre occasioni per mettere in luce le sue diverse abilità.

Ma ormai non c'era più tempo.

Aveva giurato a sua madre di non dire mai nulla a Lucia, niente di niente. Aveva sempre, per tutta la sua vita, taciuto su tutta la linea, sull'adozione, sulla sua salute, su quell'ultima faccenda. Ma adesso... Adesso non era più sicura che fosse stato bene agire così. Perché Lucia non poteva capire, se non sapeva tutto, e, finché non avesse capito, nemmeno lei avrebbe avuto pace.

Michela socchiuse gli occhi, sempre fissando il paesaggio. Poteva riconoscere la mole del S. Nicoletta, Ponte Fermo, la chiesa di S. Chiara, i giardini pubblici e persino Via Pergolesi. Doveva andare, il più presto possibile, prima che fosse troppo tardi.

Doveva andare a infrangere la promessa.

Adagio ma non tanto [completa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora