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«Che cosa vuoi?»

«Tu sei fissata. Pensi veramente che io ti dia la caccia in giro per la città perché voglio qualcosa?»

«Ci hai seguite, vero?»

«Sì, vi ho seguite, e me ne stavo in disparte ad aspettare il momento più opportuno per parlarti, come vedi. Non avevo intenzione di disturbarti.»

«Se non la smetti subito di molestarmi, mi metto a gridare, anche qui, in mezzo alla strada!»

Michela diede un'occhiata ad Alida, ferma qualche metro più indietro, che la guardava in modo poco amichevole.

«Non c'è bisogno di agitarsi tanto. Vediamo di discutere civilmente, almeno una volta.»

«Ti decidi a spiegarmi perché sei tornata?»

«Per ritrovare la sorella che ho perduto.»

«Hai detto bene. L'hai perduta. Per sempre. L'hai gettata via, e non puoi riaverla indietro.»

«No, non è così. Deve importarti ancora qualcosa di me, altrimenti non ti arrabbieresti tanto nel vedermi. E io non rimarrei qui a farmi insultare se non m'importasse nulla di te. Come si possono cancellare tredici anni vissuti insieme?»

«Lo chiedo a te.»

«Io ero giunta a quell'età in cui si vuole a tutti i costi provare l'ebbrezza dell'indipendenza, della completa autonomia. Dovevo provarci, Lucia! Ora, però tutto quello che desidero è la tranquillità di una famiglia. Vorrei che potesse essere tutto come prima.»

Era un'impressione, o Michela faticava ad articolare le parole? Il suo sguardo era ancora più sfuggente del solito.

«Dimentichi un particolare: mentre tu non c'eri la famiglia è scomparsa. Ti rendi conto anche tu che non può essere come prima?»

«Lo so. Il tempo scorre.»

E l'entropia dell'universo aumenta, pensò sarcasticamente Lucia. Però, mentre tutti capiscono che i frammenti di un oggetto frantumato a terra non possono saltar su di nuovo sul tavolo e ricomporsi da soli, ci si aspetta che le persone invece cancellino dall'anima le conseguenze del male che hanno subito e ritornino le stesse di prima, allegre e pimpanti.

«Nessuno lo sa meglio di me» mormorava Michela. «Ma se tu volessi...»

«Non voglio. Mettiti il cuore in pace.»

Lucia voltò le spalle all'altra e riprese a camminare. Non rispose quando l'altra la chiamò, più volte.

«Lucia» disse infine Michela. «Hai perdonato la tua peggiore nemica e non vuoi nemmeno ascoltare tua sorella?»

Ma come lo sapeva? Ah, sicuro, aveva visto La Bella uscire dal negozio... tutta intera.

«È molto diverso: tu sei ancora pericolosa. E non te ne vai per sempre, purtroppo.»

Michela ondeggiava; fece per aggrapparsi al cancello, ma al primo tentativo mancò la sbarra di parecchi centimetri. Lucia osservò quei gesti scoordinati, turbata. La sua sorellastra era forse ubriaca? O drogata? Non ci sarebbe stato da stupirsi.

Sospirò, rassegnata. Alida non le stava dando nessun aiuto, anzi, si era persino fermata più indietro, come a voler lasciare alle due sorelle un po' di privacy.

«Che hai fatto in questi cinque anni?» chiese, ostile. «Hai trovato questa autonomia che desideravi tanto? Te la sei goduta?»

«Sono stata parecchio in giro.»

«Interessante. Io, invece, ho dovuto assistere una persona che stava morendo e, dopo, mandare avanti casa e negozio al posto suo.»

«Capisco che sia stata dura...»

«Davvero?»

«Ma perché vuoi dare a me la colpa di questo?»

Lucia aveva voglia di piangere, ma si trattenne. Non davanti a lei, no.

«Ascolta, ci sono cose che devi sapere» insisteva Michela.

«Non raccontare storie! Te ne sei andata perché eri un'egoista e un'irresponsabile, e lo sei tuttora! Non hai la minima considerazione delle altre persone!»

«Ascoltami, per favore! Io ero partita per conoscere com'era fatto il mondo, come si viveva davvero, prima che... Tu non hai mai voluto vedere come stavano le cose in casa, Lucia, non hai mai fatto caso al modo in cui tua madre mi trattava...»

«Cosa vorresti dire? Lei ti amato tanto quanto me!»

Michela scosse forte la testa, con un gesto violento, selvaggio, in netto contrasto con le sue maniere solitamente distaccate.

«Era diverso per me!»

«Solo perché eri adottata? Pensi che lei...»

«No! Lei ha capito! Perché non capisci anche tu?»

Anche lei stava alzando la voce, ora. Ma era un grido spezzato, incerto.

«È stata lei a dirmelo» farfugliava, «a darmi il nome...»

Le lacrime stavano vincendo la battaglia con Lucia. Lei faceva di tutto per nasconderle, mordendosi le labbra, passandosi le mani velocemente sugli occhi...Ma, al diavolo!

«Ci sono cose che non potrò mai perdonarti! Te la ricordi, quella mattina... La mamma che cercava di scrollarmi, mi diceva: "Non fare quella faccia, saluta tua sorella e augurale buona fortuna!" E io mi sentivo come su un altro pianeta... Cosa mi restava da fare? Come potevo parlarti? Attendere che un treno se ne vada, che una persona importante per te sparisca dalla tua vita non è precisamente come fare conversazione in un salotto! Avrei dovuto mettermi a chiacchierare con te come se nulla fosse, e continuare a sorridere vedendo che ci stavi abbandonando, che ci stavi buttando via come un oggetto usato?»

«Tu lo sapevi, che lei fosse malata?»

«Cosa c'entra questo?»

«È importante, invece! Se lei fosse viva...»

Michela ansimava quasi le mancasse l'aria. Lucia esitò, fissandola. Ma quella non continuava.

«Se fosse viva, che cosa?» insistette lei, con freddezza.

«Sarebbe diverso...»

«Non renderebbe meno grave quello che hai fatto, se è questo che intendi.»

Di nuovo Michela fece energicamente cenno di no, come se stesse parlando di tutt'altro e non riuscisse in alcun modo a farsi comprendere.

«Potremmo sederci tutt'e tre intorno a un tavolo e chiarire. Ma lei non c'è più.»

Michela spalancò gli occhi, il viso magro tutto teso.

«Lei sapeva che non ci sarebbe stata» proruppe, quasi piangendo, «e ha lasciato tutto così, non si è preoccupata di quello che sarebbe stato di noi!»

«Non capisco di cosa stai farneticando! Ma non mi piace affatto il modo che hai di parlare di mia madre, come se lei avesse fatto un torno a te

«Ma è così!» proruppe Michela, la voce scricchiolante, sebbene i suoi occhi rimanessero asciutti. «Lo ha fatto a me, lo ha fatto a te, lo ha fatto a nostro padre: ci ha imprigionati in una rete di segreti e bugie, ci ha strappato stupide promesse e alla fine ci ha piantate in asso, l'una contro l'altra, e tu ancora non vuoi capirlo!»

«Non ti permettere... Non ti permettere!»

Alida dovette proprio intervenire. Lo fece appena in tempo, un attimo prima che Lucia saltasse addosso alla sorellastra sferrando pugni. E ancora per qualche momento Lucia scalciò e lottò contro la stretta salda dell'amica, che intanto urlava esortazioni a mantenere la calma. In mezzo a tutto questo bailamme, Michela non aveva mosso un muscolo. Rimaneva appoggiata al cancello, aggrappata con una mano alle sbarre, in una posa che si sarebbe potuta credere rilassata se la sua espressione non avesse invece parlato di una greve, ineluttabile stanchezza.

«È finita, Michela» la ammonì Lucia, in un minaccioso sussurro. «Se ti rivedo nel mio quartiere, chiamo la polizia.»

Adagio ma non tanto [completa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora