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Né Lucia né suo padre amavano mangiare molto, né d'altronde sapevano cucinare piatti elaborati. Per il pranzo di Pasqua si erano concessi degli antipasti -affettati, sottaceti e simili- avevano comprato delle paste e papà aveva preparato delle tagliatelle. Impastare gli piaceva e gli riusciva bene. Il sugo non era altrettanto saporito, ma del resto nemmeno la carne era più quella di una volta.

Ora, dopo il caffè, era venuto il momento dell'uovo di cioccolato, una tradizione sempre viva. Lucia lo aprì delicatamente col coltello, facendo leva pian piano e riuscendo a separare le due metà quasi intatte. All'interno un sacchettino di plastica azzurra solleticò la sua curiosità. Lo strappò piena di entusiasmo... ancora le piacevano queste sorpresine da bambini!

Un portachiavi, grazioso, di legno dipinto, a forma di farfalla. Lucia lo prese tra le dita e lo tenne per mostrarlo bene al padre, ridendo.

«Mi serviva proprio! Stavo per comprarmene uno l'altro giorno, meno male che ho aspettato!»

Ma lui la guardava di sottecchi con un sorrisino misterioso, come se avesse in serbo qualcos'altro.

«C'è anche questa sorpresa...» mormorò infatti, facendo saltar fuori una scatoletta da sotto l'incarto dell'uovo.

Lucia posò il pezzo di cioccolato appena addentato per prenderla, esterrefatta. Non c'era mai stata l'abitudine in casa di farsi regali a Pasqua e lei non aveva nulla per suo padre.

«Ma papà... perché?»

Lui non rispose; le faceva cenni incoraggianti per incoraggiarla ad aprire il pacchettino.

Lucia scartò il regalo con attenzione. Senza dubbio era un cofanetto da gioielli. Cosa voleva significare? Le aveva già regalato quegli orecchini appena dieci giorni prima...

«Ormai sei grande, sei una signorina» sussurrava lui, mentre Lucia contemplava confusa e piacevolmente stupita la sottile, elegante catenina d'argento adorna di minuscoli brillantini e una piccola perla di fiume. «Ti capiterà qualche occasione in cui vorrai essere particolarmente carina.»

Questa frase penetrò a fondo dentro Lucia. Disintegrò la confortante nuvola di commozione e riconoscenza dentro cui la ragazza si stava crogiolando e la scottò come un ago arroventato. Levò su suo padre un paio di occhi umidi, mentre si portava una mano al collo, cercando il contatto con la collana che sempre portava.

«Grazie, papà, è davvero bella...» rispose, sforzandosi di sorridere. «Non meritavo certo nessun regalo, con quello che ho combinato, la delusione che ti ho dato.»

Abbassava il capo, piena di vergogna. E suo padre faceva cenno di no, si stringeva nelle spalle.

«Lucia, tu non mi hai mai dato delusioni in tutta la tua vita. Hai solo commesso un errore di valutazione, ti sei lasciata trascinare... ma lo hai fatto credendo di aiutare una persona. Può capitare a tutti di sbagliare.»

Come poteva far finta di niente? Anzi, negare che quel disastro fosse un problema?

Sì, era tipico di lui. Lucia non ricordava di averlo mai visto davvero arrabbiato, non tanto da alzare la voce o mostrare la propria irritazione con qualche gesto brusco. Nemmeno quando lei era piccola, quando talvolta avrebbe meritato qualche punizione. Il signor Coletti aveva sempre trattato sua figlia come se avesse paura di... romperla, sì, come una bambola di porcellana. Di farle male, anche solo con una parola sbagliata.

«Papà, forse mi manderanno via dal S. Nicoletta» gli disse, e fu molto difficile pronunciare quelle parole. Ma necessario. Sembrava che lui non avesse afferrato appieno la situazione.

Suo padre annuì.

«Peggio per loro, non pensi?»

Lucia lo fissò a bocca aperta.

«Può darsi, ma... ma io? Cosa farò?»

«C'è un altro liceo scientifico in città, Lucia, è non è una cattiva scuola. Lo frequentano quasi mille ragazzi.»

Non le venne in mente alcuna risposta, tanto era lo sconcerto. Il silenzio si prolungò in modo decisamente sgradevole e suo padre abbassò lo sguardo.

«Lo so che tua madre ci teneva tanto che andassi in quella scuola, che lei aveva amato. Ma è passato del tempo... Temo che il S. Nicoletta sia cambiato da come lei se lo ricordava.»

Con la scatola della collana ancora in mano, Lucia si alzò lentamente. Non aveva più voglia di cioccolato. Fece per prendere le tazzine del caffè e i cucchiaini usati -le ultime stoviglie rimaste sul tavolo- per portarli nel lavandino, ma suo padre la bloccò.

«Deve essere molto cambiato, se fanno questo a un'allieva come te!» sbottò, a voce più alta.

Non riuscì a sostenere l'occhiata di sua figlia. Le tolse però le tazzine di mano.

«Lascia, penso io ai piatti.»

«Allora io vado un po' in camera mia.»

«Va bene.»

***

Mentre la ragazza lasciava la cucina, lui accese la televisione. Non guardava lo schermo, non ascoltava le chiacchiere confuse che uscivano dall'apparecchio mentre raccoglieva i piatti sporchi e li impilava nel lavandino. Qualunque cosa facesse con Lucia, sembrava sempre quella sbagliata, pensava.

***

Lucia si mise pesantemente a sedere sul letto, quasi a peso morto. Le tremavano le mani mentre riapriva la scatola e osservava l'inatteso dono di suo padre.

Era bella, sì, le sarebbe stata molto bene...

Ma lei indossava già una collana. Non la toglieva mai, se non per fare la doccia o quando andava a dormire. Solo perché scompariva quasi sempre sotto la maglietta forse suo padre se n'era scordato?

Prese il ciondolo tra le dita, lo rigirò. Una piccola mezzaluna d'oro. Michela ne aveva ricevuta una uguale. L'ultimo regalo di Natale di Anna Coletti alle sue figlie. O meglio, corresse mentalmente Lucia, a sua figlia e a quella che credeva tale. Almeno una delle due doveva continuare a portarlo, no? Se lo rimise gelosamente in seno, premendovi sopra la camicia.

Musica... aveva bisogno di sentire musica. Aprì il mobiletto dello stereo, prese a passare in rassegna i dischi.

"Ti capiterà qualche occasione in cui vorrai essere particolarmente carina."

Forse che non poteva esserlo con la collana della mamma?

E il S. Nicoletta! Solo un liceo scientifico, che poteva essere sostituito a piacimento, in qualunque occasione? Un posto valeva l'altro? Non ricordava più, suo padre, com'era stata fiera Lucia il giorno in cui aveva indossato per la prima volta l'uniforme, con quanta emozione e gioia aveva affrontato l'ingresso in quel prestigioso istituto, orgogliosa di poter far parte di quel mondo?

Ah, sicuro, Lucia poteva anche lasciar perdere la scuola, buttar via la collana... come se suo padre si fosse sbarazzato della fede!

Perché trattava i dischi con tanta malagrazia? Li stava quasi sbattendo l'uno contro l'altro. Le sue dita avevano già trovato quello che volevano. Lo estrasse dalla copertina e con cautela lo mise sul piatto, pulendolo accuratamente prima di posarvi la puntina.

Johan Sebastian Bach, Sonata in Mi minore per flauto traverso e basso continuo, BWV 1034.

No, si costrinse a pensare, ovviamente non era la stessa cosa. Suo padre avrebbe potuto benissimo togliersi la fede. Un vedovo aveva tutto il diritto di rifarsi una vita. Ma lei... lei era la figlia, lo sarebbe stata sempre, e non poteva cancellare né sostituire in alcun modo il ricordo di sua madre...

Stava impantanandosi in una corrente di pensieri che non l'avrebbe portata da nessuna parte. Si premette le dita sulle tempie, chiuse gli occhi. La musica l'avrebbe aiutata, lo faceva sempre...

"Lucia... Lucia, era davvero un flauto quello che ho sentito? Eri tu? O stavo sognando?"

"Sì, mamma, ero io. Scusa, non pensavo ti desse fastidio. Smetto subito!"

"No, cara, no! Continua, ti prego, è così bella. Mi fa piacere... mi fa compagnia. Non devi smettere."

Adesso che era sola in camera Lucia non riusciva più a trattenere il pianto. Il leggio di legno nell'angolo pareva guardarla accusatore, vuoto e orfano proprio come lei.


Adagio ma non tanto [completa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora