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Al sentirsi invitare di nuovo a suonare il pomeriggio con Lucia, Susanna si era convinta davvero di essere stata perdonata. Adesso, alle prese con quel pezzo che provavano da venti minuti senza che lei vi ricavasse un senso, non ne era più così sicura.

Avevano iniziato normalmente, ripescando una sonata già vista di un francese del settecento di cui Susanna non ricordava assolutamente il nome, un pezzo scorrevole, semplice ma carino, che dava soddisfazione. Poi però Lucia aveva proposto di cambiare genere, lei aveva pensato perché no, ed ecco...

Una complicata e crudele punizione, ecco di cosa si trattava.

«Tu dici che questa... Bernardina... è la più facile tra le Canzoni di Frescobaldi?» domandava con cautela.

«Facile, non proprio» concedeva Lucia. «Diciamo che mi sembrava la più immediata per chi non è abituato al genere, ha un tema particolarmente orecchiabile. Ma forse pretendo troppo da te, me ne rendo conto.»

Susanna esibiva un sorriso imbarazzato.

«Oh, sembra carina, di sicuro ha un bell'inizio, un tema simpatico. Non è nemmeno difficile come note da suonare, però...»

Fece un gesto vago con la mano, indicando prima la partitura davanti a sé, poi la propria chitarra, poi l'aria, l'armadio, il soffitto.

«Però... al primo cambio di tempo non capisco più un tubo!»

Lucia rise. Era passato davvero così tanto tempo dalle sue prime esperienze con la musica seicentesca? Purtroppo non ricordava come il maestro, a suo tempo, fosse riuscito a spiegargliela, a farle entrare in testa il meccanismo.

«Vedi» iniziò, cercando le parole più semplici per esprimere ciò che voleva dire. «È molto più facile di quanto non sembri. È molto più facile da fare che da spiegare. In definitiva, puoi affrontare i cambi di tempo in due modi, entrambi hanno i loro sostenitori e un ragionamento valido dietro, quindi scegliamo quello che ti è più facile. Puoi immaginare che non si tratti di un vero cambio di tempo, ma solo di ritmo. Continui imperterrita a contare una semibreve come hai deciso, sia che nelle battute ce ne siano due o tre, si sposteranno gli accenti e chiuso. Oppure... e questo è il sistema a parer mio più sensato e per me più immediato, ma la mia opinione conta poco... fai in modo che il tactus rimanga lo stesso, adattando la durata delle note per farla rientrare nell'accento.»

Accidenti. Susanna sembrava una statua di cera.

Lucia si passò una mano sugli occhi.

«Sai cos'è il tactus

«Temo di essermi persa dopo "puoi immaginare che"...»

«Il tactus è l'accento fondamentale, la durata totale della battuta. All'inizio contiamo in due, giusto? Bene, quando si passa al ternario noi terremo comunque costante la durata della battuta, e nello stesso tempo in cui stavano due accenti dovranno starcene tre. Mi sono spiegata? Come quando fai una terzina.»

Cerco di farglielo sentire schioccando le dita. Un- due...Un-due-tre...

Lentamente, Susanna annuì.

«Con questo sistema, i movimenti ternari risultano più veloci dei binari, il che è giusto, e, soprattutto, una volta che si torna in due ci si ritrova senza troppa fatica allo stesso tempo di prima, e anche questo è giusto» aggiunse ancora Lucia, fermandosi poi per attendere un riscontro dall'altra.

Susanna, un'espressione assai decisa sul viso, provò un paio di volte il passaggio incriminato. Infine un bel sorriso la illuminò tutta.

«Sì! Penso di aver capito!»

«Bene! Invece i momenti marcati con Adagio o diciture del genere hanno un tempo molto libero, come hai già intuito da sola. Ma anche lì, hai visto: la voce di canto deve eseguire dei virtuosismi, quindi sarà lei a decidere a che velocità si va. Il basso ha solo accordi o note lunghe o pause, e ci si ascolta, ci si guarda, ci si aspetta.»

«Fantastico! Ce la posso fare!»

«E alla fine, dove ci sono i piano e i forte... Io non posso fare praticamente niente del genere, posso solo usare il trucco di staccare un po' di più le note per un effetto di piano. Tu, invece, potresti mettere tante note nell'accordo quando c'è il forte, e la sola nota del basso per i piano

«Capito tutto. Non garantisco di farlo, ma l'ho capito.»

Lucia si rimise in posizione sulla sedia, aspirò leggermente dal flauto per rimuovere la condensa e sorrise alla compagna.

«Allora andiamo?»

«Andiamo!»

Provarono a farla tutta di seguito, e quasi ci riuscirono. Arrancarono, si perdettero e ritrovarono in un paio di punti, si fermarono per permettere a Susanna di spostare un foglio che copriva parte del successivo, ma giunsero comunque alla fine, con l'entusiasta chitarrista che rideva a più non posso.

«Che finale buffo! Non ci posso credere!» si sbellicava, in maniera assolutamente contagiosa anche per Lucia, che non aveva mai trovato motivi di tanta ilarità nella musica.

Ma intanto erano già quasi le sei, era tempo che Susanna la lasciasse, ora che doveva viaggiare in autobus.

«Ma quanti flauti hai?» chiedeva, mentre raccattava le proprie cose. Fino a quel pomeriggio aveva visto Lucia usare un solo strumento, quel flauto contralto di legno scuro; per Frescobaldi, però, era saltato fuori un flautino piccolo, simile a quello che i ragazzini delle medie suonavano a scuola, salvo che per il fatto che era anch'esso dello stesso legno quasi nero e possedeva una voce melodiosa anziché stridente come quegli zufoli di plastica.

«Belli, intendi? Be', oltre a questi due, che sono soprano e contralto barocchi, ho quell'altro soprano lì, nella vetrinetta.»

Susanna studiò per un attimo il terzo flauto, appoggiato a una scatola dallo strano profilo, evidentemente pensata per contenerlo. Poteva notare che era di forma diversa dall'altro, era costruito con un legno differente e sembrava più robusto e tozzo, ma a parte questo...

«Che differenza c'è?» si rassegnò a chiedere.

«Quello che ho suonato adesso è più tardo. In effetti sarebbe stato quello lì il flauto giusto per Frescobaldi, abbiamo fatto un po' un'azione ardita a suonarlo con un soprano barocco a 415.»

«Be', perché non abbiamo usato questo?»

«Con tutto il traffico che ti ho fatto fare per portare la chitarra a 415?! A parte questi, ho poi un terzetto di flauti in plastica: soprano, contralto e tenore. Li ho usati molto per studiare.»

Susanna esitava affascinata davanti agli scaffali pieni di libri di musica, e agli astucci e valigette che contenevano i preziosi strumenti musicali. Le sembrava tutto molto più poetico e artistico della sua stupida chitarra comprata in un negozio che era poco più di un supermercato della musica, uno strumento giocattolo, com'erano stati per l'appunto i flauti di plastica con cui Lucia aveva studiato i suoi primi esercizi.

Accanto alla libreria munita di vetrinette si ergeva il massiccio leggio che la ragazzina aveva già notato le altre volte. Era lucido, come se Lucia lo spolverasse e lustrasse ogni giorno.

«È davvero notevole questo leggio!»

Le parve allora di notare una breve esitazione da parte dell'altra. Comprese di essersi trattenuta abbastanza. Chiuse la custodia della chitarra e se la mise a tracolla.

«Me lo ha costruito mio padre» rispose infine Lucia quando l'altra era quasi sulla porta. «Quando ho iniziato a studiare musica. Una volta gli piaceva molto lavorare il legno.»

«E ha smesso?

Lucia si strinse nelle spalle.

«Dove abitavamo prima si era attrezzato in cantina, ma qui non c'è più posto. Fa ancora qualcosa nel retro del negozio, ma perlopiù ripara i nostri mobili, fa lavoretti utili per la casa, cose così. Ha perso l'entusiasmo, la voglia di creare cose diverse solo per il piacere di farlo.»

Susanna non trovò niente da dire.

«Peccato» mormorò solamente, a bassa voce mentre scendeva le scale, la cartellina col disegno della sirena ben stretta al petto.

Adagio ma non tanto [completa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora