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Sabato sera arrivò in un lampo. Brian era ancora indeciso su cosa mettersi per non sembrare in cerca di fidanzato, però era davvero difficile scegliere, dal momento che ormai anche i single per andare in discoteca si vestivano come per andare al mercato, quindi non venire abbordati sarebbe stata essenzialmente una questione di fortuna. Sul letto matrimoniale che condivideva con Corrado, erano sparsi un sacco di vestiti: pantaloni neri, giacche, camicie di seta, di cotone... tutta roba da fighetti, come avrebbe detto sua madre.

Provò una camicia di seta con un paio di pantaloni neri.

- Nah – disse, sbuffando – sembro un apprendista agente immobiliare. –

Buttati quelli, provò a mettersi una maglietta bianca abbinata a una camicia a quadrettoni, da portare rigorosamente aperta.

- Sarebbe perfetta per una serata a tema ursina, però non è proprio il caso. -

Poi fu la volta di una maglia lunga da pallacanestro.

- Cazzo! Ma davvero ho comprato io questa roba?? – esclamò, mentre se la toglieva e rimaneva con il bianco torace scoperto.

Mentre cercava qualcos'altro da mettersi, si soffermò a contemplare la sua figura riflessa nello specchio appeso al muro: dietro di lui c'era l'armadio con le ante laterali a specchio, che riflettevano l'immagine di sé stesso, visto di spalle.

Una pelle bianca come la sua era come la tela di un pittore per Claudia, la sua tatuatrice di fiducia, che aveva firmato le tre stelline sul bacino ed il motivo tribale alla base della schiena, oltre alla chiave di violino che aveva sul braccio destro.

C'era però un'altra cosa disegnata sul suo corpo... una cosa che nessun tatuatore gli aveva fatto, che lo riportò con la mente a un ricordo felice della sua vita...

Doveva essere primavera o estate. Lui era più giovane, ed anche Corrado lo era. In quel momento della loro vita erano nudi, distesi su un fianco.

...ventisette... ventotto... ventinove... trenta... trentuno... trentadue... trentatré...

Ma che cosa stai facendo? Aveva domandato Brian, cercando di guardare dietro di sé il suo ragazzo con la coda dell'occhio.

Ti sto contando le efelidi sulla schiena.

Brian aveva fatto una risatina. Smettila. Mi fai addormentare, se continui a contare così sottovoce. E poi non mi piace che qualcuno veda quanto sono brutto senza vestiti.

Io resterei a guardarti per ore, aveva detto Corrado. Perché sei tu, nel bene o nel male. E tu sei unico. Unico e irripetibile, nonché incredibilmente bello.

A quelle parole Brian ebbe un moto di tenerezza tipico degli adolescenti: si accoccolò al suo ragazzo e non disse più una parola, mentre Corrado gli accarezzava i capelli lunghi e rossicci, infondendogli una sensazione di pace mai provata prima di allora...

Il mio piccolo angelo birichino, mormorò Corrado, mentre si riaddormentavano insieme.

Poi la vista tornò al presente, riportandolo alla sua immagine riflessa nello specchio. I capelli rossicci e lunghi erano ora diventati biondi ed erano più corti, sparati da tutte le parti verso il basso; il corpo era più proporzionato e leggermente più muscoloso; lui era alle soglie del suo ventottesimo compleanno...

...ma le sue efelidi erano ancora tutte là, sulla sua schiena bianca come il latte.

Sospirò, dandosi del cretino perché in fondo era un maledetto tenerone sentimentale, quando finalmente trovò qualcosa da mettersi.

Pancakes a colazioneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora