9. (revisionato)

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Mentre la pioggia picchiettava con sempre maggiore insistenza, Hayley era rientrata in ospedale, non voleva ritornare in quella casa che ora che i suoi genitori erano partiti, era rimasta vuota. Preferiva lavorare, piuttosto che stare da sola.

Tornò nello spogliatoio e si rimise il camice, per poi dirigersi verso il suo studio.

"Ti pensavo a chiarire con Matthew, cosa ci fai ancora qui? Il tuo turno finiva mezz'ora fa." Chiese Emma appena incrociò la sua migliore amica che era pronta a prendersi il quinto caffè della giornata, qualcuno avrebbe dovuto spiegare a Hayley come anche la caffeina poteva creare dipendenza, e come non andasse bene che lei ne assumesse troppa. Ma forse lo sapeva meglio di lei e semplicemente se ne infischiava.

Si ricordava come l'amica, anche negli anni dell'Università si recasse alle macchinette del caffè almeno tre volte al giorno. Una volta aveva pensato lo facesse perché dalla finestra dell'area ristoro vi era una finestra da cui avevi la vista su un campo da calcio vicino, ma poi aveva scoperto che ai ragazzi che giocavano, talvolta persino senza maglia, Hayley non concedeva nemmeno uno sguardo, forse per fedeltà a Jackson, il suo primo fidanzato, o forse in tutti gli anni di Università, troppo presa dal caffè non si era nemmeno accorta che nell'area ristoro vi fosse una finestra con tale vista.

La dottoressa prese il bicchiere bollente dalla macchinetta, senza rispondere all'amica, come se non l'avesse sentita. Bevve per poi voltarsi rendendosi conto, solo ora, che dietro a lei c'era Emma che la guardava come se stesse aspettando qualcosa.

"Emma. Vuoi un caffè?" chiese la ragazza, mentre si sistemava il camice che aveva messo in fretta, "No, voglio sapere perché non sei a casa, ti avevo vista seguire Matthew."

Hayley fece spallucce "Sì, aveva dimenticato una cosa... gliel'ho riportata." Affermò portando il suo sguardo alle spalle di Emma non riuscendo più a sostenerlo, la sua migliore amica era terribilmente brava a capire quando mentiva, e non aveva intenzione di parlare di come il ragazzo, giusto qualche minuto fa, non solo non aveva voluto ascoltarla, ma le aveva anche detto che sarebbe tornato per sempre a New York.

E se prima c'era rimasta male, ad ora, trovava Matthew un bambino, incapace di affrontare le cose ma solo capace a fuggire.

"Penso non te lo abbia ancora detto, ma ha intenzione di chiedere il trasferimento." Affermò la dottoressa tornando a guardare la sua amica, la quale abbassò lo sguardo.

"Lo sapevi." Non era una domanda quella che uscì dalle labbra di Hayley, ma un'affermazione. Alzò gli occhi al cielo e la superò, ne aveva abbastanza per quella giornata, non voleva più saper niente né di Matthew né di New York. Era rimasta a lavoro per non doverci pensare tutta la sera.

Non voleva pensare a niente, voleva solo tenere la testa occupata. Perché se avesse iniziato a cercare di mettere in ordine il casino che in quel momento stava regnando nella sua testa, avrebbe iniziato a rendersi conto di come la sua vita stava prendendo una piega che lei non avrebbe mai voluto prendesse.

Il progetto per cui aveva lavorato quasi una vita probabilmente non avrebbe portato a nulla, la sua vita sentimentale era ridotta al niente e per giunta il suo amico di una vita non le rivolgeva più nessuna parola.

Hayley si diresse verso la pediatria, dove qualche giorno prima era arrivata una bambina, Kaira, avevano dovuto chiamare gli assistenti sociali perché era arrivati lì in ospedale con diverse contusioni che lasciavano trasparire segni di violenza domestica. Dei genitori nessuna notizia, era stata lasciata davanti alla porta d'ingresso del reparto pediatrico, da sola, a piangere.

La dottoressa entrò nella sua stanza, 655, e si mise seduta sulla poltrona accanto al suo letto. La bambina, di appena tre anni, dormiva beatamente, Hayley controllò la sua cartella qualche minuto per poi prendere il telefono.

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