Capitolo 3

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I raggi del sole appena sorto, facevano capolino dalle fessure dei balconi, colpendo direttamente il viso angelico della cubana, che dopo aver passato la notte intera a studiare, era crollata sul tanto agoniato libro di anatomia.

Camila Cabello si era appena laureata a pieni voti in medicina e chirurgia in una delle tante università statali di New York. La sua famiglia, non essendo benestante e dovendo destinare gran parte dei soldi alle cure della sorella malata, non aveva potuto darle un'istruzione più elevata nelle università d'élite come Harvard, dove appena uscita, quasi sicuramente avrebbe trovato lavoro in un batter d'occhio.

Camila però non si era mai arresa e dopo aver trovato un lavoro serale in uno dei tanti locali della metropoli per riuscire a contribuire alle spese, qualche mese fa, decise di iscriversi ad uno dei più prestigiosi programmi di chirurgia del paese. Quando spedí la domanda, era convinta che non sarebbe mai entrata, vista la selezione rigorosa con cui venivano scelti i candidati. Una settimana fa però, ricevette la lettera direttamente dall' ospedale, in cui le dicevano che era stata messa in lista. Per entrare a far parte a tutti gli effetti del programma però, avrebbe dovuto passare il giudizio del neurochirurgo interessato, che dopo qualche ora di osservazione, avrebbe dovuto scegliere cinque specializzandi che sarebbero rimasti al suo fianco per l'intero anno.

Camila cercò in tutti i modi di ottenere qualche informazione sul medico che l'avrebbe selezionata. Il gruppo di studio di cui faceva parte, aveva in bocca sempre e solo un unico nome: Lauren Jauregui. Ogni suo compagno sognava di poter lavorare accanto a lei, possedeva un curriculum da sogno ed aveva appena trent'anni. Camila l' ammirava ed un giorno sperava di diventare come lei, ma non era poi così tanto eccitata come il resto delle persone che la idolatravano. Sapeva non sarebbe stato facile far parte di quei cinque posti, ma ci avrebbe provato con tutte le sue forze.

La sveglia cominciò a suonare e Camila sobbalzò sulla sedia, spaventata da quel rumore metallico e fastidioso. Guardò immediatamente l'ora, con l'ansia di essere in ritardo ed arrivare tardi già al primo giorno, che poi sarebbe stato quello decisivo. Le sue condizioni non erano certo delle migliori: aveva i capelli arruffati in un groviglio indescrivibile, il trucco, che non portava mai pesante, leggermente sbavato sugli occhi e delle macchie di inchiostro sulla guancia destra, che era quella rimasta poggiata sulla pagina del libro tutta la notte. Si sentiva un po' indolenzita a causa della posizione scomoda in cui aveva dormito ma come ogni mattina, da quando era nata, si diresse nella camera della sorella per salutarla. Non faceva molto, le lasciava un semplice bacio tra i capelli e se ne andava.

Sofia oggi aveva dieci anni ed aveva scoperto di essere malata da circa sei. Quando i genitori di Camila furono informati che la loro figlia avrebbe dovuto convivere con una malattia per cui ancora non esisteva cura e peggiorava con il passare del tempo, si sentirono totalmente persi. Camila lo ricordava come il periodo più brutto della sua vita, soprattutto quando le fatture dell' ospedale arrivavano inesorabilmente e la madre ed il padre si spaccavano la schiena facendo due lavori, per cercare di rimanere a galla.

Camila, ancora troppo giovane, non avrebbe potuto aiutarli in alcun modo se non prendendosi cura della sorella, visto che non potevano permettersi né una baby sitter né un'infermiera. Molto spesso fu costretta a saltare la scuola, in cui lei adorava andare. Al contrario dei suoi coetanei, le era sempre piaciuto studiare ed imparare cose nuove, la scuola era sempre stata per lei una via di fuga dalla realtà.

Più Sofia cresceva, più i sintomi aumentavano, sintomi che ancora nessun medico era mai stato in grado di capire. Nonostante fosse ancora così piccola, aveva trascorso la maggior parte della sua infanzia tra camere d ospedale ed esami che puntualmente, non portavano mai a nulla. Da circa un anno era costretta su una sedia a rotelle perché le sue gambe non funzionavano più regolarmente.  I dottori sostenevano che non fossero i suoi arti il problema, in quanto perfettamente sani, ma il cervello, che in qualche modo, non dava più gli imput giusti per farle muovere.

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