6.La tua mamma

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Apro la porta di casa e salgo velocemente le scale, andando a prendere la mia valigia.
《Amy, che succede? Perché corri così?》mio fratello entra nella mia stanza e mi segue nella cabina armadio.
《La lettera della mamma.》apro la tasca segreta e cerco la busta che ho nascosto《Sento che questo è il momento giusto per aprirla.》

Per Amanda♡

《Ti lascio sola.》Caleb mi bacia la fronte mentre io mi siedo a terra, vicino alla valigia vuota. Sento la porta della stanza chiudersi ed io comincio ad aprire delicatamente la busta.

Cara Amanda,
È la mamma che ti scrive. Non so quanti anni avrai quando leggerai questa lettera, ma sarai abbastanza grandicella.
Non so da dove cominciare la mia storia, ma forse è saggio partire dall'inizio.
Sono nata, cresciuta e vissuta a San Francisco fino all'età di diciotto anni quando sono partita per il college. Scelsi la Yale, indirizzo architettura.
Amo l'arte, soprattutto in ambito architettonico, e mi diverto a creare schizzi di edifici prendendo elementi classici e moderni, materiali vari e combinandoli assieme.
Amavo talmente tanto l'architettura che non pensavo ad altro. Per me i ragazzi erano di seconda importanza e le mie amiche mi rimproveravano di continuo per questa mia scelta, a parer loro, radicale.
Ora capisco perché i ragazzi non mi interessassero particolarmente: non avevo incontrato quello giusto. È qui che tuo padre fa la sua comparsa in scena.
Un caldissimo pomeriggio newyorchese io stavo camminando tranquillamente per Central Park, con il mio cono  gelato al melone e la testa tra le nuvole. Il caso volle che sulla mia strada capitasse Edwards Michael, che si ritrovò con il mio gelato spalmato sulla maglietta.
Fu un colpo di fulmine. Nell'istante in cui i miei occhi caramello finirono nei suoi cioccolato fondente, io persi la testa. Non penso di aver mai visto un ragazzo più bello di tuo padre, ma questo non dirglielo perché poi si monta la testa ;)

Ridacchio. È vero, mio padre è davvero un bell'uomo e ci credo che mia madre abbia perso la testa per lui.

Era uno schianto quel pomeriggio: un paio di blue jeans, una maglietta a maniche corte bianca ed un paio di scarpe da ginnastica ai piedi. I capelli erano tirati all'indietro e sullo scollo della maglietta c'erano appesi degli occhiali da sole neri.
Il mio adorato gelato finì spalmato su quella maglietta ed io potei godermi la vista dei muscoli di tuo padre che già erano messi in evidenza dalla maglietta stretta.
Proposi a Michael di pagargli la lavanderia, ma lui si rifiutò categoricamente, chiedendo in cambio il mio numero di telefono.
Esitai, ma lui insistette a tal punto che glielo scrissi sul braccio.
Per una settimana non pensai ad altro che a lui e al fatto che potesse chiamarmi. Devo essere sincera, mi aspettavo che mi chiamasse la sera stessa ma passò una settimana e lui non diede segni di vita. Quando finalmente si decise a chiamarmi mi invitò a cena, peccato che non azzeccò i miei gusti. Ristorante a base di pesce e se questo non bastasse, a fine serata non mi ha neppure baciata come tanto avrei voluto.

Sorrido percependo la frustrazione della mamma.

Dopo quella sera non mi feci sentire per una settimana ed il destino volle che ci scontrassimo nuovamente per strada, dove persi la mia collana. Me la riportò tuo padre ed io gli saltai addosso per la gioia, visto che la collana è molto importante per me. Quando mi allontanai di poco da lui, non so esattamente come, ci baciammo e fu il bacio più bello della mia vita, davanti alla casa di una delle mie migliori amiche che si era trasferita a New York per gli studi.
Da lì cominciò la nostra storia. Io finii Architettura e lui l'Accademia Militare, ci sposammo, lui andò per un periodo come militare e quando tornò io ero praticamente sempre attaccata a lui.
La nostra vita andò avanti così fino a quando non rimasi incinta di te tesoro della mamma.
Il resto della storia non voglio raccontartelo, non posso, non ne ho le forze. Lascerò questo compito a tuo padre.

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