Come with me.

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Giulia si trovava fuori dal residence, seduta sulle scale ad ascoltare la musica in santa pace. Davanti a sé c'era una via: grande e lunga, ogni casa aveva una propria luce fuori dal portico e la vegetazione ricopriva l'esterno di alcune case in fondo alla via.
Aveva un'aria così romantica e fiabesca.
Le piaceva stare lì, specialmente perché c'era un po' d'aria fresca.

Ascoltando ad occhi chiusi Ghost Of You dei 5 Seconds of Summer si sentiva bene, era rilassata.
Non aveva il privilegio di provare spesso questa sensazione, ma forse qui sarebbe stato diverso.

Improvvisamente però percepì qualcosa sulla sua mano e quando riaprì gli occhi, si spaventò a vedere una mano sulla sua, ma non una mano qualunque.
Ma la mano di quel fottutissimo cretino.

- Ma sei un coglione! - gli urlò addosso lei, mettendosi una mano sul petto.
Mi farà venire un infarto.

- Posso sedermi? - chiese lui come se niente fosse successo.
Non posso certo impedirgli di sedersi, dopotutto è un luogo pubblico e sfortunatamente per me non ho una particolare autorità per vietarglielo.

- Se proprio devi. -. Lui si sedette accanto alla ragazza e iniziò a guardare la stessa via. Lei sospirò, sollevata che stesse in completo silenzio.

- È una via bellissima. -.
Ma perché non sto zittaaaaaaa!

- Che ne pensi? -.
Ma perché mi parla. Ho la faccia di una che vuole avere una conversazione?

- Idem -.
Forse adesso capirà.

Lui si voltò verso Giulia. - Non sei una di molte parole eh? -.

- Tu che dici? - rispose lei sarcasticamente, voltandosi verso di lui. Voleva solo essere lasciata in pace e lui questo lo sapeva, ma non gli importava.

Ad un certo punto il ragazzo si alzò. - Vieni con me -. Non c'era alcun tono interrogativo nella sua voce e la cosa la inquietava ancora di più.

- Perché mai dovrei venire con te? - disse con le sopracciglia aggrottate.

- Perché la tua vita ti annoia. Cerchi forti emozioni, ma aspetti che queste vengano da te perché non hai abbastanza fegato per fare il primo passo. -.
Ma guarda questo brutto scemo, come si permette?
Nonostante ciò Giulia rimase a bocca aperta, non sapeva proprio che cosa dire. Anche perché tutto ciò che aveva detto ... era vero.

- So che vuoi venire. -. Non aveva tutti i torti. Ma la vera domanda era ... come diavolo faceva a saperlo?

- Beh? -. Si voltò a guardarla e lei non poté fare altro: sbuffò e lo seguì.

Dopo circa una decina di minuti passati in silenzio, il ragazzo finalmente parlò. - Non mi hai ancora detto come ti chiami. - chiese lui dolcemente, mostrandole un sorriso rassicurante.

- Giulia. - rispose in un sussurro.
Non capiva cosa fosse successo. Giulia non riusciva a spiegarsi il suo cambio di comportamento nei confronti del ragazzo. Prima se gli urlava addosso era contenta, mentre ora aveva timore a sussurrare qualcosa. Ma cosa accidenti mi ha fatto e soprattutto come ha fatto!

- È proprio un bel nome - le sorrise lui.

- Si, così bello che la maggioranza dei genitori  in Italia ha deciso di chiamare la propria figlia con lo stesso stramaledetto nome. Ogni volta che ne chiami una, si gira un esercito. -.
Si, era una cosa che mi dava abbastanza fastidio. Avete idea di quante volte io mi sia girata quando in realtà non ero io la Giulia che chiamavano?
Dopo un certo numero di volte, è una cosa veramente noiosa e irritante.

Lui ridacchiò e non si poteva dire che la cosa le facesse propriamente piacere, ma comunque non disse nulla.

- Si, ma ce n'è solo una come te. - Giulia arrossì leggermente, ma cercò di non farlo vedere.

- A quante ragazze hai detto questa frase? - Non si faceva addolcire da una frase da film qualunque. Aveva imparato la lezione.

- Ti sembro il genere di ragazzo che ci prova con tutte? - chiese seriamente.

- Se usi frasi del genere si. - rispose onesta. Aveva conosciuto abbastanza teste vuote, non ne voleva un'altra. Per cui, era meglio sapere come stavano le cose adesso piuttosto che quando sarebbe stato tardi.

- Non volevo dare questa impressione, pensavo solo ad alta voce. -. Le sorrise debolmente.

- Allora dovresti contare fino a venti prima di dire stronzate. -. Giulia cercava di essere sé stessa, o per lo meno, cercava di concentrarsi sulla corazza che si era costruita attorno in modo che niente e nessuno potesse scalfirla.

- Solo perché non ci sei abituata, non significa che siano stronzate. -.
Non sai nulla.

- Proprio perché ci sono stata abituata, posso dire che sono stronzate. -.
Ora spero che stia zitto, non voglio parlare di questo con lui.

- Ma io non sono la stessa persona che ti ha detto quelle stronzate. -. Per quanto le dispiacesse ammetterlo, era vero.
Mark non era la stessa persona che l'aveva ferita. Non era la stessa persona che l'aveva ridotta a non avere più fiducia nelle persone. Non era la stessa persona che le aveva rovinato la vita. Malgrado ciò, questo non toglieva che avrebbe potuto essere qualcuno di molto simile.

- Come faccio a sapere che tu non sia fatto allo stesso modo? -

- Fidati. -.
Oh si, certo! Come ho fatto a non pensarci prima? Tanto è così semplice, vero? Grazie per avermelo detto, ora la mia vita sarà luminosa.

- Scherzi vero? Ti conosco a malapena! - disse Giulia impuntandosi.

- Lo so e sono consapevole di chiederti tanto, ma posso assicurarti che non sono come la persona che ti ha ferita perché ... hanno ferito anche me e so come ci si sente. -.
Come scusa?
Ovviamente le dispiaceva e nonostante cercasse di capire come fosse stato ferito il ragazzo, c'era ancora qualcosa che non capiva.

- Perché ti importa tanto se io mi fido di te o no? -.
Dopotutto mi ha appena conosciuta, non ci dovrebbe essere alcun motivo particolare per insistere a conoscermi, a meno che lui sappia qualcosa che io non so.

Mark non rispose subito, ma non si sapeva se era perché non sapeva che parole pronunciare oppure perché non sapeva la ragione esatta.
In ogni caso, Giulia incrociò le braccia, in attesa di un responso da parte del ragazzo.

- Mi importa perché ... secondo me sei molto di più di ciò che dai a vedere. -. La ragazza arrossì talmente tanto da coprirsi il viso con le mani.

- Beh, ti risparmio tempo prezioso, sbagli. - disse continuando a camminare.
Sapeva benissimo cosa stava facendo: voleva farla sentire speciale, quando in realtà era come tutte le altre.
Perché deve illudermi in questo modo?
L'unica cosa che non capiva era perché lo stesse facendo.

- Lascia che sia io a giudicare. - ribatté il ragazzo raggiungendola.

- Fai come credi. - disse lei, mostrandosi il più indifferente possibile.
In realtà, stava già cadendo nella trappola. Quella stessa trappola che l'aveva rovinata. Quella stessa trappola che si era ripromessa di non rifinirci più dentro.
Ma questo lei non lo sapeva ancora.

- Farai un tentativo? - le chiese lui, preoccupato della sua risposta.

- Un tentativo a cosa? -.

- A fidarti di me. - disse lui prendendole la mano.

Giulia si pietrificò: non emise un suono, non respirò neppure.
Nessuno osava toccarla e a lei andava benissimo così, non le piaceva il contatto fisico.

Ma sfortunatamente per lei, Mark stava infrangendo tutte le sue barriere, le sue corazze e non sapeva che fare per impedirglielo o allontanarlo.

- Mark è meglio se torniamo. Ho il coprifuoco. -. Sussurrò Giulia con lo sguardo basso.
E non è una scusa, ho veramente il coprifuoco alle undici.
- Certo, andiamo. - rispose lui con la mascella tesa per il nervoso.

Viraha; Mark LeeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora