There for you.

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Mark si sforzò con tutte le sue forze di salire le scale, ma si arrese pochi secondi dopo perché gli sembrava di essere in pendenza, manco fosse stato sulla torre di Pisa; allora decise di prendere l'ascensore, ma non appena pigiò il tasto del piano e la gabbia metallica si azionò, la sua percezione dello spazio andò leggermente a farsi fottere e gli sembrò di girare come una trottola. Effettivamente, continuò a girare su sé stesso, non alla velocità che pensava lui, ma solo perché non riusciva a capire cosa stesse succedendo.

Quando le porte dell'ascensore si aprirono, Mark si appoggiò al muro del corridoio e si prese qualche minuto per scacciare via la nausea che minacciava di esplodere.

Dopodiché si avviò e finalmente giunse davanti alla porta di Jimin. Non ci pensò due volte e bussò.

Nessuna risposta.

Bussò un'altra volta e attese.

Ancora nessuna risposta. Oh, ma andiamo.

Non si volle arrendere e ci riprovò almeno una decina di volte, sempre più forte.

Ancora niente.

- Jimin ... - si lamentò Mark, appoggiandosi alla porta con entrambe le mani.

- So che sei qui dentro. -. Siamo tutti qui. Per quanto abbia scelto di rimanere da solo, so che non si allontanerebbe mai troppo, non solamente perché è il giorno del mio compleanno, ma anche perché una parte di lui vorrebbe festeggiare e divertirsi con tutti noi. Invece è qui, tutto solo in camera e questo è solo colpa mia.

- Ti prego, aprimi. - chiese il ragazzo con la voce che gli tremava.

Dall'altra parte, Jimin seduto sul letto, guardava la porta in assoluto silenzio. Non sapeva cosa ci facesse lì Mark, ma a giudicare dal leggero biascicamento che traspariva attraverso la sua voce, doveva aver bevuto e non un solo bicchiere di certo.

Non ricevendo nessun segno, Mark proseguì. - Se non mi apri, allora rimarrò seduto qui fuori. - disse con tono infantile, appoggiando la schiena alla superficie fredda della porta.

Jimin non gli avrebbe aperto. Non voleva parlargli, non voleva parlare con nessuno a dire il vero. Aveva ancora bisogno di starsene da solo nel buio della sua stanza, in quel momento illuminata solo dal chiaro di luna, in completo silenzio.

- Hyung, tu ci credi al destino? ... Io si. - iniziò Mark, giocando con le proprie mani. 

- Prima ero convinto che le cose accadessero per caso, come se fossimo foglie mosse dal vento ... senza alcuna ragione precisa o piano predefinito. Ora non credo che sia esattamente così. -  Non appena il ragazzo nominò il "destino", Jimin capì che sarebbe stato lì fuori dalla sua porta un bel po', così decise di appoggiarsi anche lui alla porta della camera così da sentirlo meglio.

- Quando ho alzato lo sguardo su di lei per la prima volta, ha illuminato quella piccola e spenta lavanderia. - disse il canadese con un sorriso dolcissimo.

- Poi cominciò a cantare sottovoce e non so bene cosa sia successo. Mi sono sentito strano. Ero rilassato, come se quella melodia avesse sciolto tutti i miei nervi. So che è da pazzi, ma mi sono sentito completo ... come se avessi trovato ciò che mi mancava e avessi adempito alla realizzazione della persona che sono adesso. - sussurrò mantenendo lo sguardo fisso sulle sue mani.

- Dopodiché iniziò ad imprecare. -. Il solo ricordo lo fece ridacchiare. Se in quel momento fosse passato qualcuno in corridoio, avrebbe trovato la situazione davvero molto inquietante: un ragazzo, ubriaco, seduto nel bel mezzo del corridoio, a ridere da solo. Non era esattamente una scena rassicurante, specialmente a quell'ora della notte.

Viraha; Mark LeeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora