Rebecca POV
I genitori di Blake sono così gentili. Non è difficile capire cosa Blake abbia ereditato da loro. L'ironia da parte di suo padre, mentre la gentilezza è da parte della madre, che tende ad avere un comportamento serio, o almeno da quanto ho potuto vedere io. Il fratellino è la copia identica. È bella la casa, ha una sua eleganza, ma non è troppo vistosa. Per ora sono fuori nel giardino con Blake. La casa, ha un davanzale che si affaccia al retro di essa, dove si può accedervi dalla cucina. Ha una grande area dove c'è solo erba e nell'esatto centro, c'è un grande albero. La notte gli da quasi un tocco più "elegante," se visto con la luna dietro di esso, che lascia spuntare dei raggi tra i rami, mentre illumina con una debole luce tutto il giardino. Io e Blake siamo li; lui è seduto con le spalle contro il busto dell'albero, mentre io sono straiata sull'erba con le braccia incrociate dietro la testa, accanto a lui. Gli butto un occhiata, e vedo che sta scrutando un piccolo crocefisso che ha appeso al collo. All'inizio ha un aria disinteressata, ma poi lo vedo intristirsi. Forse sta pensando ad altro e non a quell'oggetto, o forse è solo la mia impressione. –"Qualcosa non va?"- Gli chiedo, con il tono più neutrale possibile. Lui sembra quasi sorpreso; sbarra gli occhi, come se lo avessi svegliato all'improvviso mentre dormiva. –"S-si. Stavo pensando..."- Me lo dice, tornando ad avere l'aria disinteressata di prima, ma la sua voce lo tradisce, esponendo le sue vere emozioni. All'inizio esito, ma poi glielo chiedo di nuovo. –"Quel crocefisso centra qualcosa?"- Gli chiedo, incerta, ma anche facendogli capire che non gli credo. "-Da cosa lo dici?"- Mi domanda. Temevo che avrebbe assunto un tono come per dire "non impicciarti!", ma mi rendo conto che la sua è una semplice e tranquilla domanda. –"Sembri triste mentre lo guardi, o sbaglio?"- Gli dico. –"Ho notato che in casa non ha nessun'altro oggetto religioso, se non questo. Non sei un uomo di chiesa, questo si vede."- Dico ironica. Lui mi risponde. –"Non ha un significato religioso per me, infatti. È un regalo... E un ricordo. è Di quando ero piccolo."- Mi dice. Il suo tono è triste. Continuo. –"Un dono da parte di chi?"- Gli chiedo. –"Cloe..."- Dice lui. Però non sembrava una risposta, più come se stesse pensando ad alta voce. Ha gli occhi lucidi, come se stesse per piangere. C'è qualcosa di serio dietro questo crocefisso. –"Che c'è, Blake?"- Gli chiedo preoccupata. Lui si gira sorpreso ancora una volta. –"è... è una cosa della mia infanzia di quando ero a scuola. Sei curiosa, vero?"- Mi chiede. Il suo tono vorrebbe essere come "ironico", ma la tristezza nel parlare, lo tradisce. Non volevo impicciarmi, sospettando che fosse una cosa oscura e, ora ne sono certa, una cosa profondamente personale. Però la curiosità mi spinge a dire di si. In fatti, faccio un segno affermativo con la testa, e mi metto seduta davanti a lui con le gambe e braccia incrociate, come se stessi sentendo una una delle storie di mio padre, nel lago vicino casa mia, accanto al fuoco, in compagnia di mio fratello. All'inizio comincio ad immaginare le cose più assurde, però smetto di pensare, quando guardo il crocifisso. Ha delle piccole strisce rosse che colorano le gambe, le braccia e il volto di Gesù. Lo osservo, quando però, Blake mi parla. –"è come pensi. Non è un normale colore rosso.-" Mi risponde. Non capisco la sua affermazione. –"è... Sangue.". Mi vengono i brividi. Pensavo che mi stesse prendendo in giro, ma la sua espressione, gli occhi lucidi e Il tono con cui me lo ha fatto notare Blake però, mi fa avere la certezza al riguardo. Perché ho l'impressione che sia qualcosa di molto più oscuro di quel che immagino? Blake in tanto non sembra voler iniziare. Sono sul punto di dirgli che se vuole, può non raccontarmelo, ma poi inizia. –"Era il 2008, quando avevo 12 anni. Era finita la solita giornata scolastica e tutti erano tornati a casa. Tutti tranne me e la mia fidanzata, Cloe. Il parco dove andavamo di solito era chiuso per dei lavori in corso, quindi avevamo deciso di giocare in un posto, diverso da casa nostra. Eravamo li, parlavamo del più e del meno, quando abbiamo deciso di giocare a nascondino. La scuola era grande, per essere una scuola media, mi pare che contava poco più di cinquecento ragazzi. Eh. teoricamente lei doveva andare in un punto, contare fino a dieci, io dovevo nascondermi, lei doveva cercarmi, e io dovevo muovermi furtivamente per evitare di essere scoperto e toccare il punto dove lei aveva iniziato a contare. Io però, non seguivo l'ultima cosa da fare; mi divertiva di più vederla imprecare al vuoto perché non riusciva a cercarmi, mentre io ero nascosto sotto al suo naso. "-Dice lui con tono divertito, ma anche nostalgico."- Ad un tratto, entrai nell'aula dei computer. Credo che avesse circa nove computer che occupavano l'aula, al centro c'era la cattedra, e alle sue spalle un grande schermo. Io sono entrato nell'aula e mi venne un infarto, quando vidi che c'era il mio professore di religione, che quando mi vide, aveva la mia stessa faccia, ovvero questa: -"Fa una faccia sconvolta. Scoppio a ridere, immaginadomi la scena. Continua."- -"Gli spiegai il perché io lei eravamo li, poi andammo insieme a cercare Cloe e quando la trovammo, ci fece una ramanzina. Lei e il professore dovettero rimanere a pregare, mentre io venni cacciato via malamente.-" Finora, a parte l'inizio, ha sempre mantenuto un tono divertito, ma ora il suo sguardo diventa cupo in un istante. Continuo ad ascoltare, ma questa volta più seriamente, come se mi fossi scordata che quello che stavo ascoltando non fosse una barzelleta. Lui continua. –"Sentii un urlo, ed era il suo. Di Cloe. Io corsi dove c'è stato il dialogo tra me, lei e il professore, pensando di aver trovato il luogo da dove venivano le urla, ma mi resi conto che avevo sbagliato aula, quando vidi che non c'era nessuno. Loro erano nell'aula di religione. Sentii uno strano verso, come un abbaio, oltre alle urla di lei, che pregava il cane di andarsene, e anche il professore che richiamava il nome dell'alunna. Io entrai nella stanza...-" Si ferma, ma sento di comprendere il perché... -"Il professore era per terra, con un braccio insanguinato e accanto c'era... Lei.-" Dio mio... Lui esita, ma la frustrazione, o il voler sfogarsi, gli da la forza per continuare. –"Era li a terra sporca di sangue, con un morso sul collo. Dico morso, perché dopo l'accaduto, si era confermato che quello era un cane..."- Specifica per farmelo capire. –"Aveva gli la faccia sporca di sangue, con una terrificante espressione di terrore. Io mi avvicinai a lei e pronunciai il nome più volte, la abbracciai anche, sperando che tutto quello che vedevo non fosse reale. Ma in realtà, ero conscio di star tringendo fra le braccia un corpo senza vita..."- Tutta la tristezza esce fuori con la sua ultima frase. Io invece non riesco a smettere di credere che mi stia prendendo in giro, ma non è così. è surreale, ma è successo davvero. Sento i brividi lungo la schiena, così violenti da farmi quasi credere che sia un 24 dicembre, anziché un 18 ottobre. Blake continua. –"Urlai al vuoto e piansi, e quelle mura potrebbero confermartelo se potessero parlare."- Mi dice, come se sapesse cosa io stia pensando. "-il professore si alza da terra e si avvicina a noi mettendosi di fronte a me. Io lo guardo come per dire "Perché?"... Credo che stia per piangere, soprattutto perché la sua voce sempre più rotta dalla tristezza. –"Il professore, dopo che chiamò la polizia e ovviamente i miei, mi affidò il crocifisso di Cloè. "Sarà il tuo dono", mi disse. -"Avevo una ragazza... ma la mia relazione si è conclusa nel peggiore dei modi."- Conclude. Posso quasi sentire un ringhio nelle sue parole, piene di frustrazione. Non ha pulito il sangue dal crocefisso, probabilmente perché non voleva "modificarlo" in nessun modo. Lo voleva tenere così, esattamente come quando lo aveva ricevuto in dono. –"Ti ricorda lei, vero?"- Gli dico, con la voce aflitta quanto la sua. -"Si"- Afferma. –"Non ha mai provato a cercare un'altra ragazza, dopo di lei?"- Gli chiedo. –"No. Trall'altro non c'era nessun'altra ragazza che mi interessasse. Non mi dava le stesse sensazioni che mi ha dato Cloe. Farfalle nello stomaco, timidezza, svenimenti quando le nostre mani si toccavano..."- Mi dice lui, sempre in tono nostalgico. Lo vedo arrossire leggermente e il suo tono di voce cambia, divetando quasi timido. È così tenero. Ad un tratto lo vedo girare lo sguardo in direzione della casa dei suoi genitori e inizialmente credo che stia osservando qualcosa, ma poi vedo che, con un gesto fugace, si asciuga gli occhi con due dita. Non gli piace piangere in pubblico, ma è un ragazzo, è orgoglioso, e lo capisco. –"Che ne pensi?"- Mi chiede ad un tratto, questa volta con un tono un po' più sereno. –"Mi dispiace davvero tanto..."- è l'unica cosa che posso dire. deve essere stato orribile subire un perdita così, soprattutto di una persona che ti sta a cuore. Io posso capirlo... Lui non dice altro rimettendosi con le spalle al muro nella stessa posizione, come a voler abbondanare quell'argomento il prima possibile. Io sto per rimettermi staiata, quando lui parla. –"Posso chiederti una cosa?"- Mi domanda. Io acconsento. –"Come mai, in casa tua non ha foto di tua madre?"- Mi domanda. Ha un tono incerto, come quando io gli ho chiesto del crocifisso, quasi come se avesse realizato si aver pensato ad una stupida teoria. –"Io sono rimasto in casa tua anche due giorni di seguito, ma non ho mai visto tua madre, e non era ritratta in nessuna foto in cui ci siete sia tu che lei."- Infatti è come se volesse spiegarmi su cosa si è basato per farmi quella domanda. –"Lei, non vive li..."- Tento di fargli capire il mio cambio di umore, ma lui con coglie la mia affermazione. –"Separati? O...-" Dice, teorizando. Mi decido a rispondergli per bene. –"Se ne andata..."- Gli rispondo. La sua espressione diventa cupa, come la mia. Lui può capirmi... -"Come... Come è successo?"- Mi domanda incerto, probabilemente perché non vorrebbe obliggarmi a fare ciò che non voglio, ma io sono disposta a diglielo. Lui ha parlato, ora è il mio turno. –"è morta di parto. Non l'ho mai conosciuta..."- Gli rispondo. Lui si mette seduto nella mia stessa posizione, come se sapesse già che sto per iniziare a raccontare. –"Era il 1994 del 23 Marzo. I medici mi tenevano nell'incubatrice. Oh, em... me lo ricordo solo perché me lo ha raccontato mio padre. Sto parlando come lui."- Mi affretto a precisare. Blake mi fa un cenno affermativo con la testa. Continuo. –"Lui era già andato a chiamare mio fratello per entrare nella sala parto per vedere come stava mia madre, e per conoscere la sua nuova sorelina."- Dico sorridendo, indicandomi con i pollici di entrambe le mani. Blake sorride, probabilmente intenerito, nell'immaginarmi quando ero piccola. –" Lui la chiamò più volte, ma lei non rispndeva. All'inizio pensava che fosse, stordita e senza forze per via del parto, ma quando i medici videro i le sue condizioni..."- Già mi risulta difficile parlare, maledizione. Blake cambia espressione tornando cupo, capendo cosa sto per dire. –"Era morta."- Dico, tentando di non farmi frenare dai ricordi. –"Io sono cresciuta senza mai conoscerla, e infatti iniziai ad avere qualche sospetto. Chiesi a mio padre, il perché, a differenza delle altre famiglie, nella nostra mancasse un certo componente, e lui mi rispose che era partita per un lungo viaggio, e che sarebbe tornata presto. Questa spiegazione è la stessa che mio fratello mi raccontò sempre, però non resse, quando raggiunsi i quattordici anni. Sono sempre stata cieca, non accorgendomi che mi stavano mentendo. Feci quella domanda ancora una volta a mio padre, e lui non negò più. Volevano aspettare che fossi abbastanza grande per venirne a conosceza, e quando reagì alla notizia... posso dire che non potevo biasimarli per avermi fatto attendere così tanto."- Dico, mentre le parole diventano sempre più difficili da pronunciare, per il nodo in gola che ho adesso. Mi fermo, imponendomi di non piangere, ma Blake dice qualcosa. –"Come ti sei sentita?"- Mi domanda. La sua non è curiosità, è come se mi incitasse a sfogarmi, a non soffrire in silenzio. Lui sa bene cosa si prova, ma vuole che allegerisca il peso che ho adosso, come ha fatto lui: Non mi ha nascosto niente, nel tono di voce, nelle sue risatine amare, con gli sguardi, con le azioni, mi ha mostrato un lato di lui, tra'altro molto personale, mettendo da parte l'orgoglio. Io continuo. -"All'inizio mi sentivo presa in giro, ma anche arrabbiata con me stessa, per non essermi mai accorta che quella fosse una stupida scusa che tutta la mia famiglia mi ha sempre rifilato per farmi stare zitta..."- Avrei così tanto da dire, ma non solo non c'è nient'altro da aggiungere, ma non riuscirei comunque a continuare. Blake ha tenuto le lacrime, io invece no. Abbasso lo sguardo quando realizo che tutto quello che vedo diventa sfocato. Scoppio a piangere, lasciandomi andare del tutto. Ad un tratto, con la coda dell'occhio, vedo Blake muoversi, non capendo cosa abbia intenzione di fare, ma poi capisco che mi sta abbraacciando. –"Non piangere."- Mi dice incrociando il suoi occhi con i miei, ma io distolgo lo sguardo di nuovo, imponendomi di smettere. –"Mi dispiace, non volevo..."- -"No, era giusto che te lo raccontassi"- Quando mi calmo e mi asciungo le lacrime con la manica della mia giacca, Gli parlo. –"Mi domando cosa pensi di me... Ogni gioia che mio padre ha avuto con me, dall'imparare a camminare, al superare l'università. Papà è fiero di me, ma lei?"- Gli domando, come se Blake potesse rispondermi. –"Lei lo è, ne sono sicuro. Hai finito l'esame di maturità con il massimo nella materia a cui eri interessata, per esempio, è già qualcosa di qui prendere nota. Lei è orgogliosa di te, Rebecca."- Mi dice ironico, tranne nell'ultima frase, facendomi sorridere. Mi hanno sempre detto che lei è sempre con me che mi guarda e mi protegge, ma non mi basta. Lei non mi saluta quando torno a casa, lei non mi consola quando sono triste, non posso condividere i miei successi con lei... ma forse sto chiedendo troppo. Sono solo una bambina capricciosa, e quindi dovrei stare zitta e accettare le cose come stanno... ma non ci riesco. Sia io che Blake non accettiamo il destino che è capitato a loro. Abbiamo vissuto una parte della nostra infanzia con la frustrazione, e con la rabbia. La morte è un evento normale nella vita, prima o poi arriva... ma questa volta, siamo entrambi d'accordo che il fato sia stato dannatamente crudele.
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One Shots
Short StoryOne Shots che parlano di due ragazzi, Blake e Rebecca, riguardo ai momenti più belli ma anche i più brutti della loro vita, piena di gioie ma anche di dolori. Il loro presente e futuro saranno accompagnate dal loro passato che gli ha lasciato un mar...