Capitolo 33

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Tornai in salotto con una tazza calda di tè al limone fra le mani.
Non sapevo se fosse un rimedio indicato a questo tipo di situazione, ma per lo meno avrebbe fatto riprendere Ethel, che sembrava piuttosto debole e sconvolta.

Era avvolta nella sua coperta in pile, ma le sue mani tremavano.
Il trucco era colato lungo le sue guance e aveva la labbra screpolate.
Non si era mossa dal divano nemmeno per un istante.

Quella notizia mi aveva scossa terribilmente.
Non sarebbe dovuto succedere, non ora che Ethel era totalmente sola e aveva la certezza che il padre del bambino che portava in grembo non avrebbero nemmeno preso in considerazione questa situazione.

Mi sedetti sul divano affianco a lei, e le porsi la tazza fra le mani.
Il suo sguardo era perso nel vuoto, e si voltò verso di me solo per rivolgermi un debole sorriso di ringraziamento.

Si portò la tazza alla bocca e si leccó con la lingua le labbra screpolate.

"Sono una stupida" sussurrò lei, lasciando scivolare l'ennesima lacrima sul suo viso.

Era fisicamente e psicologicamente distrutta, e io mi sentivo impotente di fronte a questa sua debolezza.
Non sapevo cosa fare perché, obiettivamente, si era cacciata in un bel casino.

"Ethel, ti prego non devi dire così" dissi io, accarezzandole la schiena "quando l'hai scoperto?"

"Questa mattina" disse, asciugandosi gli occhi con il dorso della mano "da diversi giorni avevo la nausea, ma solo oggi ho avuto il coraggio di quel maledetto test".

"Dio, perché non me l'hai detto prima?" dissi io fra i denti, massaggiandomi le tempie con le dita.

"Perché non volevo rovinare la tua sorpresa... insomma, eri così entusiasta e indaffarata" rispose lei "non volevo creare un altro casino"

"Ma che ti salta in mente? Ethel, non scherzare"

La ragazza appoggió la tazza sul tavolino ai piedi del divano e si accasciò nuovamente sul divano.
Il suo viso era pallido più del solito, non riusciva a darsi pace.
Socchiuse gli occhi sospirando.
Fu in quel momento che, di nuovo, la avvolsi in un abbraccio.

Mi dispiaceva tremendamente vederla in quello stato, e mi sentivo quasi in colpa a non esserle stata accanto.
Ero talmente presa dalla festa di Harry che nemmeno mi ero accorta, in quei giorni, che stesse male.
Non le ero stata abbastanza vicina probabilmente, e non se lo meritava.
Lei c'era sempre stata per me.
Durante le mie crisi, durante quelle nottate di incubi, quando mi svegliavo di soprassalto.
Lei era sempre al mio fianco.
Anche durante la mia terapia, quando mi sentivo una stupida e una nullità.
Ero pessima con le promesse.
Ero pessima a mantenermi gli amici.
Semplicemente ero una pessima amica.

"Glielo dirai, vero?" chiesi io, continuando ad accarezzarle la schiena.
La ragazza sospirò, asciugandosi poi gli occhi.

"E che senso avrebbe?" disse lei "lo sai anche tu che sarebbe inutile"

"Ma, Ethel è giusto che -" ma lei subito mi interruppe.

"Non so nemmeno io cosa sia giusto per questo bambino.. voglio dire, guardami!
Che razza di esempio potrei mai essere per mio figlio? Un figlio nato da una relazione totalmente malata?
Sarei solamente un brutto esempio, nemmeno io mi vorrei come madre"

Feci per ribattere e rassicurarla.
Avrei voluto dirle di stare tranquilla, che era normale sentirsi scossi sul momento.
Ma che non doveva arrendersi.
Probabilmente quel bambino sarebbe potuto essere la svolta che serviva alla sua vita.
Il suo nuovo inizio.
Ma lei non mi lasciò nemmeno il tempo di aprire bocca, che subito si tolse le coperta di dosso e sviò il discorso.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 03, 2018 ⏰

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