Capitolo 43

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Le lacrime iniziano a scorrere impetuose sulle mie guance. Le forze mi stanno abbandonando, non riesco a muovere un muscolo, urlare mi risulta complicato ed impossibile allo stesso tempo. Come ho potuto fidarmi, credere di poter condividere i miei segreti con quella persona? Se solo avessi ascoltato il mio cuore, a quest'ora non mi troverei distesa su questo letto, a piangere come una disperata per ciò che ho perso. Vorrei che la vita fosse come un nastro cinematografico, per poterlo riavvolgere e cambiare parte della trama. Invece non lo è, ed io non posso far nulla per riavvolgere il tempo e cambiare il corso degli eventi. È tutta colpa mia, avrei dovuto impedire che succedesse.

Ventiquattro ore prima

Con le mani intrecciate, percorriamo il vialetto ed entriamo dentro la sua macchina. Per l'occasione, il mio amico ha pensato bene di noleggiare una macchina. Non mi sarei mai aspettata di trovarlo alla festa, sembrava a suo agio, il che la dice lunga. Dovrà spiegarmi molte cose una volta raggiunto un posto appartato, lontano da occhi ed orecchie indiscrete. 

"Casa tua o albergo?" mi chiede. 

"Albergo, non mi va di ritornare a casa per il momento." rispondo, mentre armeggio con la cintura di sicurezza. 

Cameron mette in moto, poco dopo stiamo sfrecciando per le strade di Londra. Il vento mi sferza il viso, una sensazione piacevole dopo il trambusto avvenuto all'interno di casa Connor. Le parole di Leah e Ryan non hanno smesso di ripetersi nella mia mente da quando abbiamo lasciato la festa. Mentirei se dicessi di non sentirmi ferita ed umiliata. Perfino Fiona sapeva del loro stramaledetto piano per allontanarmi. Anzi, da come ho capito, è stata proprio lei a spingerli a mentire. Insieme a quel suo amichetto, Bret Connor. 

"Vuoi parlarne?"

Mi volto, Cameron ha lo sguardo rivolto verso la strada ma il modo in cui le sue mani stanno stringendo il volante, rivela quanto in realtà vorrebbe fermarsi e costringermi a confidarmi con lui. "Non qui, preferirei arrivare in albergo."

"Come vuoi, piccola Savannah." Le sue labbra si incurvano in un sorriso, se non fosse per quelle piccole rughe d'espressione, direi di avere davanti lo stesso Cameron di sempre. 

Per il resto del tragitto rimaniamo in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri. Fa male ricordare i momenti passati insieme ai miei amici, fa male alzare lo sguardo verso il finestrino e rivedere i loro occhi, pieni di imbarazzo e rabbia. Fa male e basta. 

Quando arriviamo davanti la sua camera d'albergo, un mix di emozioni si fanno largo dentro di me. D'istinto gli getto le braccia al collo, e lui non si scompone. Anzi, mi prende in braccio e mi conduce all'interno della stanza. Dopo diversi tentativi, riesce ad accendere la luce, che mi abbaglia all'istante, impedendomi di tenere gli occhi aperti. Delicatamente mi poggia sul letto, mi accorgo di star piangendo soltanto quando il mio corpo viene scosso da profondi singhiozzi. Mi avvicino al cuscino e lo abbraccio, come se quel gesto potesse in qualche modo alleviare il mio dolore. 

"Ehi, piccola." Cameron si sistema al mio fianco, e con la mano inizia ad accarezzarmi i capelli. "Parlami, per favore. Non sopporto di vederti così. Mi fa troppo male." 

"Sono stata una stupida, Cam. Non avrei mai dovuto fidarmi di loro, si sono presi parte del mio cuore e lo hanno ridotto in poltiglia." Lascio andare il cuscino e mi asciugo le lacrime con il dorso della mano. "Te invece, cosa ci facevi alla festa? Pensavo che avessi deciso di rimanere a Sandown." 

"Non me la sono sentita di rimanere in città, così ho preso il primo volo e ho raggiunto degli amici qui a Londra. Lo so, avrei dovuto dirtelo, ma non volevo rovinare la vacanza a Benjamin e Lawrence. Ultimamente avete passato pochissimo tempo insieme, non mi andava di mettermi in mezzo." 

Il mio adorabile vicino di casaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora