I Teen Titans scrivono Haiku: Raven è pony-dipendente (30)

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Non sono una dark,
vorrei solo un pony
perché ho fifa.

(Haiku by Rachel Roth [o Blaken Roth Logan se preferite :3])

RAVEN

Vagavo alla ricerca dei miei amici, come è ovvio, perché non riesco a essere imparziale, non ci sono mai riuscita. Non riuscivo a separare la logica ed il senso della giustizia dalle mie emozioni, per questo correvo tra le macerie guardandomi intorno a occhi spalancati, con addosso la mia abituale divisa ma senza il fidato mantello che mi avrebbe potuto infondere molto più coraggio di quanto ne provassi senza.
Riuscii a individuare in lontananza una familiare chioma bionda e feci per raggiungerla, sapendo già a chi appartenesse dato che i capelli dorati non sono esattamente caratteristici di Tamaran, tuttavia fui fermata più volte durante il percorso che mi separava da lei dall'istinto primordiale che mi spingeva ad aiutare chi era in difficoltà.
Il cratere formatosi nel terreno aveva un diametro di almeno cento metri e non avevo avuto cuore di affacciarmici per capire quanto fosse profondo, occupata a bloccare emorragie con i miei poteri mentre attendevo che arrivassero i medici della squadra di soccorso, i quali erano impegnati a trovare anche gli altri di loro che si erano trovati sotto attacco mentre distribuivano i vaccini.
Mancavano pochi metri prima che riuscissi a raggiungere la ragazza che avevo notato sin dall'inizio, ma dovetti fermarmi nel vedere la figura di un uomo disteso a terra, che gemeva e stringeva le mani attorno a qualcosa che spuntava dal terreno.
Non c'era un'esagerata quantità di macerie e la maggior parte di questa era formata dai pali di metallo e dai tendoni che avevano una volta costituito i gazebo sotto i quali si riunivano coloro che dovevano farsi visitare, ciò rendeva ancora più spaventoso e ingiusto che uno di quei componenti ora tenesse l'uomo ancorato a terra perforandogli il torace. Corsi pestando con i piedi scalzi sulla polvere e i sassi fino a raggiungerlo, al che mi chinai frettolosamente su di lui con la fronte imperlata di sudore e le mani tremanti.

"Andrà bene." gli dissi in tamariano, che poi era una delle poche frasi che Stella era riuscita a insegnarmi.

Una sorta di pellicola magica dal colore scuro avvolse il suo torace e mi concentrai per lenire il suo dolore e limitare la fuoriuscita del sangue, permettendogli di tirare un sospiro di sollievo.

"Gurytoni tr'dao empire*" ansimò rivolgendomi gli occhi verde scuro.

Con qualche difficoltà riuscii a capire che mi stava chiedendo dove fossero sua sorella e suo nipote, così annuii per prendere tempo e per poter pensare a una risposta, mentre un paio di paramedici mi vedevano e facevano per raggiungermi.
Senza che potessi impedirlo l'uomo mi prese una mano e la strinse, sporcandomela di sangue e fissandomi con occhi stravolti dal dolore. Ricacciai indietro ogni sentimento ed annuii di nuovo.

"Faan'i reme**" risposi, stringendogli la mano di rimando e ricevendo uno sguardo colmo di gratitudine mentre i medici mi facevano segno di allontanarmi.

Sciolsi l'incantesimo solo quando vidi che erano pronti a bloccare ogni fuoriuscita del sangue, nonostante sapessi benissimo che non avrebbero potuto salvarlo.
Avevo promesso a un uomo sul letto di morte che avrei trovato la sua famiglia ed ero sicura che ci sarei riuscita anche senza nessun nome e nessuna descrizione, ma il mio pensiero principale tornò a essere la massa di capelli biondi che si agitava a una ventina di metri da me.
Corsi velocemente nella sua direzione ignorando le grida, i pianti e gli ordini sbraitati dai soldati che facevano del loro meglio per dare una mano, concentrata solo sul bagliore dell'armatura di metallo leggero che le aveva prestato Amalia, creata per tenere il caldo all'esterno di questa con l'effetto collaterale di essere particolarmente luminosa.
Tara si aggirava tra i corpi dei feriti già medicati, disposti su barelle stese a terra con gli occhi celesti che parevano enormi, mentre una lieve luce gialla lampeggiava in essi in modo talmente evidente che anche da lontano potei percepirla.
Quando mi vide arrivare si bloccò nel bel mezzo della sua ricerca e lasciò che le spalle le si abbassassero come se il mondo la stesse schiacciando sotto il suo peso.
Vidi i suoi occhi riempirsi di lacrime e quindi nel giungerle vicino aprii le braccia e lasciai che lei vi ci fiondasse dentro, stringendola mentre un prepotente singhiozzo le sfuggiva dalla bocca.
Non è da me abbracciare la gente di mie spontanea volontà e all'epoca di sicuro non era da me abbracciare lei, tuttavia sapevo che se non l'avessi fatto sarebbe crollata.

Facciamola finire beneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora