«Pensi che ci sia qualche forma di vita?» mi chiede Axel all'improvviso, riscuotendomi dal mio fissare il vuoto. Mi sta guardando, aspetta una risposta quasi come un bambino, ma i suoi occhi azzurri non brillano, sembrano quasi più scuri del solito. La tempesta si è calmata, è tornato quel totale silenzio che solo la neve riesce a creare. Il cielo è ancora nuvoloso, se la posizione della nave non lampeggiasse sul piccolo schermo del mio braccio meccanico non riuscirei a trovarla in questa distesa bianca.

«Ne ho il sospetto, diciamo una mezza certezza. Le variazioni registrate nel campo magnetico sono deboli, è vero, ma è anche improbabile – se non impossibile – che siano opera di un generatore. Questa base è abbandonata da anni, la ruggine e le intemperie hanno intaccato il funzionamento degli strumenti. Le ipotesi di Erix non reggono. C'è qualche mano dietro a ciò che sta succedendo su Kalea... e non credo proprio che le sue intenzioni sarebbero molto amichevoli. Ho un brutto presentimento: sta per succedere qualcosa di grosso in questa galassia».

Axel annuisce con un lieve cenno della testa, stringe le mani sul fucile. Mi volto, lo osservo mentre il vento gli sposta i capelli biondi davanti agli occhi, gonfiando il suo cappotto. È seduto sul tetto piatto, bianco anch'esso, come la neve e le nostre divise. Io ho preferito rimanere in piedi, cercando di contrastare la forza del vento che non accenna a calmarsi.

«Perché non mi hai lasciato sulla nave? In caso di pericolo potevo essere già al mio posto, il che sarebbe stata una mossa anche intelligente. Avrei potuto smuovere la Starfall in tempi brevi... perché non hai lasciato me a controllare tutto e hai portato Zavis con te? Mi ha stupito la tua scelta, sai? Rischiare così l'incolumità dell'ammiraglia... non l'avrei mai detto che l'avresti fatto tu. Mi sembra più una decisione da Aesta... o da me».

Sospiro, guardando di lato. Non riesco a dargli una risposta, ho fatto tutto in maniera molto affrettata e se qui dovesse esserci qualcuno dalle intenzioni ostili, se qui qualcosa dovesse andare storto, avrei messo in pericolo la Starfall. Sarebbe brutto perdere quella pace nata dal sangue e sancita dalla Lega dei Pianeti per la difesa spaziale.  

«Hai ragione» mormoro, alimentando quei dubbi, quei presentimenti che si affollano in testa, senza fare nulla per metterli a tacere. «Ma ho dato ragione all'istinto, non te lo nascondo. Non lo so perché ti ho portato con me, probabilmente per finire nei guai... sai che ci ficchiamo sempre insieme».

«Peccato che manchi Aesta allora...»

«Già...» mormoro tornando a guardare l'orizzonte: è un pianeta monotono questo, non c'è niente che lo caratterizzi, che lo faccia sentire vivo. La linea che separa terra e cielo curva appena, non abbiamo informazioni nemmeno sulla reale grandezza del pianeta... o è veramente stato abbandonato a sé stesso dopo la dismissione della base o, cosa veramente sospetta, qualcuno ha cancellato ogni dato riguardante Kalea. Abbiamo tracciato ogni pianeta, compaiono tutti nei database della Lega con le rispettive schede. Kalea no. Per anni l'ho associato a un luogo lontano, troppo lontano per essere raggiunto dalla guerra, non l'abbiamo nemmeno considerato due anni fa, alla fine della guerra. È un pianeta fantasma.

Questo posto mi da i brividi: non mi sento tranquilla, mi sembra che non siamo da soli, che ci sia qualcun altro là dentro che sta osservando i nostri movimenti. Fortunatamente, per ora stanno tutti bene: dai brevi rapporti che hanno inviato ho capito che non hanno trovato nessun segno di vita, ma solo tanto abbandono in un posto che un tempo doveva essere un gioiello della scienza.

Faccio un cenno ad Axel con la mano, non ho intenzione di rimanere su questo tetto per un altro minuto: a questo punto voglio solo trovare ciò che non mi quadra. Lui si alza, si stiracchia, precedendomi verso la botola da cui siamo arrivati qui sopra. Scendiamo lungo la scala pericolante da cui siamo saliti, i gradini di metallo cigolano a ogni passo, il suono si spande nel piccolo spazio che ci circonda finché non torniamo al pianerottolo da dove abbiamo deviato. Qui il suono dei nostri passi si attutisce, non rimbomba più sinistramente nelle nostre orecchie. Percorriamo senza fretta un corridoio i cui muri sono coperti da muffe e con finestre rotte dalle quali entra un vento gelido che ci fa rabbrividire nonostante il cappotto. Guardo fuori finché le finestre non si interrompono, scendiamo una rampa di scale su cui sono caduti vari calcinacci dal soffitto. Una leggera polverina compare sulla manica del cappotto grigio che indosso. Guardo in alto, illuminando il soffitto con la torcia e Axel istintivamente alza lo sguardo.

Ai confini del vuoto 2 - Operatio MortisDove le storie prendono vita. Scoprilo ora