Capitolo 15

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Pov Edoardo



La volta celeste risplendeva di piccoli diamanti che si nascondono di giorno per mostrarsi solo la notte, e brillare sovrastando ogni altra cosa, esibendo il loro splendore, il loro fascino misterioso, la loro alchimia. Come vampiri del cielo.


Mi stava appoggiando a un grosso blocco di marmo nel parco della casa, unico pezzo rimasto di un gruppo scultoreo che doveva essere stato enorme, risalente ad un periodo dove il bello trionfava su tutto e dove si poteva trovare rifugio nell'arte, nella preghiera quando le cose andavano male e tutto sembrava perduto in un mare di sofferenza. In un mondo corrotto l'arte salva, indipendentemente dal periodo storico in cui viene esercitata.


Mi passai le dita tra i capelli, il vento li stava scompigliando sfacciato, scoprendo la mia fronte, accarezzando la mia pelle serica, troppo morbida e bella per essere quella di un ragazzo.


«Quali pensieri ti assillano, dolce mortale?» la voce di Milik mi costrinse, come se l'avessi accalappiato con una corda, a voltarmi.


Il vampiro si era cambiato, ora indossava pantaloni neri di buon taglio, che cadevano perfettamente su quelle cosce muscolose e una giacca elegante dello stesso colore. Sotto quella Milik non indossava nulla, se non la sua naturale lucentezza.


Oh, può essere così seducente un torace maschile?


Quella pelle sembrava fatta d'avorio, tanto era perfetto quel biancore, perfette le linee sinuose che lo formavano, come se un abile maestro l'avesse scolpito lavorando il marmo più pregiato.


Sì, sembrava essere stato creato quell'essere di fronte ai miei occhi, non creato da mani umane. Quel viso luminoso ed etereo era troppo bello, troppo ben fatto, disegnato dalla mano di un innamorato, in un momento di folle passione. Perché quel viso era voluttà, era magia, mistero, bellezza, un dogma vero e proprio.


Lui non aveva mai creduto in niente. Da bambino non aspettava Babbo Natale come tutti gli altri bambini della sua età, perché nessuno gli aveva mai permesso di crederci. Non era mai stato in una chiesa, semplicemente perché sua madre gli aveva sempre detto che non esisteva alcun Dio da pregare. Così gli era stato negato il conforto derivante dal pregare qualcosa in cui si crede, di parlare silenziosamente con qualcuno nel cuore della notte, sfogarsi della rabbia e del timore. Così con Babbo Natale, così con Dio. Non aveva mai provato in entrambi i casi la delusione di scoprire che ciò che si credeva vero in realtà era solo una menzogna. Però così facendo era sempre rimasto freddo davanti a tutto, riuscendo a controllare meccanicamente ogni situazione, perché tanto non esisteva niente in cui credere, e con la delusione probabilmente gli era stata negata una maturità di tipo diverso o più semplicemente una gioia infantile e immatura, l'emozione più intensa e sconvolgente, quella che ogni essere umano prova.



Lui aveva saltato delle fasi piombando subito nell'età adulta, pur rimanendo nella profondità del suo cuore un inguaribile sognatore, senza ammetterlo con nessuno e a volte nemmeno con sé stesso. Tanti anni addietro disegnava la natura. Alberi e stelle erano i suoi soggetti preferiti. Le stelle di quella notte gli avevano fatto ricordare quegli schizzi fatti col pennarello giallo, perché sì, le stelle erano la sola cosa in cui aveva creduto sin dall'infanzia. Esse sono così in alto, superiori a tutto il resto, sanno ogni cosa, conoscono ogni segreto e sono di una bellezza sconfinata e indescrivibile. La loro essenza era la purezza.

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