Capitolo 19

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Pov Edoardo




Mi sembrava un incubo, un incubo terribile.


Ero trascinato da mani rudi e straordinariamente forti, senza poter fare nulla per liberarmi.


Wladimir mi impediva la fuga tenendomi stretto il braccio destro e il polso sinistro, camminando svelto, facendomi quasi inciampare mentre io ero costretto, davanti a lui, a stare al suo passo.


Avevo continuato ad urlare da quando ero stato portato via dal luogo dello scontro fino a quel momento, invano, tentando di colpire quel demonio, ottenendo gli stessi identici risultati delle sue minacce.


Il vampiro, volando, mi aveva portato in un castello dall'aspetto spettrale. Non avevo mai visto manieri del genere se non sui libri: con quelle guglie appuntite, enormi finestre sormontate da archi a sesto acuto e rosoni formati da vetri azzurri e viola, in un perfetto stile gotico che avevo sempre amato ma che ora mi ritrovavo a temere. Come le cattedrali gotiche erano state costruite, un tempo, per innalzare al cielo il loro grido di fede, quel castello scuro sembrava inneggiare, incoraggiato dai tuoni in lontananza, la brutalità di quel bevitore di sangue e i pericoli che da quel momento in avanti avrei dovuto affrontare.


Wladimir mi aveva trascinato dentro, per lunghi corridoi, senza rivolgermi nemmeno una parola, anche se io lo avevo insultato, minacciato, gridato contro con tutta la rabbia che sentivo. Mi era stato chiaro sin dall'inizio che io, da solo, non avrei potuto nulla contro di lui.


«Maledetto, dannato bastardo, lasciami andare! Non puoi trattarmi in questo modo! Riportami subito indietro. Subito!»



«Santo cielo, che lingua lunga hai!» proruppe il biondo esasperato. «Sarebbe sensato tagliartela.»



Ammutolii, spaventato. Avrebbe davvero avuto il coraggio di farlo, un mostro crudele che uccideva esseri umani ogni notte?


La risposta era insita nel suo stesso ragionamento.


Puntò i piedi, smettendo di camminare ma il vampiro non si fece molti problemi a spingerlo e a farglieli strusciare per terra, trasportandolo di forza.


Mi agitavo senza sosta, avevo contratto ogni muscolo, opponendo una ferma quanto inutile resistenza. Quel corpo non era solo freddo e bianco come una statua di marmo ma anche pesante e irremovibile, esattamente come lo era Milik.


Quei lunghi anditi sembravano non finire mai. Erano freddi, illuminati da torce appese alle mura che dipingevano di arancio dorato le pareti con il riverbero delle loro fiamme, facendo danzare su di esse ombre alte e scure, che toccavano persino l'alta volta.


Impegnato a strepitare e a urlare insulti il ragazzo non si accorse nemmeno che erano arrivati alla sommità di una lunga scalinata che s'immergeva nell'oscurità. Rabbrividì. Da laggiù provenivano spifferi gelati.


Wladimir poggiò i palmi delle mani sulla mia schiena e mi spinse, silenzioso. Caddi in avanti rendendomi conto di cosa stava succedendo solo nell'istante in cui avveniva. Non ebbi il tempo di provare paura o di fare qualunque cosa. Prima che potessi ribaltarmi e rompermi l'osso del collo venni sorretto, qualche gradino più in basso, da un altro vampiro di statura molto più piccola rispetto a lui. Era Alex. Mi aggrappò alle sue braccia, stringendo forte, il cuore che aveva preso a martellarmi furioso nel petto, il respiro che scivolava fuori attraverso i denti serrati, gli occhi sbarrati a fissare il vuoto, il viso contratto dall'ansia e dallo spavento.

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