Capitolo 20

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Pov Milik



Sapevo che era lì.


Dove altro poteva averlo portato se non nella sua amata Parigi? Malgrado ciò non potevo averne la certezza. E se non era lì? E se si fosse già nutrito di lui? Il pensiero mi fece provare una fitta nello stomaco. No, non poteva andare a finire così. Non con lui! Conoscevo la crudeltà di quel vampiro e sapevo che avrebbe potuto torturarlo, fargli ogni male possibile per un essere umano. Mi sentii improvvisamente debole e stanco.


«No, non proprio adesso, non il mattino!»


Con rabbia colpii un vaso scaraventandolo per terra e il rumore dei cocci rotti mi riportò alla calma insieme al silenzio. Mi diresse verso le scale che conducevano ai sotterranei, le discesi ed entrai nella mia tomba dorata. Chiusi per bene la porta d'acciaio e con lentezza spostai il coperchio del mio feretro diurno. Vi entrai dentro con indolenza e mi stesi, osservando la luce intensa e bianca del lampadario sopra di me prima di chiudermi nel buio più totale. Sapevo che ormai il sole aveva già iniziato il suo viaggio presso la sommità del cielo. I miei sensi si indebolirono e la sonnolenza s'impadronì di me. In quel lungo istante prima che il sonno soverchiante mi sopraffacesse pensai ai suoi occhi di bosco e al suo viso di ragazzino; e mi ritrovai a pregare qualcosa di molto simile a un Dio, affinché non gli accadesse nulla di male prima che io fossi arrivato per proteggerlo.




Pov Edoardo



Una goccia d'acqua gelata mi cadde sulla palpebra sinistra.


Mi svegliai di soprassalto e una seconda grossa goccia mi finì sul collo, strappandomi un profondo sospiro. Mi misi a sedere. Mi trovavo nella stessa cella ma essa era stata ripulita a dovere. I sacchi, la sporcizia e le ossa non c'erano più e nemmeno le tracce di sangue rappreso e secco. Quello rimaneva sempre un luogo d'orrore, ma almeno adesso non mi dava più la nausea iniziale e mi sentivo decisamente meglio di... quanto tempo era passato? E chi era stato a...


«Sei sveglio? Non farmi più prendere simili spaventi. Se ci lasci le penne Wladimir sarà di cattivo umore! E credimi, di solito non gli serve molto per esserlo. Non credo che voglia ucciderti... non così presto almeno.


Era stato quel Francesco a parlare. Si trovava oltre le sbarre, con una torcia in una mano e un cestino nell'altra.


«Stai tentando di spaventarmi?» chiesi indispettito. Mi accorsi di avere una coperta addosso; rivolse di nuovo lo sguardo verso il mio interlocutore, «sei stato tu?»


«Vedi qualcun altro?»



Non ti aspettare ringraziamenti, mi stai tenendo prigioniero anche tu. Stai solo cercando di rendere più sopportabile il mio "soggiorno" qui. Fai gli interessi di quel vampiro mentre fa il suo sonnellino diurno, no?»


«Che lingua tagliente moscerino! Non agitarti tanto, probabile che tu debba restare qui per molto e non so quanto il mio signore sarà gentile con te. Forse dovresti trattare con più rispetto quello che tenterà di alleviarti le sofferenze.» Non risposi. Un senso opprimente d'angoscia mi assalì, spegnendo in me qualsiasi entusiasmo o moto di ribellione. Ero prigioniero e con il calare del sole sicuramente mi sarebbe stato fatto del male. Abbassai gli occhi e il mio sguardo accigliato divenne preoccupato. Francesco sospirò rumorosamente; aprì il cancello facendo risuonare lo stridere dell'acciaio arrugginito su per la tromba delle scale. Entrò nella cella, rischiarata dalle fiaccole lontane e dalla sua torcia; si avvicinò a me seduto sulla paglia. Alzai la testa per guardarlo, le sopracciglia aggrottate in uno sguardo aggressivo. Combattivo come sempre. Il ragazzo dai capelli arancio-dorati poggiò davanti a me il cestino che teneva in mano. «Non guardarlo come se dentro ci fosse qualcosa pronto a morderti. C'è del cibo, mangia.»

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