Capitolo 22

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Pov Milik



Vidi flettere all'indietro, così da poter avere completo accesso alla sua gola. La sentì mugolare confusa e mi misi sopra, sovrastandola, premendo contro il suo seno morbido, mentre la sentivo conficcare le lunghe unghie nelle braccia. I fiotti che riempirono dolcemente la mia bocca erano amari di cinismo. Ogni sorsata portava con sé l'odio e l'indifferenza della fanciulla che aveva un collo così delicato. Assaporai quel male come fosse miele e tenni gli occhi serrati, assumendo un'espressione così beata da far pensare, all'occhio che avesse indugiato sulla scena, che fosse perso nell'estasi di un bacio. La giovane inarcò la schiena ed esalò l'ultimo respiro, sulla sua bocca l'ombra di un sorriso.



Mi asciugai le labbra nonostante non le avessi nemmeno bagnate e mi raddrizzao con eleganza, la testa china, gli occhi socchiusi due laghi rossi straripanti di una luce così intensa e brillante da offuscare il moo sguardo. Respirai profondamente e il fulgore cremisi iniziò a spegnersi, fino a svelare le iridi del colore degli abissi che prima avevo celato. Lanciai uno sguardo alla giovane donna a terra. Il suo corpo ossuto era spettrale sotto la luce dei lampioni che dava vita a ombre che scavavano ancor di più la sua carne. Gli occhi aperti sembravano ancora vivi, fatta eccezione per la loro innaturale immobilità e per l'assenza del battito di ciglia. Il fatto che non avesse l'impulso involontario di sbattere le palpebre mi risultava insopportabile. I suoi occhi che non avevano bisogno di chiudersi e che rimanevano aperti, vigili e fermi come quelli di uccelli notturni davano la conferma della sua mostruosità. Sembrava che i vampiri dovessero condannare gli esseri umani alla stessa sorte, spingendoli precocemente tra le braccia della morte.


Una crudele, sottile vendetta scaturita dall'invidia?


Tornai a chinarmi silenzioso di fianco a quel corpo abbruttito da una vita insana. Le guance scavate e le occhiaie basse e profonde accentuavano il pallore del suo viso, le sue labbra sottili sarebbero rimaste per sempre aperte in un grido muto. Passai il palmo della mano sopra quegli occhi oscenamente spalancati e li chiusi con rispetto, mormorando tra le labbra una sorta di litania confusa, che non voleva essere una preghiera ma un commiato.


Mi rialzai e voltai la testa in direzione dei rumori della città e mi immerso con sicurezza e una certa fretta. Niente ora avrebbe potuto fermare i miei passi, oltre che avere di nuovo Edoardo tra le mie braccia.


Parigi. I grandi viali alberati lmi accolsero gentilmente. Le chiome degli alberi truccati del bruno autunnale erano affascinanti e per niente cupe mentre oscillavano nelle ombre della notte, ricercando la luce dei lampioni, che li accarezzavo volentieri, come a volerci fare l'amore.


Una città elegante, una città ricercata e un po' snob, una città romantica, viziosa e piena di sé.


Era bella. Bella nell'eccezione più profonda del termine, come può esserlo una rosa canina o una ninfea, la luna falcata nel cielo o un quadro impressionista. Parigi è attuale, giovane, alla moda. La gente camminava per le strade come nel posto più sicuro del mondo. Le donne passeggiavano sole sui lunghi boulevard, con il mento dritto e il petto in fuori, il passo deciso e un fascino straordinario.


Come non accarezzare con lo sguardo le bionde francesine?


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