Capitolo 27
Il pianto dei violini si spense d'un colpo insieme ai rumori della festa, come se in un battito di ciglia non ci fosse rimasto più nessuno ad abitare la terra.
Nel mio sguardo di il terrore era stato soppiantato da uno stupore improvviso e crescente. Sospirai intensamente quando braccia forti mi strinsero e un petto ampio si spinse contro di me. Sentii la dolce leggerezza di quei capelli neri sulla guancia e sul collo, percependoli come una carezza d'ali. Rimasi immobile, pietrificato da quello che stava accadendo, non sapendo se credervi o meno. Cosa avrei fatto se fosse stato solo uno sprazzo di follia generato dalla mia mente ormai vacillante? L'uomo che mi stringeva intensificò la stretta.
«Edoardo...»
Quando sentì pronunciare il mio nome mi sciolsi dal torpore conseguente allo stupore e strinsi a mia volta quel corpo, aggrappandomi come una radice alla terra. Non riuscii a trattenere le lacrime, che mi rotolarono luminose e calde sulle guance; gemetti di piacere e sollievo.
«Mi-Milik...!» dissi con voce incerta, «Milik!» gridai, e lo strinsi convulsamente, come a voler entrare in lui e perdermici dentro.
Il moro si staccò leggermente da me e colto dalla frenesia afferrò dolcemente il mio viso con le mani, facendomelo alzare e mi guardò come se fosse la prima cosa che vedeva dopo un'eternità di tenebre. Il suo sguardo era sofferente.
«Edoardo,» ripeté, «finalmente. Ti ho cercato, quanto ti ho cercato...» sussurrò sulle sue labbra.
«Senza trattenermi, scoppiai in singhiozzi più intensi e mi rituffai tra le sue braccia, tremavo convulsamente.
«Dio mio, Dio mio Milik... sei... sei qui. Tu sei qui! Non-non è possibile che tu sia qui, io... MILIK...»
Pov Milik
«Edoardo, sono qui, sono qui stretto a te. Smetti di tremare così adesso, calmati.»
Glii dissi mentre, lo accarezzavo, guardavo dall'alto la sua capigliatura rosso fuoco. In tutte quelle notti non avevo fatto altro che sognarlo; sognare lui, di accarezzarlo, di averlo così tra le mie braccia.
«Non mi lasciare. Non mi lasciare, non mi lasciare!» supplicava il rossino, che aveva da troppo relegato dentro sé tutto il terrore che aveva provato in quei giorni. Mi strinse forte tra le dita il cappotto, il viso contro il mio petto, le spalle che sobbalzavano sotto le mie mani.
«Edoardo,» iniziai, staccandolo dolcemente da me e guardandolo negli occhi. Gli scostai i capelli dalla fronte e ci poggiai contro la sua, ci fissammo con tale, folle affetto... «Adesso,» continuai in tono fermo ma pacato. «Da questo momento non devi temere nulla. Hai capito? Ci sono io con te adesso, e non potresti essere più al sicuro.»
Edoardo respirava affannosamente, troppa era stata infatti l'emozione, la sorpresa, troppa la paura che aveva accumulato in quelle notti. Con dita assetate ed incerte mi toccò, accarezzandomi le guance, le tempie, i capelli lisci e morbidi come seta nera. Poggiò nuovamente il capo al mio petto e sorrise debolmente.