Pov Edoardo
Un sogno?
Sì, era stato un sogno, aprii gli occhi lentamente, sbattendoli molte volte prima di mettere a fuoco l'ambiente circostante. Avvertii l'odore soffice del latte ancora prima di vedere la scodella davanti la mia faccia. Come se un ago mi avesse punto scattai a sedere, guardandomi attorno agitato. I sonni in quella cella non erano mai ristoratori e il non riuscire a capire se in cielo era alto il sole o la luna mi faceva impazzire.
«Se ti agiti ogni volta in quel modo diventerai vecchio presto.»
«Non credo comunque di diventare vecchio.» Risposi senza voltarmi a guardare l'altro.
Francy allora mi venne davanti con le braccia lungo i fianchi, lo sguardo estremamente serio.
«Che parole dure per un moccioso che deve ancora iniziare a vivere.»
Alzai improvvisamente lo sguardo divenuto duro.
«Sappiamo entrambi che non uscirò mai più da questo fottuto castello, non è vero?» Francesco chiuse gli occhi ed espirò profondamente, abbassandosi e accovacciandosi sui talloni, le braccia distese sulle ginocchia. «E' notte o giorno?»
«Notte.» Francesco indicò con lo sguardo la scodella di latte. «Bevilo finché è ancora caldo.»
Senza rispondere posai svogliatamente lo sguardo sul contenitore e lo presi tra le mani portandomelo mestamente alla bocca senza però berne il contenuto, facendo solamente in modo di avvertire il caldo liquido sulle labbra. Quella notte era stata cupamente rivelatrice. Vedevo con fin troppa chiarezza la mia situazione. Wladimir non m'avrebbe lasciato andare e non potevo contare sull'aiuto di nessuno, nemmeno su quello di Francesco che sembrava a tratti gentile con me. Ero a corto di idee e voglia di trovarle. Mi sentivo scoraggiato e solo e l'unica persona che potesse aiutarlo non arrivava. E se non riuscisse mai più a trovarmi? O se peggio non volesse nemmeno cercarmi? Magari si era già stancato di me, magari era felice di essersi liberato di un noioso ragazzino umano con cui si era già divertito a sufficienza. I miei occhi si fecero lucidi e abbassai la testa per nasconderlo. Nicola piegò la testa. «Tutto bene?»
Non rispondevo, preda del turbinio di pensieri che mi affollava la mente e l'anima. L'altro si alzò sospirando. Wladimir era a caccia. «Vieni con me. Sarò punito severamente per questo ma hai bisogno di stare per un po' in un ambiente più "umano".
Si avvicinò e mi fece alzare praticamente di forza, dopodiché mi portò fuori dalla cella, in un'altra ala del palazzo. Attraversammo una porta piccola e modesta rispetto a tutto il resto, fatta di legno e neanche troppo pregiato. La stanza in cui si trovarono era spartana ma grande, con un letto singolo, un armadio, una scrivania, un baule di foggia antica, una finestra chiusa con sbarre come fosse anche lui prigioniero. C'erano inoltre un'alta e stretta porta con un pomello dorato e una tenda attraverso la quale si intravedeva una piccola e semplice cucina.
Francesco indicò il letto e io guardai in quella direzione, confuso. Vedendo la sua esitazione mi spinse gentilmente, inducendomi a sedermici. Tastai il materasso attraverso la coperta bruna e improvvisamente il sonno mi assalì ancora, come se non avessi dormito da mesi. Volevo posare la testa su un cuscino soffice e accoccolarmi contro il letto.