약속

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Quando Minho si svegliò, i raggi del sole ad accarezzargli il viso, notò la mancanza di Jisung; si erano addormentati insieme, sul divano, davanti alla vetrata che donava loro la vista su Las Vegas, ma il ragazzo si era risvegliato da solo.

Si alzò a fatica, quando poggiò entrambi i piedi a terra rischiò di cadere, la testa gli girava veloce. Si appoggiò al bracciolo del sofà per riacquisire l'equilibro.

Si diresse in bagno, dove si mise ad osservare il suo riflesso nello specchio posto sopra al lavandino di marmo chiaro.

Non aveva una bella cera considerando la nottata passata seduto ad un tavolo a scommettere e ad incassare fiches, ma poteva comunque ritrovarsi in condizioni peggiori. Dopotutto, non aveva quasi chiuso occhio.

E poi, era successo quello che era successo con Jisung, un ragazzo conosciuto in una sola notte, ma del quale poteva dire di esserne attratto sessualmente, e anche tanto.

Jisung aveva questi occhi grandi, che le luci della grande città illuminavano, e delle mani piccine che mischiavano con abilità le carte, e quelle guance paffute che Minho avrebbe voluto toccare fino allo sfinimento.

Ritornò nella grande sala e si mise alla ricerca del suo cellulare, lo trovò poco dopo, sopra il tavolino di vetro.

Scorse velocemente i contatti con il dito, alla ricerca di quello di Sebastian, quando il suo sguardo cadde su un numero nuovo, aggiunto di recente.

Un sorriso comparve sul suo viso pallido quando lesse il nome, Han Jisung.

Ebbe la tentazione di chiamarlo, ma se non era rimasto con lui evidentemente aveva altri impegni, così decise di non disturbarlo.

In quel momento, sentii due colpi alla porta, si girò verso di essa. La guardò, indeciso sul da farsi. Si avvicinò titubante e, con tono altrettanto titubante, chiese chi fosse.

"Mamma" rispose una voce femminile, Minho aprì. "Sorpresa!" gridò la donna, abbracciandolo, prima di porgergli una scatolina nera di velluto.

Il ragazzo la schiuse, rivelandone il contenuto; un orologio d'oro, dei piccoli diamanti formavano le sue iniziali sul quadrante, LM.

Minho non riuscì a dire nulla, le parole gli morirono in gola, non poteva far altro che ammirare quel piccolo gioiellino fra le sue mani.

"È come il tuo" disse infine, riferendosi a quello che la donna indossava sempre. Il suo era d'argento, però.
La madre annuì, "esatto, ce l'hanno tutti nella nostra famiglia" sorrise.

Minho si sentì improvvisamente fiero di sé stesso, si sentì importante; ora era ufficialmente un giocatore della famiglia Lee.

"Potrai indossarlo domani" esordì la donna, Minho le lanciò uno sguardo confuso, invitandola a continuare, "alla tua festa, a casa dei tuoi nonni"

Minho non stava capendo, sua mamma riuscì a leggerglielo in faccia.

"Non dirmi che te lo sei dimenticato" sbuffò, alzando gli occhi al cielo.
"Certo che no" si difese il figlio, "solo che non mi ricordavo fosse domani, pensavo saremmo rimasti qui più di una notte"

"La giocata a Las Vegas vale solo per la notte del tuo compleanno, una volta che finisce si torna a casa per festeggiare tutti insieme" spiegò la donna, evidentemente scocciata da quella situazione.

"A che ora abbiamo il volo?" chiese Minho, richiudendo la scatolina nera.
"Tra un'ora, sbrigati che dobb..."
"Rinvia l'orario di partenza di un'ora" la interruppe Minho, restituendole il regalo.

"Non posso" rispose la donna, turbata dal comportamento strano del figlio.
"Si che puoi, il jet è nostro" ribatté indossando la giacca, "ci vediamo tra due ore in aereo porto" e veloce scappò verso l'ascensore, lasciando sua mamma da sola in quell'immensa suite.

"Mi scusi" Minho richiamò l'attenzione della ragazza alla reception, "saprebbe dirmi dove si trova Han Jisung?"
"Posso sapere perché le interessa? se c'è stato qualche problema con..."

"No no, nessun problema" la bloccò Minho, "volevo... volevo solo vederlo" si accorse di essere arrossito.

"Di solito non potrei farlo, ma lei non mi sembra avere cattive intenzioni" disse la ragazza, "mi lasci controllare" e iniziò a digitare velocemente sulla tastiera nera del computer.

"In questo momento, sta svolgendo il suo turno come assistente alle slot machine" disse, alzando lo sguardo dal computer per portarlo sul ragazzo dinanzi a lei.

"Per... per arrivarci?" chiese Minho, non convinto della sua grammatica inglese; non aveva mai avuto problemi a comprenderla, e nemmeno a parlarla, ma certe volte capitava che si dimenticasse di un vocabolo, o del costrutto di una frase.

"Prenda le scale come se dovesse entrare nella zona tavoli, ma una volta arrivato all'ultimo gradino giri a destra. Lì ci sono le slot" spiegò la receptionist, mimandoli il percorso in modo che il ragazzo capisse.

"Grazie ancora" la salutò Minho, dirigendosi verso la scalinata con il corrimano dorato. Seguì le indicazioni della ragazza e, in men che non si dica, si ritrovò in mezzo alle macchine.

Iniziò a girovagare, fino a quando non si ritrovò Jisung davanti. Si mise a guardarlo da lontano, in silenzio, senza farsi notare.

Jisung indossava una divisa diversa da quella della notte precedente, quando l'aveva visto per la prima volta. La camicia bianca era stata rimpiazzata da una nera, infilata dentro ai pantaloni del medesimo colore, dai quali partivano due bretelle dorate come il papillon. L'unico indumento che non era cambiato.

Era appoggiato con la schiena al muro, le braccia incrociate al petto e un'aria annoiata.

Minho guardò l'ora sul display del suo cellulare, aveva tempo, gli rimanevano ancora un'ora e poco più di quaranta minuti.

"Dovresti stare più composto" lo riprese Minho, avvicinandosi a lui. Jisung si ricompose quando lo vide, salutandolo.

"Cosa ci fai qui?" chiese il croupier, girandosi con tutto il corpo verso il maggiore.
"Sono venuto a salutarti" rispose quest'ultimo, l'espressione felice di Jisung si tramutò velocemente.

"Come, te ne vai?" chiese il più piccolo, Minho annuì, "mi dispiace"
"E io?" il tono di Jisung era preoccupato, "non mi hai usato ieri, vero?"

"Non potrei mai" lo rassicurò Minho, "ed è per questo che volevo vederti; devo dirti una cosa" gli occhi fissi in quelli del minore.

Jisung annuì, "dimmi"
"Voglio ritornare qui, da te, quando sarà terminata la mia festa a Seoul" iniziò Minho, "voglio tornare e stare con te"

Jisung percepì il suo cuore iniziare a battere più veloce, perdendo qualche battito.

"Però, tu mi dovrai aspettare" disse Minho, intrecciando la sua mano a quella di Jisung, il quale stava arrossendo vistosamente.

"Promettimelo" il tono di Jisung si era affievolito, Minho sorrise, "te lo prometto" e accarezzò la guancia paffuta di Jisung.

"Ora devo andare, ci vediamo" lo salutò Minho, lasciandogli un leggero casto bacio sulle labbra.
Andò via veloce, non diede neanche il tempo a Jisung di salutarlo.

Il più piccolo restò lì, fermo e immobile, a guardare la figura del suo hyung diventare sempre più piccola e lontana, mentre con l'indice si accarezzava il labbro inferiore.

bet on me ; minsung #wattys2019Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora