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Il posto era un disastro: macerie ovunque, gente che urlava, forze dell'ordine che provavano a sollevare pietre troppo pesanti per loro. Speranze che morivano ogni volta che un corpo veniva trovato.

La conta dei morti era salita a centocinquanta, metà dei corpi appartenevano a persone che era stato facile identificare, l'altra metà era ancora sconosciuta. Probabilmente qualcuno delle loro famiglie li stava cercando, con il cuore in gola e il desiderio intenso di scoprire che si trattava solo di un brutto sogno.

Visione e Wanda si erano recati sul posto non appena la notizia aveva fatto il giro dei notiziari, e una volta arrivati si erano messi subito al lavoro per spostare massi e portare alla luce chi vi era rimasto intrappolato sotto. Wanda non aveva mai considerato i suoi poteri più utili, la sua collaborazione con Visione aveva reso le cose più semplici, ma c'era ancora tanto da fare.

La CIA si erigeva su diversi piani, e gran parte di essi erano crollati; di quell'edificio alto e imponente rimaneva solo una sagoma sventrata, alcuni pezzi di stoffa svolazzavano attaccati a ferri sporgenti, la città urlava ma in qualche modo sembrava che ci fosse un silenzio tombale.

"Oh mio Dio!" esclamò stanca Wanda lasciandosi cadere per terra, il suo naso sanguinò per lo sforzo immane. "Credi che ci siano delle persone ancora vive lì sotto? Lidya..."

"Le probabilità che sia viva sono molto basse" disse Visione guardandosi in giro, rendendosi conto di quanto quello che aveva detto suonasse sbagliato. "Mi dispiace" si scusò, "non era la cosa giusta da dire."

La ragazza scosse il capo rimettendosi in piedi. "No, non lo era. Ma va bene. Per quanto basse siano le probabilità, continueremo a lavorare senza sosta fin quando non l'avremo trovata."

"Sì, lo faremo!" confermò Visione annuendo.

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Lidya tossì così forte che per un attimo credette di sputare fuori uno dei suoi polmoni. Sollevò una mano e si pulì gli occhi dalla polvere, ma quando li aprì li sentì comunque bruciare. Disse a se stessa di pensare, si impose di rimanere calma mentre i pezzi del puzzle prendevano forma. Stava parlando con Marina, erano pronte ad uscire per pranzo e poi c'era stata un'esplosione. Ricordava la stretta della mano della sua amica, il suo urlo, la sensazione si fluttuare nell'aria. Tutto il contrario della sensazione di disfacimento che sentiva in quel momento: le faceva male la testa, era certa di avere una caviglia slogata e il suo fianco destro bruciava come l'inferno.

Abbassò lo sguardo e scoprì che lì dove sentiva bruciore e dolore, un pezzo di ferro nero e arrugginito l'aveva attraversata da parte a parte. Suppose che per fortuna non aveva toccato alcun organo vitale, altrimenti dubitava che sarebbe stata viva.

A fatica, serrando la mascella così forte da rischiare di romperla, si tirò su e si girò piano fino a far uscire il ferro dal suo corpo. Piangendo si rannicchiò solo per un istante, per riprendere fiato. Sentiva il sangue fluire fuori dalla ferita, inzupparle la camicia. Quella dannata camicia che a Steve piaceva così tanto. Attorno a lei notò brandelli di una coperta di iuta, e pezzi di quello che sembrava un materasso e capì: se era viva era solo perchè il suo corpo era caduto sulle celle al piano di sotto, dentro quelle stanze anguste i cui lettini erano troppo piccoli per dormirci. Quegli stessi lettini sgangherati che le avevano salvato la vita, in qualche modo. E Marina? Dov'era?

Provò a guardarsi intorno, ma era un caos di polvere e detriti, una timida luce arrivava dal lato destro dell'edificio e un'occhiata in alto le mostrò che era il cielo: una gran parte della struttura non esisteva più. Su un quadrato di pavimento rimasto più o meno intatto doveva esserci il corpo di qualcuno, perché vide un braccio penzolare.

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