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Gli avvocati di Tony erano arrivati alle diciotto in punto, come da programma, portandosi dietro una serie di documenti che poggiarono sul tavolo al quale si accomodarono. A Lidya era stato chiesto di ascoltare attentamente e a tutti di non proferire parola di quello che stavano per dire, con nessuno. Lei non aveva comunque nessuno a cui dirlo, Natasha e Tony erano capaci di tenere un segreto.

Scott, che era quello che aveva telefonato il mattino del giorno prima per dare loro la notizia delle accuse cadute, si versò un bicchiere di acqua prima di parlare e, nonostante sembrasse incredibilmente sicuro di sé, Lidya poteva leggere un chiaro nervosismo dentro i suoi occhi. Non aveva più di quarant'anni e il suo elegante vestito di fattura italiana gliene toglieva almeno cinque o sei. Con un sorriso si ricordò di suo padre, della sua infinita collezione di cravatte, dei gemelli perfettamente ordinati dentro un cassetto... un paio per ogni occasione, diceva sempre quando doveva scegliere quale indossare.

Era sempre impeccabile Edward Abel, i capelli indietro che non si spostavano neppure se c'era vento, la barba leggermente incolta, le rughe sotto quegli occhi curiosi e stanchi che sapevano mettere chiunque a proprio agio. Lidya non si sentiva per niente come lui, anche se molti le dicevano che invece era esattamente come il suo vecchio.

Respirando a fondo pensò per un attimo a Steve, sarebbe dovuto tornare già da un pezzo ma non lo aveva neppure sentito. Aveva scoperto soltanto che Sam era andato con lui e la sua frustrazione era cresciuta. Non era arrabbiata, niente affatto, ma le dispiaceva che avesse deciso di non includerla in nessun modo in una cosa tanto personale come la morte dell'agente Carter. Non l'aveva conosciuta, ma aveva sentito grandi cose su di lei. Aveva conosciuto sua nipote però, quando era arrivata allo S.H.I.E.L.D piena di speranze per un futuro migliore alla cui costruzione credeva di contribuire lavorando per Fury. Sharon, era questo il suo nome, non aveva mai confessato di essere la nipote di Peggy, ma a Lidya era bastato scavare un po' per scoprire tutto quello che voleva sapere. Era in gamba, se lo ricordava... chissà dove era andata a finire dopo la caduta dell'organizzazione che tutti credevano onesta e a protezione del mondo.

Pensare a Sharon le fece pensare a Fury; chissà dov'era quel bastardo! Era stato buono con lei, ma era stato anche quanto di più disonesto le potesse capitare di incontrare nella vita e lei di persone disoneste ne aveva incontrate parecchie. Eppure, non avrebbe saputo immaginare la sua vita senza Fury a farne parte e quella specie di conflitto interiore la faceva infuriare.

"Lidya, mi sta ascoltando?" le chiese Scott interrompendo i suoi pensieri. E lei annuì.

"Sì, sto ascoltando."

"Sul serio? A me non sembra" l'avvocato sembrava infastidito, lei un po' lo capiva.

"Il vero colpevole per l'esplosione a Berlino è stato trovato, in più si è scoperto che il crollo di quel palazzo dove duecento persone sono morte non era per niente collegato all'esplosione e che era tutto una specie di complotto per incastrarmi" riassunse Lidya incrociando le braccia sul petto. "Sto ascoltando."

Tony e Natasha abbozzarono un sorriso, Scott la fissò con la fronte corrucciata. Nel suo sguardo c'era una strana espressione che lei sperò davvero di non aver compreso. E invece l'aveva compresa fin troppo bene.

"Voglio portarla fuori a cena" le disse infatti. "Anche stasera stesso se per lei va bene."

"Ti prego, dimmi che non glielo ha davvero chiesto" scosse il capo Tony guardando l'altro avvocato. Lui però scrollò le spalle come se non gli importasse assolutamente di nulla.

Lidya chiuse gli occhi per un istante, si inumidì le labbra e lo guardò. "No, non va bene. E non andrà bene neppure domani o il giorno dopo domani. E non è perché tu non sia affascinante, ma è perché non sono interessata. Ora rispondi a una semplice domanda: quale agenzia governativa ha trovato il colpevole e le prove di questo gigantesco complotto? E chi è questo colpevole?"

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