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La prima volta che Steve era entrato dentro la stanza di Lidya e l'aveva vista intubata, pallida e inerme su quel letto, non aveva resistito per più di dieci minuti prima di uscire fuori alla ricerca di aria fresca.

Aveva pianto, da solo e più silenziosamente possibile, seduto su una panchina fuori dall'ospedale, scaricando la tensione, provando a sciogliere la paura per le sorti della donna di cui era innamorato. Aveva sperato che, una volta rientrato, lei sarebbe stata sveglia e si era immaginato che avrebbero parlato, che avrebbe potuto dirle quanto era stato stupido, che sì, Peggy gli mancava ogni giorno, ma lei era la donna che amava adesso e questo era quanto.

Aveva sperato di poter mettere a tacere ogni dubbio con un bacio e poche parole. Ma quando rientrò lei era ancora priva di sensi, piena di tubi e fragile. L'aveva osservata da fuori la stanza per alcuni minuti, fino a quando una donna non gli si era avvicinata e gli si era messa accanto.

"Sua moglie?" gli aveva chiesto indicando la stanza di Lidya.

"No" replicò Steve respirando a fondo. "È la mia ragazza."

"Molto carina" commentò la donna, nella sua voce c'era un tono dolce e curioso al tempo stesso. "Si riprenderà?"

"Certo che si riprenderà!" esclamò l'uomo. "Lei starà benissimo."

"E lei sta bene?" gli chiese ancora la donna. Ma senza dargli il tempo di rispondere continuò. "Posso immaginare come si sente, deve essere davvero brutto vedere la persona che si ama in queste condizioni... ci farà l'abitudine comunque. Ai tubi, dico, e all'immobilità."

Steve si voltò a guardarla: aveva un che di familiare ma non avrebbe saputo dire cosa. Era come se l'avesse già incontrata, ma era certo che non fosse successo. Si insinuò un dubbio, il dubbio che l'avesse magari dimenticata. Anche se lui non dimenticava mai una faccia. "Ci siamo già incontrati per caso?"

"Chi lo sa" la donna si strinse nelle spalle, gli occhi castani si contornarono di rughe quando gli sorrise, i capelli – scuri anch'essi – ondeggiarono quando scosse il capo. "Forse ho solo un viso comune"

"Forse" mormorò lui. "Mi scusi ma adesso devo rientrare nella stanza."

"Sì, certo. Buona giornata."

Il Capitano rientrò nella stanza, guardò un'ultima volta fuori prima di mettersi a sedere, ma la donna non c'era più. I suoi occhi si poggiarono su Lidya, le prese la mano con delicatezza e la strinse tra entrambe le sue. Ci farà l'abitudine, ai tubi intendo... gli aveva detto la sconosciuta. Lui ne dubitava.

****

E dopo un mese, i tubi gli sembravano ancora la cosa più terribile di tutte. Non sopportava l'idea che quei corpi estranei scendessero giù per la gola di Lidya, quella specie di maschera che teneva dritto il tubo le spingeva sul viso, Steve era certo che una volta tolta avrebbe lasciato un segno rosso su quella bella pelle chiara.

Come da routine le prese la mano e la strinse dentro la sua: notò che era più calda rispetto ai giorni precedenti e decise di prenderlo come un buon segno. Ne baciò il dorso, poi il palmo respirando a fondo quell'odore buono che apparteneva solo a lei. "Ti prego" le sussurrò, "svegliati, Lidya."

Quella stanza, quella sensazione di annientamento... all'inizio era stato come tornare nella stanza di Peggy prima che morisse, ma poi si era accorto che non era la stessa cosa: questa volta era tutto più intenso, una paura che lo faceva rabbrividire dalla testa ai piedi e che gli impediva persino di pensare.

"Toc toc" disse qualcuno alla porta, la voce era di Tony. Con lui c'era anche Pepper che si piegò per abbracciare Steve come meglio poteva. Il Capitano le regalò un sorriso.

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