Capitolo 4

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"Kendra, Kendra". Un leggero venticello accarezza la pelle del mio viso e solo quando apro gli occhi ne comprendo il motivo. "Ti sei addormentata qui, stai bene?"
L'espressione preoccupata di Anne attira la mia attenzione. Dove sono? E' tutto buio tranne per qualche lampione. "Sei in giardino", continua e tutto diventa più chiaro."Oh, si è vero", porto una mano alla tempia, la testa mi scoppia. "Sto bene", mi affretto a dire. "Ma hai saltato la cena", mi guarda rammaricata. "Ti abbiamo cercato ovunque. Dai, andiamo in cucina". "Non serve, grazie", faccio leva sulla ginocchia che al primo tentativo cedono. "Serve", sussurra afferrandomi per un braccio. "Solo quello che vuoi, promesso", mi rassicura ma non ci riesce. La seguo in silenzio pregando che questo momento finisca il prima possibile. Potrei ribbellarmi, scappare, urlare ma non voglio. Sono troppo stanca anche di questo. Come previsto, la sala da pranzo è deserta. Lo preferisco, vorrei fosse sempre così. "Aspettami qui, vedo cos'è avanzato in cucina", mi infroma prima di sparire oltre una porta bianca. Sospiro ticchettando le dita sul bicchiere di cristallo e mi si spezza il respiro quando sotto il mio naso compare un piatto di lasagne. "E' troppo", serro le labbra fra loro. "Solo quello che vuoi, io vado a dormire". "Dov'è la fregatura?". La guardo di sottecchi. "Potrei buttarlo non appena lei va via". "Potresti, ma non lo farai", mi punta un dito contro mentre va via, lasciandomi sola con un piatto di lasagne che nonostante tutto ha un buon odore.
"Com'è andata ieri?". "E' andata che me ne sono andata". Giorno tre e per adesso sono riuscita a saltare la colazione. Ho ancora la lasagna sullo stomaco. Questa mattina ho avuto a stento il tempo di una doccia per questa famosa visita medica di controllo. "Cosa?" Davina oggi è strana, sembra più elettrizzata del solito mentre si passa ripetutamente le mani fra i capelli. "Non ho bisogno di uno psicologo", taglio corto mentre mi avvio verso l'ennessima cazzata della settimana. L'idea di dovermi spogliare non mi rende affatto felice ma sono curiosa di conoscere il mio peso. Ovviamente non ci è consentito avere una bilancia nelle nostre stanze. "Tu sei pazza", ridacchia. "Ma io oggi sono particolarmente euforica". "L'ho notato, sai?". "E non vuoi sapere il motivo?" Mi prende a braccetto, sono tentata di spostarmi eppure non lo faccio. Con questo non voglio dire che mi stia affezionando a questa ragazza, assolutamente no, ma so che non merita il mio carattere di merda. Cerco di adeguarmi, tutto qua."Me lo diresti lo stesso", sospiro quando noto altre ragazze in fila per la visita. "E' giovedì", continua con tono ovvio. "Questo lo so, e quindi?" La guardo interrogativa. Alle volte credo sia più facile decifrare me. "Quindi?" Urla attirando troppe attenzioni. "Verrà Karl, come puoi averlo dimenticato?" Mi guarda male e a me viene da ridere per la sua serietà. "Ah, il fantastico Karl? Come ho fatto a dimenticarmene?" Batto il palmo della mano contro la fronte. "Su, scavalchiamo la fila, mi sono già rotta le palle". "Sei molto peggio di quello che pensavo", ridacchia mentre le altre ci riempono di insulti, ma non mi importa. Non è mia intenzione farmi qualche amica. "Non sai quanto", mi arresto fuori la porta quando questa si apre, e un uomo alto, grosso e con molta barba ci fissa attentamente. "Quanta fretta", con le dita sfiora il suo mento. "Tu sei?". "Kendra Rogers", sussurro facendo prevalere nuovamente quella parte di me che tanto odio. Alcuni direbbero che sono bipolare, a me piace definirmi altamente instabile."Vai", bisbiglia Davina spingendomi dalla schiena. Lascio dietro di me il chiacchiriccio degli altri. Ho scoperto che qui si occupano anche d'altro. "Allora, io sono il dottor Morrison. Ti hanno già spiegato come funziona?" Scuoto il capo, avrei preferito una donna. Avrei preferito non essere qui. "Controllerò il tuo peso, le tue misure e faremo le analisi del sangue. Per oggi mi basta questo". Vorrei fargli notare che per me questo è troppo ma me ne resto ferma al mio posto in attesa della sua prossima mossa. "Dovresti spogliarti cara", occhi compassionevoli, tono calmo. Qualcosa a cui non vorrei abituarmi. Serro la mascella sperando comprenda tutto il mio disappunto per questa cazzata, ma a nessuno frega. A nessuno. Resto con il fiato sospeso per tutta la durata della visita. Il dottor Morrison ha le mani fredde mentre misura il mio bacino. Il mio corpo si riempe di brividi, ho la gola secca, la vista appannata ma resisto. "Ora dovresti salire sulla bilancia", mi ordina gentilmente dopo aver segnato su un foglio bianco dei numeri troppo bassi per la mia età. Lo faccio e guardo, pur sapendo che non dovrei."Dobbiamo integrare, non credi?" Poggia una mano sulla mia spalla ma stavolta mi scanso briscamente. Afferro i miei vestiti che indosso velocemente. "Kendra, parliamone", ci prova. Tutti ci hanno provato all'inizio. Apro la porta sicura di trovare Davina pronta per il suo turno ma non è così."Kendra", Morrison è alle mie spalle ma io non posso scappare. Una montagna umana blocca il mio passaggio. Alzo lo sguardo e quello che vedo mi lascia letteralmente a bocca aperta. Non credo di aver mai visto degli occhi così scuri, neri, profondi. "Oh Karl", la voce di Morrison è solo un eco nella mia testa. Quegli occhi non mi mollano, e per la prima volta non sono in grado di scappare. "Come stai ragazzo?" Torno alla realtà, una realtà più strana del solito. Una schiera di ragazze fissa la scena con la bava alla bocca, o meglio, fissa lui. Karl.
"Kendra", stavolta è Davina a parlare. Scuoto il capo, abbasso lo sguardo e sorpasso questo strano ragazzo dagli occhi neri, attenta a non sfiorarlo. "Tutto bene? Hai una faccia?" Si acciglia, io non riesco a parlare. "S-si, tutto bene", mormoro confusa mentre mi allontano anche da lei. Una folata di vento mi accoglie non appena metto piede nella mia stanza, la finestra è aperta, e a me sembra di essere appena tornata a respirare dopo decenni. Mi lancio sul letto perdendomi a fissare un soffitto perfettamente verniciato. Alla mia famiglia costerà davvero tanto tenermi qui. Mancano poche ore al pranzo e so bene che se non mi presento, stavolta Anne verrrà a prendermi di persona. Le lasagne erano buone ma i sensi di colpa sono ancora qui, ficcati nella mia testa e su quella dannata bilancia che per me segnava un numero fin troppo alto. "Mi spieghi cosa ti è preso?" La porta sbatte contro il muro adiacente provocando un rumore sordo in tutta la stanza. "Mi spieghi perchè urli sempre?" Le chiedo con un fil di voce. "E' andata così male la visita?" Viene a sedersi al mio fianco e l'angoscia torna a trovarmi. Mi alzo di scatto sotto il suo sguardo stranito. "Hai preso o perso?" "Sempre uguale", mento. "Oh, mi dispiace. Vedrai che nel giro di qualche giorno noterai dei miglioramenti". Vorrei dirle che non voglio migliorare in nulla, ma evito. Lei sta combattendo la mia stessa battaglia ma, a differenza mia, vuole vincerla. Posso solo rispettare la sua scelta. "Io invece ho preso mezzo chilo questa settimana. Non è molto ma per quelle come noi è già un gran risultato".
"Quelle come noi", sbuffo una risata per nulla divertita."Noi siamo anore...".
"Non dirlo", urlo, lei sbarra gli occhi forse spaventata dal mio tono.

Sono un disastro e in questo miglioro a vista d'occhio. "Scusami", mi passo le mani sul viso. "Non volevo spaventarti".

"Non devi scusarti. Pensavo che, essendo qui, l'avessi già accettato". "Non sono qui di mia spontanea volontà", vado a sedermi sul suo letto. "I miei genitori amano sprecare i loro soldi". "Evitare di farti morire non è uno spreco di soldi", replica saggiamente. "E poi dici che non ti hanno fatto il lavaggio del cervello", ridacchio.
"Antipatica", fa una smorfia. "Piuttosto, dimmi cosa ne pensi". "Di cosa?" Mi acciglio."Del fusto nel quale ti sei imbattuta", replica ovvia. Per un attimo mi blocco non sapendo cosa dire. Non so davvero cosa dire. "Ah, il famoso Karl", distolgo lo sguardo. "E' successo tutto troppo in fretta. Sembra carino", scuoto le spalle. La verità è che quegli occhi li ho ancora stampati in testa. Sono tanto belli quanto misteriosi. "Carino?" Urla ancora. "E' bellissimo e io.....credo di esserne innamorata", le brillano gli occhi mentre io inizio a sentirmi strana. Non saprei spiegarlo. "Addirittura?" Mi guardo le unghie. Dovrei serimente smetterla di mangiarle. "Non sei qui solo da una settimana?". "Si, esatto. L'ho visto solo una volta, tutte me ne parlavano. Credo sia stato un colpo di fulmine". "Che cazzata", ridacchio nervosamente. "Credi ancora al colpo di fulmine?". "E' quello che mi è successo con lui, quindi si. Credo", mormora dubbiosa. "Purtroppo viene a trovare i suoi genitori solo una volta alla settimana, mangia anche con noi ma parla solo con sua madre". "Che cosa?" Urlo con tutta l'aria che ho in corpo. "Mangia con noi?" . "Già, è abbastanza imbarazzante a dir la verità". "Non lo trovo corretto. Sanno benissimo che per noi quello è un momento di merda. Non possono invitare chiunque". "Beh, è il figlio di Anne. Ad ogni modo lui neppure ci guarda. E' molto discreto. Cercano di farci senire a casa, come se fossimo una grande famiglia".

"Una grande famiglia del cazzo", sbotto. "Io mi rifiuto di pranzare oggi e ogni altro giovedì".

"Solo perchè c'è Karl?" Assottiglia lo sguardo. "Cosa? No, volevo dire che non voglio che ci siano persone che non fanno parte della clinica quando mangiamo. Si, volevo dire questo", rilascio un respiro tremolante."No, tranquilla. Solitamente siamo solo noi della clinica e quelli che ci lavorano. Inoltre, penso che tu abbia capito che non ci sono solo persone ano...con problemi alimentari", continua."Si", sospiro. "Erano in fila per parlare con lo psicologo". "Suicidio, dipendenza da sostanze stupefacenti".
"Non pensavo si occupassero anche di altre cose", ammetto."Questa struttura è enorme, Kendra. E' divisa in settori. Li incontreremo solo durante le visite mediche. Non mangiano con noi", spiega e questo in parte mi tranquillizza. "Bene", sbuffo per poi sussultare l'attimo dopo quando qualcuno bussa alla porta.

So già chi è, e qualcosa mi dice che questo pranzo sarà più difficile del solito.

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