Capitolo 19

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Perdere le persone è la mia arte segreta. Sono giorni che rimurgino su quello che è accaduto con Karl, giorni che non lo vedo, che non ho sue notizie. Ho appena finito la terapia, procede bene ma dentro continuo a sentirmi vuota, inutile. La mia testa pensa a mille cose, a cosa sia giusto o sbagliato fare. La parte razionale è convinta che in questo modo Karl si sia salvato da me, il cuore pensa invece che preferirei finire all'inferno io pur di vederlo ancora.
Mi gira la testa ma sono stanca di restar chiusa in questa stanza. Fuori è una bellissima giornata di sole, e prima che possa cambiare idea mi ritrovo a camminare sul giardino curato di questo posto alla ricerca di qualcosa che non ho mai visto. Devo parlare con Maria e trovare un modo per parlare con Karl. Ho escluso a priori Anne o Dan. Sarebbe troppo imbarazzante, e qualcosa mi suggerisce che meno sanno su di noi, meglio è. Cammino a passo svelto, questa struttura è enorme, dispersiva ma quando trovo quello che stavo cercando penso che n'è valsa la pena rischiare di svenire più e più volte. "Buongiorno". Come da noi anche qui c'è una Anne all'accettazione, ma è diversa. Sembra antipatica. "Tu che ci fai qui?" Mi guarda dall'alto verso il basso. Poco professionale, penso. "Devo vedere una ragazza che alloggia qui". "Non posso, dovresti tornare nella tua struttura", sbuffa tornando alle sue scartoffie. "Per quale motivo? Non è un cazzo di carcere questo", sbotto poggiando i gomiti sul bancone. Lei sbuffa aggiustandosi gli occhiali sul naso. "Sono giorni difficili questi. Ci sono stati nuovi arrivi". "Ma la ragazza che cerco è qui da nove mesi, sono sicura che sta meglio degli altri". "Ti ho già detto che non posso, ma puoi prendere un appuntamento per martedì prossimo alle dieci". "Anch'io ho un appuntamento con mio padre quel giorno", non posso aspettare un solo giorno in più. "Allora nulla, mi dispiace", scrolla le spalle, poi risponde ad una telefonata. "Stronza", borbotto fra me e me, arrendendomi all'idea di rivederlo quanto prima.
Lascio quell'edificio con un enorme peso sul petto, mi sembra di impazzire. Odio non sapere neppure dove abita, e odio ancor di più incontrare qualcuno che al momento non vorrei affatto vedere. "Ti è caduto questo", mi volto trovando Davina che stringe fra le mani il mio foulard rosso. "Grazie", me lo porge e io subito lo lego al collo. Nonostante il caldo, basta pochissimo per ammalarmi lo stesso. "Come stai?" Mi acciglio, questa era l'ultima domanda che mi sarei aspettata da lei. "Ho saputo che stai continuando la terapia". "Ah, si ho deciso di continuare. Tu come stai?" Non riusciamo a guardarci negli occhi. Una parte di me odia questa ragazza per quello che ha detto a Karl sul mio conto, e nonostante il fatto che l'abbia negato, non le credo affatto. Aveva i suoi motivi. "Meglio, ho preso qualche chilo. Probabilmente resterò meno di un anno qui". "Quindi c'è la possibilità di poter andar via prima?"
"Dipende molto da te, dai tuoi miglioramenti", spiega e mi sembra quasi di essere tornati ai primi giorni. "Capisco, sono contenta per te", sussurro. "Cosa ci facevi nell'altro edificio?" Ci resto di sasso. Non pensavo mi avesse vista ma sopratutto non so cosa rispondere. "Ho fatto un g-giro", balbetto.  "Ne avevo bisogno", forzo un sorriso per nulla sincero. "Capisco", non sembra convinta ma non aggiunge nulla. "Senti..", passano dei secondi in cui lei non dice nulla e io aspetto. "Mi dispiace". "Per cosa?" Incrocio le braccia al petto. "Per tutto, sono stata una stronza, una vera stronza. Tu non te ne sarai accorta, ma anche la mia stanza affaccia sul cancello principale. Vi ho visti e ho visto lui", quest'argomento mi agita e non poco. "Gli piaci molto, non avrei avuto ugualmente speranza". "Perchè dici questo?" Ci troviamo vicine. "Perchè lui non ha mai guardata nessuna come guarda te, e non è colpa tua. Me la sono presa con te perchè ero accecata da qualcosa che provavo soltanto io. Tu me ne hai parlato, ed io non l'ho saputo apprezzare". "Davina, non fingerò che quello che hai fatto non mi abbia ferita, ma ti capisco e credo sia normale perdere la ragione quando si è innamorati". "E tu lo sei?" Sgrano gli occhi. "C-cosa?"
"Sei innamorata di Karl?" Scoppia a ridere dinanzi alla mia faccia. "Io...io, non lo so", abbasso lo sguardo. "E' complicato", afferra la mia mano trascinandomi su una panchina. "Cosa è complicato? Tu gli piaci, lui ti piace". "Io sono complicata", sospiro. "E insicura, troppo insicura. Credo si sia già stancato di me". "Non penso che lui si fermi davanti alle tue paure. Non è un ragazzino e credo che se lo ricordi dove ti ha conosciuta". "Ho la sensazione che lui conosca me, mentre io non lui". "Glielo hai detto?". "Abbiamo litigato proprio per questo. Credo di averlo offeso", sbuffo, "l'ho accusato di fare la stessa cosa con tutte solo perchè ha salutato una ragazza di un altro edificio durante i colloqui di martedì scorso". "Droga, alcool o suicidio?"
"Droga, da quello che ho capito", mi passo le mani sul viso. "Lui se n'è andato dopo che io ho detto questa cosa. Sono giorni che non ho sue notizie e speravo che questa ragazza conoscesse almeno il suo numero di telefono". "Hai avuto la sensazione che fosse una sua ex?"
"In realtà no, ripensandoci sembravano amici di vecchia data, ma è impossibile. Lei è italiana e da nove mesi è qui. Non capisco come possano essere amici se.....oddio". "Merda", impreca. "Pensi quello che sto pensando io?". "Me lo avrebbe detto, ne sono sicura", non è vero ma non voglio pensare che mi abbia nascosto una cosa così importante dopo che io gli ho raccontato quello che mi ha portato qui. "Non avrebbe senso non dirmelo, anch'io sono qui". "Forse temeva di spaventarti". "O forse ha conosciuto Maria durante qualche colloquio. Infondo i suoi genitori sono i proprietari e lui viene spesso qui". "Ultimamente molto spesso", ridacchia. "Davina, posso farti una domanda?"
"Mi è passata, se questo è quello che volevi chiedermi. Non ha senso rincorrere qualcuno che non ti vuole e sono sinceramente pentita di averti trattata male". "Spero....che tu sia sincera. Ultimamente mi risulta davvero difficile fidarmi delle persone. Alla fine anche Karl è andato via". "Magari per una volta puoi andare a riprenderlo tu". "Non saprei come. Non so davvero nulla di lui e non credo che giovedì prossimo verrà a trovare i suoi". "Già, ormai quella tradizione è morta, ma un modo c'è".
"Quale?" 
L'ansia aumenta, tutto questo un giorno mi farà fuori. "Parla con sua madre, puoi chiederle il suo numero di telefono", risponde ovvia. "Non è una buona idea, non credo che sua madre approvi che io ronzi intorno a suo figlio". "In realtà suo figlio ha sempre ronzato attorno a te", precisa. "Non cambia il fatto che lei non vuole nessun tipo di rapporto fra me e suo figlio". "Devi almeno provarci. Non pensi che ne valga la pena?" Mi sorride, d'istinto lo faccio anch'io con la paura di saper quasi rispondere ad una sua vecchia domanda. "Si, ne vale la pena".

Sono fuori questa porta da oltre mezz'ora. Non so che fare, e troppe sono stante le volte in cui ho pensato di scappare. "Se non bussi tu ci penso io", sbuffa Davina. Averla ritrovata è qualcosa che mi fa stranamente piacere. Una parte di me teme ancora la fregatura, l'altra ha deciso di smettere di pensare che la vita per me abbia riservato solo il peggio. "Non è così facile", la guardo male quando la sua mano tocca più volte la superficie di legno della porta della signora Hunt. "Cazzo, Davina. Non ero ancora pronta". "Non lo saresti stata mai", ridacchia. "Poi fammi sapere come va", e con questo mi lascia sola. Pochi secondi e quella porta si apre. "kendra, hai bisogno di qualcosa?" Vorrei essere diretta ed esordire con un: posso avere il numero di suo figlio?Fortunatamente la parte meno folle di me mi ferma in tempo. "Vorrei parlarle, posso?" "Certo", si sposta lasciandomi entrare nel suo ufficio, completamente diverso da quello di suo marito. "Stavo sistemando un pò di scartoffie per i nuovi arrivati. Scusa il disordine". Va a sedersi e invita me a fare lo stesso. "Nessun problema, non voglio rubarle molto tempo", ne basterebbe davvero poco se solo riuscissi a trovare le parole giuste. "Per te ho molto tempo, come posso aiutarti?".
"Ecco..", inizio a fissare la parete come se potessi trovare la giusta ispirazione. "E' successo qualcosa, Kendra?" Allunga le mani afferrando le mie. Anne è sempre stata molto dolce con tutte, e in qualche modo ho sempre avvertito in lei quel senso di protezione materno che non ho mai ricevuto dalla mia vera madre. Tuttavia dovevo aspettarmi che quelle stesse mani mi avrebbero lasciata nell'esatto momento in cui avrei pronunciato un nome, uno in particolare. "Signora Hunt, sono davvero in imbarazzo, ma non saprei a chi altro chiedere se non a lei. Ho bisogno di vedere Karl il prima possibile". "Mio figlio?" Si alza, passandosi le mani fra i capelli. "Mi andrebbe bene anche avere il suo numero di telefono". "Kendra", sospira. "Lo so che preferirebbe che io stessi lontana da lui, lo comprendo". "Pensi questo?" Un sorriso triste aleggia sul suo viso. "Pensi che io sia preoccupata per lui o che tu possa rappresentare un pericolo?" Mi limito ad annuire. "Beh, ti sbagli", si avvicina alla finestra fissando tutto quello che con suo marito ha costruito in questi anni. "A cosa si riferisce?"
"Non sei tu quella che deve stare lontana da lui, ma è lui che deve restare lontano da te". "C-cosa?" Balbetto. "Stai affrontando una grande sfida qui dentro, Kendra. Non puoi permettere a nessuno di aggiungere altre sofferenze. Amo Karl con tutta me stessa, lo conosco come le mie tasche e per quanto lui ora dice di star meglio, so che c'è ancora qualcosa che lo lega a quel mondo". "Signora Hunt non capisco, a quale mondo si riferisce?" Mi alzo raggiungendola alla finestra. Lei si volta guardandomi con le lacrime agli occhi. "Non te ne ha parlato", la sua non è una domanda, ma una triste affermazione che fa male, troppo male. "Credo che tu gli piaccia sul serio. Mio figlio ha sempre cercato di ridurre al minimo i nostri incontri in questo posto, ma da quando sei arrivata tu, sembra di essere tornati ad un anno fa, e un anno fa è stato brutto, troppo brutto". "Può dirmi cos'è successo un anno fa?" Nella mia testa è, forse, fin troppo chiaro quello che può essere successo. "Tradirei mio figlio, ma credo che tu possa capirlo da sola", afferra un foglio scrivendoci su qualcosa. "Il suo indirizzo, non dire che sono stata io a dartelo".

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