Capitolo 10

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Sgrano gli occhi. "Hai un modo tutto tuo di chiedere le cose", sussurro. "E' un modo gentile per dire si?".
"No, non sono fidanzata se era questo quello che intendevi", mi muovo a disagio sul posto. Forse dovrei andare. "Qualcosa del genere, a volte non serve avere un anello al dito per appartenere a qualcuno", si stende portando le braccia dietro la sua testa. "E tu?" Lo guardo. "Non mi piacciono gli anelli", ammicca mostrandomi la mano sinistra. "Sei contraddittorio, e comunque non credo che tu non abbia qualche donna che ti ronza intorno". "Dovresti chiarirmi il verbo ronzare", mi stendo al suo fianco. Un gesto naturale, forse il primo dopo molto tempo. Dimentico tutti i buoni propositi di non combinare altri casini nella mia vita, come se la mia vita fosse semplice come lo stare stesi sulla spiaggia in una soleggiata giornata di primavera. "Non essere ridicolo Karl, vuoi farmi credere che passi i sabato sera a fissare il soffitto?" Cerco il suo sguardo trovandolo già su di me. A volte penso che non mi perda mai di vista. "Il soffitto di quale stanza?" Ridacchia spingendomi da una spalla. Lo guardo male ma poi ricambio non muovendolo di un millimetro."Appunto", scrollo le spalle e mi sorprende provare fastidio per quello che ha appena detto. "Stavo scherzando", si mette a sedere guardandomi dall'alto. "Non sono il tipo che passa di letto in letto". "Ah no?".
"Non sono un santo Kendra, sono giovane e mi sono divertito parecchio ma in questo momento cerco altro". "Vuoi mettere la testa a posto?" Lotto per non ridere e quando lo nota, il suo sguardo cambia.
"Stai per caso ridendo di me piccola impertinente?" Lo vedo abbassarsi su di me e mirare ai miei fianchi. Tiro un urlo e cerco di scappare, ma non ci riesco e non mi importa. Non ricordo di aver mai riso così tanto in vita mia. "Smettila", ho le lacrime agli occhi. Il peso del suo corpo sul mio non mi infastidisce, le sue mani su di me non mi spaventano. "Tu non mi prendi sul serio", mi guarda negli occhi mentre si regge sulle braccia per non schiacciarmi. "Non mi credi".
"A cosa non credo?" Vorrei che questo momento non finisse mai. Non sono mai stata così con nessun uomo, è strano ma non mi sembra sbagliato come forse avrei pensato solo qualche ora prima. "Pensi che sia il classico donnaiolo di turno, ricco sfondato e quant'altro", sussurra ad una distanza indecente dal mio viso. "Dovrei sentirmi offeso".
"Non ti conosco così tanto da poterlo affermare con certezza".
"E c'è una vaga possibilità che tu voglia conoscermi?"
"Non credi che questa sia una posizione un pò scomoda per parlare?" Distolgo lo sguardo ma le mie guance non sono dalla mia parte. "Io sto bene", sorride, "ma ti darei un'impressione sbagliata se restassimo in questa posizione adesso", mi strizza l'occhio mettendosi seduto. "Sei proprio un cretino", abbasso lo sguardo. Tutto questo sta andando al di fuori del mio controllo. "Si sta facendo tardi, forse dovrei tornare".
"E dove vuoi tornare ragazza che non risponde mai?".
"Rispondo a quello che mi va", scrollo le spalle. "Questo l'avevo capito, principessina", mi alzo e lo stesso fa lui. "Ma non credere che questo mi fermi". Vorrei riempirlo di domande, chiedergli cosa lo spinge a volermi conoscere. Non sono abituata a queste attenzioni e sono abbastanza grande da sapere che Karl vuole qualcosa da me. Ma cosa? La mia bocca non risponde ma credo che i miei occhi mostrino la mia paura. "Quindi? Dove la porto?" Mi tende la mano e io accetto. Rilascio un respiro tremolante quando le sue dita scivolano fra le mie. Alzo lo sguardo, non mi abituerò mai ai suoi occhi. "Dove mi hai trovata", sussurro lasciandomi portare via. Il silenzio cala di nuovo fra noi ma è diverso. Man mano che ci avviciniamo all'istituto l'ansia sale e so che dovrò affrontare non una, ma ben due persone. Gli occhi di Davina colpiscono la mia mente come un martello. Mi sento soffocare da un senso di colpa che non vorrei provare, non per altre cose almeno. Karl non emette un suono e credo che in qualche modo il mio atteggiamento lo abbia infastidito o incuriosito troppo. Ho paura e non so cosa fare. Non sono pronta ad aprirmi con lui, non era previsto e forse neppure lo voglio. Ma poi smetto di pensare e so che con lui sto bene come non capitava da tempo, o come forse non è mai successo con nessun altro. I cancelli della clinica si aprono davanti ai miei occhi, la macchina procede lenta fino a fermarsi del tutto davanti l'ingresso pedonale. Questo è il momento più imbarazzante di sempre.
"Grazie per...per il passaggio", accenno un sorriso mentre apro la portiera. "Kendra", mi abbasso per poterlo guardare dal finestrino lasciato aperto. "Dimmi", aspetto con l'ansia che non mi lascia respirare. "Ero serio prima. Non aspetto dodici giorni". "Non pensavo fossi così impaziente"; assottiglio lo sguardo. "Ciao Karl", mi sposto ma poi qualcosa mi blocca. "Ho una domanda", non gli lascio il tempo di dire nulla. "Cosa sei venuto a fare qui prima se ora stai andando via?" Sorride scuotendo il capo ma per la prima volta non mi risponde.
"A presto, Kendra". Resto a fissare la sua auto come una stupida, almeno fin quando la realtà non torna a riprendermi, ed è peggio di quanto mi aspettassi. "Hey, sei uscita?" Il sorriso di Davina non rispecchia i suoi occhi. "Oh, io....io, posso spiegarti tutto", mi passo le mani sul viso. "Non devi spiegarmi nulla", sussurra con un fil di voce. "Pensavo fossi andata via, sono contenta che tu sia tornata", aggiunge prima di incamminarsi verso l'ingresso. "Aspetta", la seguo. "Davina, ascoltami". "Cosa devo ascoltare, Kendra?" Si gira di scatto. Non mi ha mai guardata così. "Gli piaci, non posso farci nulla". "Non è ancora successo nulla fra di noi". "Non ancora, hai detto bene", abbassa lo sguardo puntandolo sui suoi piedi. "L'ho capito dalla prima volta che hai cenato con noi e c'era anche lui, solo che il mio cuore ha continuato ad illudersi. Non ha mai alzato lo sguardo dal suo piatto prima del tuo arrivo, e non è mai venuto così spesso a trovare i suoi genitori prima che tu mettessi piede qui. Non ti odio Kendra, so che hai provato a rispettare i miei sentimenti, ma è palese che fra di voi c'è qualcosa. Non prendermi in giro", scuote il capo. "Ok, è vero. Lui mi ha fatto capire qualcosa prima ma io...", mi interrompe. "Vuoi farmi credere che lui non ti piace? Lo guardi in un modo. Vi guardate in un modo che io non saprei neppure descrivere". "Io non sono pronta", chiudo gli occhi. Non voglio piangere. "E ho paura, credo di doverlo allontanare". "Perchè?" La sua domanda mi sconvolge. "Perchè non mi sento abbastanza", ammetto. Nonostante tutto, lei può capirmi perfettamente. "Mh", sorride appena. "Magari sei anche troppo", mi guarda, poi mi volta le spalle e mi lascia sola. Credo di aver appena perso un'amica che non volevo neppure avere e mi infastidisce il dolore che sento ora. Quel senso di vuoto che avrei voluto dimenticare ad ogni costo.

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