Poche volte ho dormito con un ragazzo. Nella maggior parte dei casi ero io quella che scappava il giorno dopo. Stavolta è diverso. Stavolta non mi trovo con qualcuno di cui non conosco neppure il nome dopo qualche bicchiere di troppo. Non sono una di quelle che si lascia andare con chiunque ma è capitato. Ricordo ancora la gelosia di mio fratello, le sue occhiatacce, il suo rimettermi in riga. Sono sempre stata io la pecora nera della famiglia, quella che ha portato fin troppi problemi e l'unica, purtroppo, che può continuare a crear casini. Ma stamattina è diverso. Queste braccia, queste mani che mi tengono le conosco, ed è bellissimo. E' una bella sensazione sentirsi a casa anche quando non lo si è davvero. Ma infondo cos'è una casa?
Un ammasso di cemento che ti tiene al caldo, che ti protegge dalla strada, ma che se vuole può anche farti sentire tremendamente oppressa, in gabbia.
Essere cullata da Karl che lascia baci sulla mia guancia, ignaro del fatto che sono sveglia, è decisamente un bel modo di iniziare questa giornata.
"Lo so che sei sveglia", sgrano gli occhi prima che possa rendermene conto. Lui scoppia a ridere facendo vibrare ogni fibra del mio corpo. "Ero in dormiveglia", mi giustifico. "Giusto. In dormiveglia può capitare di sorridere come un ebete". "Hey", mi volto di scatto con il solo scopo di colpirlo forte, ma mi blocca mentre continua a ridere come un pazzo. "Stupido cretino", crollo sul suo petto quando molla la presa dalle mie braccia. "E' un nuovo tipo di insulto?" Ghigna guardandomi dal basso, ed io spero di non essere troppo brutta in questo momento.
"Non sai quanti ne ho in mente per te". "Sono sicuro che li scoprirò presto. Hai da fare stamattina?"
Si mette a sedere continuando a tenermi sulle sue gambe. E' come se non riuscissimo mai a staccarci del tutto. Amo e temo la nostra dipendenza. "Dovrei fare la terapia...ma non ne ho molta voglia", sbuffo. "Tu...hai da fare?" Chiedo con la mente piena zeppa di paranoie. "Ho in mente una cosa", il suo sorrisetto furbo non ha mai presagito nulla di buono, "ma possiamo andarci dopo la tua terapia, non è un problema", aggiunge scostando una ciocca di capelli dal mio viso. E' in momenti come questo che odio la mia malattia, che odio essere qui. Ho vent'anni e come ogni ventenne devo poter fare colazione con un dannato pancake e non con un ago nel braccio. "Sai cosa? Oggi salto. Portami dove fanno i dolci più buoni di New York, poi andiamo dove vuoi". E non saprei spiegare a parole quello che provo io o quello che sta provando lui in questo momento. Mi sorride, il sorriso più tenero e bello che gli abbia mai visto fare. Non c'è pena, ne giudizio in lui. Forse un pizzico di soddisfazione che riesco a provare anch'io. "Bene. Porta un cambio con te"."Ok, sto per scoppiare". Le dita di Karl giocano con i lacci del mio jeans sfilacciato. "Allora? Ho soddisfatto la tua richiesta?" Mi bacia la guancia stringendomi un pò a se. "Si, è davvero il posto dove ho mangiato meglio. Fa un pò strano dirlo, ma è così". Scrollo le spalle. Per me è ancora abbastanza difficile parlare di cibo senza che il senso di colpa tenti di affondarmi, ma da un pò le cose stanno migliorando. Devo ammetterlo.
"Quello che ora ti fa strano, prima o poi sarà solo un ricordo", il suo sguardo si perde nel vuoto ma la mia curiosità può aspettare. "Pensavo che chiudermi in quella struttura sarebbe stato inutile. Non lo volevo. E....non avrei mai neppure immaginato che potessi mangiare un dolce per intero", ridacchio. Parlarne con Karl mi fa incredibilmente bene. E' come se volessi parlarne senza che nessuno mi obblighi a farlo. Lui ha sempre rispettato i miei tempi. Lui non mi ha mai fatto notare quello che in me non andava bene, come invece ha sempre fatto il resto del mondo. "Non voglio sembrarti uno stronzo indelicato, ma sono felice che qualcuno abbia voluto rinchiuderti proprio in quella dannata clinica".
"Sei davvero molto romantico, Karl", scoppiamo a ridere. "Lo so principessa, ma ora alza il tuo bel culetto. Abbiamo da fare qualcosa di molto divertente io e te", sussurra sulle mie labbra prima di baciarle.
"Mhh, non puoi anticiparmi nulla?"
"E' inutile che mi guardi così. Non ti dirò nulla. Scapperesti via", mi prende per mano mentre New York continua a vivere attorno a noi indisturbata. "Devo spaventarmi?" Cerco di tenere il suo passo. Ovunque stiamo andando sembra che abbia molta fretta, che non veda l'ora di mostrarmi quello che ha da mostrarmi. "Hai mai avuto paura con me?"
Si ferma, all'improvviso, al centro della strada. Una domanda che potrebbe avere mille e più significati, mille e più risposte. Eppure ora ne ho solo una. "Mai", stringo le dita alle sue più forte che posso, lasciandomi trasportare ovunque voglia. Senza alcuna paura.
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RomanceToccare il fondo è qualcosa a cui non ho mai pensato prima, e mentre fisso il mio riflesso allo specchio, mi rendo conto di essere andata ben oltre quello che mi ero imposta. Stringo forte le mani sulla mia valigia aggrappandomi alla consapevolezza...